NudaNuda di Doris Bellomusto, Ladolfi editore, 2022
di Ilaria Grasso
Le poesie rispondono appieno all’etimo dell’aggettivo che l’autrice sceglie per dare il nome a questa raccolta. Nuda è il femminile dell’aggettivo “nudo”. Ciò che andiamo leggendo è privo ornamenti, ma è ricco di immagini e accostamenti inconsueti come Kurt Cobain e una scacchiera, si legge in un componimento. L’io lirico risponde appieno al senso figurato della nudità dei versi di Doris perché sono versi schietti, semplici. Se ne avverte la purezza, suo malgrado. Si dice “cielo nudo” per indicare un cielo sereno, terso, privo di nubi. E se si fa vento e burrasca nei versi di Pagliarani, di certo, in quelli di Doris, qualche parte di cielo, verso dopo verso, più nitida la visione e l’amore vogliono apparire. La pelle di questi a capo è composta prevalentemente da mare e terra – di sale è fatto il mare e di solchi è fatta la terra. L’immaginario è senz’altro di tipo mediterraneo ma non ci risparmia di sorprendenti scorci urbani in cui l’autrice esiste come “ciuffi d’erba/disobbedienti al cemento urbano”.
Ecco quindi che – avvicinandoci al cuore della raccolta – la materia bastarda inizia piano piano a canalizzarsi tramite il dialogo che Doris ingaggia con la poesia. La parola in questa raccolta è una parola ad alto potenziale empatico per cui è facile familiarizzare con chi scrive proprio perché i versi hanno grande capacità di “ascolto”. Doris si assume il coraggio della prima persona, non si scherma nella finzione di una terza persona o di altri escamotage. Dice tutto così com’è. Ci parla del desiderio, delle rughe, della stanchezza di portare il codice fiscale. Ecco questo è un aspetto che mi ha molto colpito perché nella sua sintesi mostra non solo una donna desiderante tutta presa dal suo bisogno di amore ma anche la responsabilità dell’autonomia economica e – per dirla spiccia – l’affanno delle tasse da pagare. Mi ha colpito – dicevo – per l’immediatezza dell’espressione, per la capacità di sintesi e per il senso di serietà. E mi ha colpito non solo per un fatto linguistico-espressivo ma perché con poche parole butta giù quel pregiudizio che vuole vedere una donna solo nella sua stanchezza emotiva e non anche nella sua stanchezza di cittadina sempre debitrice. In questa stanchezza Doris non si lascia tentare dall’indulgenza del riposo – mai menzionato in questi versi – si fa fumare i piedi. Ha la schiena dritta e su questa parte del corpo che non vede riesce a sentire tutto. Alla schiena dedica un intero componimento e la schiena diventa una quasi metafora dell’inconscio. Sembra di immaginarla la sera mentre il silenzio inizia ad abitare la casa e i suoi pensieri e desideri trovano la giusta dimensione per ascoltarsi ed ascoltare. È dietro la schiena che il suo essere “sapiens sapiens” smette di esistere e inizia il viaggio in direzione della parte più autentica. Sdraiarsi diventa quindi una preghiera perché dopo l’ascolto c’è la lista delle cose che mancano e mancano qui prive di malinconia ma con due bisogni essenziali: la necessità di essere visti e la distanza come condizione essenziale per desiderare e sviluppare capacità d’amare. Dice infatti in un’altra poesia che l’amore si “misura a distanza”. La distanza e il silenzio sono condizione essenziale per la poesia e il giusto ascolto. Ecco perché le parole di Doris mi sembrano così empatiche. Un buon ascolto necessita di silenzio e di una corretta distanza per mettere a fuoco. Una buona poesia necessita di corretta distanza per il disvelamento di qualcosa che – se troppo vicina – non riusciamo a vedere. Una buona poesia ha bisogno di ascolto altrimenti è solo un vomitare che a nulla serve.
Doris procede senza tregua nel suo versificare e nella sua esistenza senza tornare indietro perché sarebbe come “vomitare il cuore”. Ecco questa espressione pure mi ha molto colpito per la sua efficacia e soprattutto perché al suo interno c’è un’operazione non semplice: dissotterrare i morti e lasciare andare quel che assente di vita non è più necessario per l’esistenza. Forse da qui nasce la preghiera della schiena, la volontà di esser vista non solo per essere riconosciuta ma perché in un dialogo autentico come quello che Doris ci dona in questi versi c’è bisogno di un reciproco vedersi per scoprire cose nuove e la costruzione di un “noi” intimo e protettivo. Un “noi” che non ha più sapore del sale e che non scolpisce rughe come oggetto appuntito. È un “noi” quello a cui tendono questi versi che pur non essendo mai reso esplicito è presente in tutti gli spazi vuoti di questi a capo.
Leggete e ascoltate le parole nude perché in essi si nascondono possibilità che pian piano si sveleranno. Io – di mio – ringrazio Doris per aver messo a nudo un femminile non consueto, cocciuto, dignitoso e assai profondo. E chissà se Doris e noi con lei scopriremo che non sempre la rima è necessaria alla felicità. E che anzi – proprio nell’asimmetria- ci sono angoli di felicità che ci attendono e non vedono l’ora di essere vissuti.
Buona lettura!
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