Amministrative di ottobre 2021: Allarme rosso
Finita la tornata elettorale delle amministrative del 2021, si ascoltano gli entusiasmi di chi ha vinto, le riflessioni di chi ha perso, il cincischiare di chi è stato asfaltato dagli elettori; nessuno si è posto il problema della grave malattia di cui è affetta la democrazia nel nostro paese.
Sei elettori su dieci non sono andati a votare; in alcuni quartieri della periferia romana, ha votato appena il 17%; dato drammatico se si pensa che si eleggevano sindaci e consiglieri comunali, con cui un elettore potrebbe interfacciarsi giornalmente per una lampadina fulminata o per una buca sulla strada.
Chi ha vinto comprensibilmente canta vittoria, si è già insediato e pensa al lavoro da fare; a nessuno interessa, però, che chi ora amministra è stato eletto da appena due persone su dieci.
Qualcuno potrà dire, che sono le regole, quindi nulla questio. Ma premesso che la democrazia è un valore che va corroborato e non è acquisito una volta per tutti, emerge immediatamente una malattia, che potrebbe risultare a lungo andare fatale. E non perché si affaccerebbero alle porte fascismo e/o comunismo (come sistemi dittatoriale), ma perché la democrazia scadrebbe al punto tale che l’eletto sarebbe autoreferente e il senso della collegialità nelle decisioni sarebbe accantonato definitivamente.
Una democrazia malata è una non democrazia, sicchè in diverse sedi sarebbe opportuno che si chiedessero cosa stia succedendo, verso dove andiamo, che cosa fare di fronte ad una tale disaffezione.
Destra e sinistra (ma hanno senso ancora queste categorie ottocentesche?) o mettono in campo una costituente, una grande palestra di confronto, che riguardi le regole dello stare insieme, il tono da usare nella dialettica politica, i progetti di futuro, oppure scivoliamo verso un terreno ignoto, dove tutto è possibile e dove il personalismo la farà indiscutibilmente da padrone.
La politica non può mobilitarsi solo nelle tornate elettorali; lo scontro in campagna elettorale non può articolarsi su fatti remoti, senza presente e senza futuro. La politica deve essere speranza e pianificazione e, principalmente, scaturire dal coinvolgere massivo e dal confronto.
Se non ci saranno movimenti di pensiero e coinvolgimento di uomini, nelle prossime elezioni vedremo il già visto e gli schieramenti si contenderanno i pochi cittadini che andranno alle urne. Se nessuno partorirà una visione di futuro per il nostro paese che tenga conto problematicamente della scuola, del lavoro, della sanità, dell’economia da rilanciare, si cambierà senza che nulla cambi.
Se le parti in causa della politica, i soggetti collettivi che sopravvivono (e per fortuna!) avvieranno studi di progetti partecipati, in cui sia chiaro cosa si voglia fare dei settori nevralgici del nostro paese, guardando ad un disegno di medio e lungo termine (considerando i cambiamenti scientifici e tecnologici che si riflettono sulla società), la politica aggregherà e forse la democrazia si salverà; se ciò non avverrà, la politica navigherà a vista, gli eletti daranno conto solo a se stessi e gli elettori continueranno a starsene a casa, disertando urne, piazze e confronto, col de profundis per la democrazia.
di Cosimo Rodia
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