Con i tropici di mezzo di Elisabetta Ferrero, Tabula fati, 2022
di Maria Pia Latorre
É la terra che appare come protagonista de Con i tropici di mezzo, l’ultimo volume di poesie di Elisabetta Ferrero, edito nel maggio 2022, da Tabula fati (Chieti), e dedicato agli indiani Miccosukee, che vissero nelle Everglades, in Florida, già in epoca precolombiana.
Con i tropici di mezzo è il frutto del dialogo aperto e continuo tra la poetessa e il territorio d’elezione dove ha deciso di fermarsi, e che ha scelto nel suo peregrinare, a partire da Torino, suo luogo di nascita, fino a giungere in Florida e poi nel North Carolina, dove attualmente vive.
Un procedere per terre meravigliose e sconosciute che corrisponde al procedere nel viaggio poetico di Elizabeth, poetessa dallo sguardo indagatore e dall’animo contemplativo che ha fatto dell’attaccamento all’ambiente la sua ragione d’essere. La terra può essere considerata qui una sorta di isotopia figurativa, onnipresente, senza che necessariamente vi sia un nesso contenutistico tra parola e verso, sfociando finanche nel ‘terriccio fangoso’, che poi trapassa in un ironico ‘terriccio (straniero)‘, nella lirica ‘Dei mistici’, al posto dell’usurata ‘terra straniera’, o più ancora nella ideologica ‘Romani e Goti’, in cui “si ripetono/ gli umori – valli e colline/ quelle, di cui si parlava,/ e altre ancora/ e le finestre/ allineate/ sostengono il pensiero/ arrivando fin qui. La meta/ ravviva l’intento/ lasciare un’orma, qualsiasi“. L’effetto è di ridondare le parole, amplificarle facendole straripare oltre la parola stessa e creando così un suggestivo alone di esoticità funzionale.
In tale sintesi poetica convivono in armonico equilibrio più culture (sopratutto quella italiana di appartenenza e quella americana attuale), là dove la poesia si è fatta una casa di humus e vegetazione, di pianure e paesaggi a perdita d’occhio.
Perfettamente bilingue, la Ferrero padroneggia magistralmente i meccanismi linguistici di ambo le lingue e, forte di un evidente percorso filologico della parola, ne coglie sfumature e funzionamenti, consapevole del fatto che le lingue sono organismi che vivono e si trasfomano, ma talmente complessi da sovrastarci, talvolta.
Così sono numerosissime le occorrenze legate all’ambiente domestico, come se, ad un certo punto del percorso, la casa costituisse lo spazio chuso per permettere quello che potremmo definire uno scaricamento emotivo, dopo le fortissime scosse emozionali ricevute in lascito dagli spazi aperti e che potremmo azzardare essere per l’Autrice il passaggio continuo da un infinito amato ma sfuggente ad un finito comunque insufficiente a contenere i suoi segni poetici, e in cui, pertanto, ogni parola sfuma in un’altra, sempre in continua osmosi circolare, finito/infinito/finito, in un equilibrio ‘in limine‘.
Elizabeth Ferrero utilizza tutta la sapienza di chi possiede il mestiere e gli attrezzi per raccontarci poeticamente la vita dall’altra parte del mondo, dalla palude di Oak Hammock fino alla Shark Valley, in paesaggi dove “lenta è l’ascesa verso il sole/ la cui lucentezza traspare su la/ verzura ancora umida/ invade i rami della sequoia” (da ‘Landscape’), e attraverso questo sguardo lungo si porta sullo scenario dell’esistenza.
Ciò che sorprende è il meraviglioso dialogo con la natura, presente in ogni spazio e in ogni momento, natura sia madre che figlia; e la poetessa vive con lei in simbiosi, ne tiene vivo e alto il dialogo, perché sa che da lì viene tutta la forza generatrice, tutta l’energia utile a resistere, nel senso di r-esistere, cioè esserci, come fa il solido vecchio noce di ‘Rosso lacca’, che dà la forza di costruire “di bendare gli occhi al mondo/ E stringere forte/ Un grande fascio di stralci/ Per il fuoco di stasera”.
Tante le grandi piante presenti nella silloge, dal noce alla sequoia al sambuco alla buganvillea, e fiori e muschi e piante epifite, insieme a semi sepolti e poi un’arca di animali esotici, da serpenti a coccodrilli ad aironi e gufi e aquile, animali nobili, di grande dignità caratteriale che rispecchiano la personalità della poetessa, animali liberi e indomabili come il gufo reale, che dà il titolo da una lirica fondamentale, in cui i versi c’interrogano: “ma come intervenire/ quando le svariate stonate ore/ si sussuegono con l’ondata/ di traverso . Tutto luce e chiaro-scuri/ con le idee che trottano/ con la spensierata resistenza/ di colli sparsi“. Tanti anche i gatti, presenti come abitatori di case, altro elemento-occorrenza di questa silloge.
Così risulta centrale la lirica “Lo spirito della casa”, dove la casa assume una forza via via maggiore, sempre più vicina ed emulo di quella insita nella natura, tanto da poter scrivere: “è così che una casa/ imbastisce comandi a chi resta“, una personificazione che continua nel tratteggio di una casa che diventa ospite inatteso.
Altro elemento portante in questa silloge è la forza, intesa come elemento propulsore di vita: “Bisognerebbe camminare fino quando i prati non si sentono più“, e con questi affondi Ferrero dota di robustezza ed essenzialità la silloge, attraverso metafore che ci parlano di necessità primarie sfumate nelle parole eterne della poesia.
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