La poesia salva la vita, ma davvero
di Daniele GiancaneLa poesia salva la vita è il titolo di uno splendido libretto di Donatella Bisutti (Mondadori, 1992), che ogni poeta dovrebbe avere sul comodino, come una sorta di Bibbia da sfogliare ogni tanto, magari prima di addormentarsi o la mattina, appena desti. È una sorta di miniera su temi e modalità per scrivere, o semplicemente per avvicinarsi al pianeta poesia. Certo, ci si potrebbe chiedere se la poesia sia utile o meno.
La domanda si presterebbe a una serie praticamente interminabile di risposte, perché sempre l’essere umano, anche nelle condizioni di vita più disastrose, ha sentito il bisogno di esprimere le proprie emozioni attraverso un canale artistico. Sino dall’era paleolitica i pittori preistorici rappresentavano nelle grotte (per esempio quelle di Altamura) scene di caccia o rituali magici, perché l’arte è una necessità profonda ed elementare dell’uomo.
Al nostro momento storico, però, l’arte – in specifico la poesia – vive una contraddizione: da un lato essa, almeno da due secoli, ha perso l’aura. Il poeta non ha più, specialmente nella civiltà occidentale, un ruolo sociale definito. È ritenuto un gadget o addirittura uno scarto del sistema socioeconomico.
Il poeta, isolato e inutile, diviene clown (Curtius) e allora fa di tutto per essere “visibile”. Per trasgredire, scandalizzare, farsi notare (da Rimbaud a d’Annunzio, dei quali sappiamo quasi più delle loro inquiete biografie che della loro produzione letteraria).
Dall’altra parte, però, proprio oggi la poesia ha un valore altissimo perché si contrappone alla dinamica disumana e stressante di un mondo che adotta o solo il linguaggio cibernetico o il linguaggio banale della quotidianità e della ripetizione, che Jonesco seppe così straordinariamente rappresentare.
La poesia si oppone alla società del denaro e dell’utile immediato. Del consumismo e della vanità.
Del vaniloquio dei “media” e delle menzogne dei politici. La poesia serve. Essa è una forma di “resistenza” ai linguaggi omologati. La poesia serve, se Jean Cocteau sostiene che pure quando in Francia si moriva di fame, alla fine del ‘700, le folle si radunavano per ascoltare Victor Hugo declamare Les Chatiments.
Quasimodo affermò nella relazione tenuta all’assegnazione del Nobel, che “il mondo senza poesia perirebbe”. Il che è vero: senza passioni, emozioni, incendi dell’anima, il mondo sarebbe arido e, alla fine, perirebbe per noia o infelicità. La poesia è importante, ma essa è un compito. Allorché un giovane (o meno giovane) scopre che quella della poesia è la sua strada, allora tutto cambia. Non si tratta solo di scrivere poesie per conquistare l’amata, ma di cominciare un cammino di “disvelamento orfico dell’universo” (Mallarmè).
Lungo questa strada ci saranno ostacoli, impazienze, crisi di senso. Ma per questo – e per giungere al massimo dell’espressione di sé – bisogna armarsi di un corredo essenziale: sia di temperamento, sia di “visione” del mondo, sia di attenzione ai movimenti dell’anima, sia al dialogo e al confronto con i grandi poeti.
Se si è poeti, si assume una grande responsabilità verso se stessi e verso il mondo (perché il mondo, nonostante tutto, si aspetta molto dai poeti, forse finalmente la parola salvifica).
Quindi: Cos’è la poesia? A che cosa serve?
Le definizioni della poesia sono infinite. Possiamo quasi affermare che sono tante quante i poeti stessi.
Si va dall’idea della poesia come contagio (Tolstoj, nel suo Che cos’è l’arte?) nel senso che è poesia quella che accomuna tutti (i lettori e gli ascoltatori) in una emozione comune, alla convinzione che il poeta voglia comunicare essenzialmente un’esperienza di vita che a lui sembra “emblematica” (Richards). Dalla identificazione di poesia e musica (Verlaine) alla poesia come linguaggio delle “immagini” (Bachelard); dalla poesia come “custode del linguaggio” (Heidegger) alla poesia come emanazione del “duende” (Lorca), ovvero della “passione”, dello spirito che travolge.
E via dicendo.
Si può giungere ad affermare, come mi disse la grande poetessa serba Desanka Maksimovic (più volte candidata al Nobel): io amo e non so cos’è l’amore, io scrivo poesie ma non so cos’è la poesia.
Credo che – in sostanza – si possa però definire la poesia un “linguaggio ad alta condensazione emotiva” (emozione “del cuore” o dell’intelletto preso al laccio da un verso) che attinge a un mondo “altro”. Il mondo dell’ineffabile, del misterioso, dell’inconscio. La poesia cerca di dire l’indicibile (Rimbaud). È ciò che non potrebbe essere detto altrimenti.
Già, ma a che serve la poesia? Domanda che sempre – e soprattutto nel mondo moderno dominato dalle leggi dell’economia e dal pragmatismo – ci si pone.
Credo che la migliore risposta l’abbia individuata Allen Ginsberg, il poeta / profeta della beat generation, che alla domanda rispose: «La poesia serve ad allargare l’area della coscienza».
Praticare la poesia serve ad andare oltre schematismi e abitudini, ripetizioni, banalità. Oltre le stereotipate visioni del mondo. La poesia autentica fa “vedere oltre”, apre delle radure, ci fa intravedere dei significati nuovi, dei linguaggi nascosti. Ci fa capire e “sentire” di più noi stessi, gli altri, la vita.
È come una ininterrotta epifania.
Appunto: allarga l’area della coscienza.
(Cfr. “Che cos’è la poesia”, Tabula fati, 2020)
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