La scrittura rivoltata di Gianni Rodari
di Cosimo Rodia
Gianni Rodari (1920-1980) è un altro scrittore, che insieme a De Amicis e Collodi costituisce i tre grandi riferimenti della letteratura giovanile. Anche su di lui tantissimo è stato scritto; Giorgio Bini su “LG Argomenti”, alla fine del 1991, ha presentato trentasei pagine di rivista solo per riportare una bibliografia essenziale del Maestro[1]; dunque, essendo notevole già la pubblicistica, ci limiteremo a brevi indicazioni.
Come ogni autore d’eccezione, anche Rodari ha la peculiarità di creare una discontinuità col passato, come ha fatto, ad esempio, Collodi. Rodari ha certamente il merito di inserire nella letteratura per ragazzi problemi e protagonisti del mondo reale dell’Italia degli anni ’60; un’Italia in pieno boom economico, con nuove classi sociali alla ribalta e con nuove problematiche all’ordine del giorno.
In questo nuovo contesto: di possibilità, di crescita della coscienza individuale, del riconoscimento dei diritti dei singoli, il bambino – scrive Cambi – ha «un significato filosofico (parlare del bambino è parlare dell’uomo “possibile”, di un’utopia antropologica non d’evasione) e anche un valore politico-strategico (il bambino si fa “paradigma” di un rinnovamento antropologico e, al tempo stesso, lo strumento principe di questo). Sul bambino in qualche modo, si giocano le sorti della trasformazione della società»[2]. C’è a monte l’ideologica interpretazione umanista, secondo cui valori ideali e contenuto socioculturale vanno saldati, per cui si introducono temi “poco” presenti nei libri per ragazzi del passato: la pace, la guerra, la libertà. E ciò viene fatto senza «temere di apparire di parte»[3], con la forza dirompente dell’ironia e con la grazia dello stile leggero. E questo lavoro è realizzato nelle fiabe, come nel giornalino il “Pioniere”, per spingere il bambino, uomo del domani, a guardare il mondo, la quotidianità con i suoi problemi, e semmai anche a giudicarla.
Il bambino naturalmente non è un piccolo uomo, ma un essere a sé stante, con specificità proprie che bisogna rispettare e che bisogna accompagnare nel processo di crescita, interagendo con i vari contesti familiari, sociali, culturali. Nei libri Il pianeta degli alberi di Natale (1962) e La torta in cielo (1966) Rodari presenta temi contro il razzismo, il militarismo, il nazionalismo, rappresentando il desiderio di una umanità libera da odio e [ho tolto da] ingiustizie. Ogni storia assolve ad un fine pedagogico; dietro l’ironia c’è sempre l’intenzione di formare l’uomo nuovo. Si vuol dire, in buona sostanza, che recuperando la fiaba, e più in generale il fantastico, Rodari intende creare una realtà oltre, opposta a quella presente e che potrebbe essere la realtà desiderata, qualora si cancellassero le ingiustizie. Scrive Giancane: «Gioco, etica sociale e utopia si saldano negli scritti di Rodari e formano la base del suo discorso: si tratta di una vera e propria Weltanschauung o meglio di una sorta di gestalt di “forma” che è precedente al contenuto e che informa di sé tutta la produzione dello scrittore»[4]. Le avventure di Cipollino (1951) è un esempio di favola, con una valenza civile straordinaria. Cipollino nel conoscere Piero Pera, maestro Uvetta, sor Zucchina, comprende che il mondo è diviso in due: oppressori e vittime; e che per sovvertire un tale schema bisogna solidarizzare. Com’anche ne Il libro degli errori (1964) troviamo l’accusa ad una scuola più attenta alle questioni formali che allo sviluppo delle idee. La torta in cielo rivendica che è meglio costruire torte che bombe.
Le opere complete di Rodari sono state curate da Marcello Argilli e da Pino Boero; una infinità di saggi si sono scritti, tante manifestazioni si sono svolte in occasioni di anniversari della nascita e della morte. Certamente nell’opera di Rodari sono riscontrabili alcune direttrici di fondo che per schematizzare ci serviamo delle parole di Rotondo. Ci sono:
« a) gli ideali, i valori, i temi propri della Resistenza e della democrazia, la pace, la libertà, la giustizia, la lotta contro la guerra, la schiavitù e lo sfruttamento; b) l’attenzione costante per la concretezza, per le cose della quotidianità , per gli ambiti familiari […]; c) la fantasia: una finestra, un’altra via per entrare nella realtà in maniera più divertente e quindi più utile e produttiva […]; d) la grammatica delle creatività, l’obbligo morale , civile e culturale di dare regole, indicazioni, strumenti e possibilità, non perché tutti siano artisti, ma per consentire a tutti di essere creativi al massimo grado, capaci di operare innovazioni e trasformazioni, rivoluzioni se è il caso; […] e) la lingua l’invenzione e la trasgressione linguistica, il gioco con le parole»[5] .
Si può dire che dopo Rodari la letteratura per l’infanzia non è più la stessa: la sua capacità di manipolare e utilizzare la fiaba quale “materia prima” del narrare e dello scrivere, la sua capacità di giocare con la lingua, costituiscono dei riferimenti senza i quali, dice Salviati, «non si scrive per l’infanzia»[6].
Ora un ruolo di assoluto rilievo, Rodari lo gioca nello sviluppo e nella diffusione nelle tecniche di stimolazione della creatività; egli parte dalla considerazione che l’immaginazione è un modo di operare della mente; che occorre una grande fantasia per immaginare cose che non esistono ancora; che «la funzione creatrice dell’immaginazione appartiene all’uomo comune, allo scienziato, al tecnico; è essenziale alle scoperte scientifiche come alla nascita dell’opera d’arte; è addirittura condizione necessaria della vita quotidiana»[7]. Per il maestro di Omegna la massima aspirazione è cercare una “fantastica” capace di creare storie; per questo motivo aggiornava il suo “Quaderno di Fantastica” con esperienze che conduceva nelle varie scuole, e che costituiranno il corpo de La grammatica della fantasia (1973).
Oggi, dopo Rodari in particolare, le parole: creatività e immaginazione sono entrate nell’uso comune dell’attività scolastica; piano piano hanno perso l’accezione negativa di fantasticheria, per essere riqualificate quali strumenti di sviluppo delle capacità creative, capaci di stimolare nel ragazzo l’elaborazione di ipotesi, l’intuizione, la ricerca e la sintesi.
È inevitabile pensare che un ragazzo che abbia fatto esperienze di animazione e abbia acquisito alcuni strumenti euristici, li metta, poi, in pratica anche quando, a contatto con la realtà, ha da risolvere un problema o ha bisogno di orientarsi in essa.
Ma Rodari non è nato dal nulla. Prima del maestro di Omegna c’è stato un lungo processo di teorizzazione, del quale Rodari è stato un amplificatore; per questo motivo, Domenico Volpi, decano della Letteratura Giovanile in Italia, definisce metaforicamente Rodari non come la stazione Termini, ma come la stazione di Bologna, non punto d’arrivo, ma di snodo importante per le diverse direzioni dei convogli[8].
Un contributo notevole allo sviluppo dell’animazione creativa è venuto, infatti, dal campo artistico. Il dadaismo, prima, e il surrealismo dopo, hanno esaltato, ispirati da un credo irrazionalista:
il valore fondamentale della libera immaginazione, come capacità creativa;
il gioco;
la combinazione casuale (di parole , oggetti, …);
il non-senso.
Sull’onda della teoria dell’inconscio di Freud, Breton nel suo primo Manifesto surrealista (1924) propugna l’automatismo psichico puro, mediante il quale si ha la possibilità di esprimersi liberamente (orale, scritto, grafico) senza l’assillo della Ragione.
Diceva Breton che bisogna scrivere senza controllo della ragione e senza preoccupazioni estetiche e morali; dunque privilegiare il sogno, il groviglio di pulsioni, le frustrazioni, le allucinazioni…
Il rapporto con il surrealismo lo esprime tranquillamente anche Rodari ne La Grammatica della fantasia. Molti passaggi di Breton sono richiamati inequivocabilmente dal maestro italiano. È il caso della riflessione sul “binomio fantastico”. Scrive André Breton nel Manifesto del 1924:
«L’immagine è una creazione pura dello spirito. Non può nascere da un paragone, ma dall’accostamento di due realtà più o meno distanti. Più i rapporti delle due realtà accostate saranno lontani […], più l’immagine sarà forte – e più grande sarà la sua potenza emotiva e la sua realtà poetica […]. E’ dall’accostamento in qualche modo fortuito dei due termini che è sprizzata una luce particolare, luce dell’immagine, cui ci mostriamo infinitamente sensibili»[9].
Scrive Rodari ne La Grammatica della fantasia: «Occorre una certa distanza tra le due parole, occorre che l’una sia sufficientemente estranea all’altra, e il loro accostamento discretamente insolito, perché l’immaginazione sia costretta a mettersi in moto per istruire tra loro una parentela, per costruire un insieme (fantastico) in cui i due elementi estranei possano convivere»[10]. Il pensiero è evidentemente coincidente.
Un altro aspetto da cui Rodari ha tratto ispirazione è il ruolo della metafora esaltata da Breton, contro l’analogia (considerata prefabbricata). Di derivazione dadaista sono i giochi di giornali ritagliati, con i titoli mescolati per ricavarne notizie di avvenimenti assurdi o divertenti. Ne aveva parlato Tristan Tzara in “Per fare una poesia dadaista” e lo stesso Breton nel 1° manifesto, in cui scrive espressamente che è lecito considerare poesia l’accozzaglia ottenuta mettendo insieme titoli ritagliati di giornali. E’ dal surrealismo che Rodari attinge l’importanza dello sviluppo libero della fantasia, del gioco di parole, del gusto per il non-senso.
Sia Breton, sia poi Rodari, credono nel valore formativo dell’assurdo e del non-senso; per questa ragione tributano entrambi un grande riconoscimento a Lewis Carroll.
Molte considerazioni di Breton sulla valorizzazione dell’animismo, del gioco di parole, dell’assurdo, potrebbero essere sovrapponibili a Rodari.
E derivate da Alice nel paese delle meraviglie sono alcune tecniche di Rodari, come lo sbagliare le parole (il meglio conosciuto: errore creativo) o l’intervento dell’autore teso a vivacizzare un testo.
Di derivazione surrealista, infine, sono i giochi verbali, il libero fluire della fantasia, l’apertura a immagini surrealiste in poesia, come ad esempio nel racconto Un cappello a cilindro, in cui un cappello sogna di farsi riempire di cioccolata calda[11].
Le opere di Rodari nascono in particolare dall’applicazione dei vari percorsi di animazione; i paradossi, i neologismi, i mimetismi fonetici costituiranno esempi da imitare. Come nelle Novelle fatte a macchina (1973) con l’esercizio surreale: cosa succederebbe se un coccodrillo si presentasse in TV; o come nel formidabile C’era due volte il barone Lamberto in cui Rodari prende alla lettera un versetto della religione dell’Antico Egitto, secondo cui l’uomo il cui nome è detto resta in vita, e costruisce una storia con situazioni vorticose, con personaggi esilaranti (un vecchio e ricco barone assolda sei persone per ripetere giorno e notte il suo nome, dal cui ascolto, così come è detto nel versetto egiziano, ringiovanisce).
Gusto per l’assurdo, per il non-sense, per le costruzioni ludiche, costituiranno una novità nel panorama della letteratura per l’infanzia, tanto che a giusta ragione Cambi scrive che con le tecniche rodariane, razionali nella stimolazione della fantasia, si chiude «decisamente con ogni interpretazione della creatività fantastica come evasione»[12].
Un’altra strada che certamente Rodari indica agli scrittori per l’infanzia a lui successivi, è lo stile, che nel maestro di Omegna è semplice, sempre facilmente comprensibile, con l’uso di figure, anche se tutta la sua opera sembra una grande metafora, come in Gli affari del signor Gatto (1972) in cui un felino rampante pensa ad una industria di topi in scatola, sfruttando i suoi simili per arricchirsi.
Uno scrittore fondamentale, dunque, che come scrive Nobile, dei bambini «ha saputo interpretare gusti, interessi, aspettative e al tempo stesso orientare emozioni, sentimenti, bisogni, idealità, nascente interesse per i problemi sociali, rispondendo con i suoi scritti alla loro ansia di giustizia, alla loro tensione verso il bene. E lo ha fatto chinandosi al loro livello di comprensione, in posizione di affettuoso e indulgente ascolto, avviando con i suoi piccoli interlocutori un dialogo paritario e fecondo»[13] .
[1] G. Bini, Rodari negli anni ’80, in “LG Argomenti”, n. 5-6, 1991, pp. 6-25, e n. 1, 1992, pp. 19-34.
[2] F. Cambi, Collodi, De Amicis, Rodari, cit., p. 137
[3] M. Argilli, Rodari, il diavolo e Don Chisciotte, in F. Ghilardi (a cura di), Il favoloso Gianni, Nuova Guaraldi, Firenze 1982, p. 25
[4] D. Giancane, I ragazzi e la lettura, cit., p. 54.
[5] F. Rotondo, Da “Edmondo dei languori” al “Favoloso Gianni”, in “LG Argomenti”, n.1/2, 1982, p. 30
[6] C. I. Salviati, Raccontare destini, Edizioni EL, Trieste 2002, p. 9.
[7] G. Rodari, La grammatica della fantasia, Edizioni EL, Trieste 1999, p. 178.
[8] Intervento di D. Volpi al convegno “Creatori di scrittura per creature da lettura”, organizzato dal Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile, all’interno della Fiera della piccola e media editoria, Roma 5 dicembre 2009. Cfr. Inserto – Atti del convegno, in “Pagine giovani”, n. 1, 2010, pp. I-XXVIII.
[9] A. Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi, Torino 1987.
[10] G. Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi Ragazzi, Trieste 1997, p. 26.
[11] Sulla derivazione delle tecniche rodariane dai dadaisti e surrealisti francesi si veda: C. Rodia, Scrivere fantasticando, in “Pagine Giovani”, n. 1, 2010, pp. XVII-XIX.
[12] F. Cambi, La ragione divergente nella “Fantastica” di Rodari, in “LG Argomenti”, n. 5, 1983, p. 5.
[13] A. Nobile, Rodari scrittore per ragazzi e saggista, in “LG Argomenti”, n. 1, 2010, pp. 12-13.
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