Poesia in cinque momenti e due congedi di Gianni Antonio Palumbo

di Maria Pia Latorre

 

Nell’aprile 2022 Gianni AntonioPalumbo ha pubblicato “Poesia in cinque movimenti e due congedi”,  un’ intensa plaquette, stampata in Sanremo, da Vitale Edizioni, per la collana “Autori suggeriti”. La struttura dell’opera è ripartita in un Preludio, il poemetto “Cantico del controsamaritano”, un Primo movimento intitolato “Variazioni selenitiche”, contenente cinque poesie, un Secondo movimento, Il “nido notturno” con all’interno sei poesie, un Terzo movimento dall’alto titolo “Geistliche lieder”, costituito di due canti sacri, e un ultimo poemetto conclusivo “L’asfalto e la grazia”.

Dai primi versi sino agli ultimi tutto l’arco dei sentimenti è espresso in modo  intenso e coinvolgente. L’eleganza stilistica è una delle cifre distintive di questo poeta che coniuga in sé amplissima cultura e profonda coscienza civica   e religiosa. Di fatti le atmosfere si avvalgono del suo poderoso background culturale, con una spiccata predilezione per la cultura tedesca e francese, tra quelle moderne, da considerarsi lanterne appese alla robusta quercia della cultura classica, intesa nella sua accezione latina di “vis-roboris” e proveniente dalla continua attività immersiva nel mondo classico da parte dell’Autore. Accurata la scansione dei componimenti, a creare una struttura che si regge in un perfetto equilibrio delle liriche tra loro e che tiene particolare cura alla  musicalità del verso.

La struttura dell’opera lascia presagire che il poeta abbia intenzionalmente costruito tale architettura avvalendosi dei testi pubblicati in passato  (che quindi hanno trovato coerente sistemazione), presenti sia in antologie (come nell’ ”Antologia di Poesia Italiana – Vent’anni del terzo millennio, a cura di L. Zaniboni), sia sulla rivista “Luce e Vita”, settimanale della Diocesi di Molfetta, ma con l’inserimento di alcuni inediti che costituiscono degli snodi fondamentali nel percorso.

Sin dal poemetto di apertura si respira un’aria di impegno e di denuncia; non scivolano silenziose le tragiche storie di Ester, Judith, Moishele, Nathan, Rachel, Sara e Abele, poiché, nel “Cantico del controsamaritano”, “sono fumo sulla collina di Mauthausen” e peso sul cuore del poeta. Poi esse passano il fardello di morte ai popoli dell’Africa che attraversano il Mediterraneo, per cullare un silenzio inerte a “lacerarci il cuore”.

Il verso, dunque, grida forte con l’intento di svegliare dalla narcolessia imperante e sferzare il torpore delle coscienze.

Il primo movimento è in diretta prosecuzione con il poemetto e ci porta per mano nelle vite drammatiche degli ultimi, dei fragili, dei perseguitati. I versi di Gianni Antonio Palumbo hanno la delicatezza dei fiori, ma si fanno forti e incalzanti quando ci si muove verso  la cogenza della denuncia. Allora il tono da elegiaco si fa sferzante e inflessibile. Più volte il Poeta, nel corso dell’opera, carica su di sé le storture del mondo e vorrebbe avere la potenza di risolverle, tanto gli procurano dolore; “io/ che degli angeli/ non veglio la luce”, ne è un edificante esempio, là dove “vegliare la luce” ha funzione di attenta e delicata cura, di mistica contemplazione, di coinvolgimento totale.

Il secondo movimento è tutto proiettato sul mondo femminile, con un atteggiamento di presa in carico, di partecipazione intima sia verso l’amica, che verso la compagna di vita, fino alla contemplazione della figura mariana. Meraviglioso il canto d’amore dedicato ad Anna, un prodigio neostilnovistico, a cui fa da contraltare l’intensa quanto afflitta poesia-denuncia contro lo sfruttamento della prostituzione; le due liriche, presenti nei due primi movimenti, sono in aperto dialogo e appaiono come le due facce della stessa moneta spesa per amore.

Il terzo movimento ha il biblico titolo “Cercare il tuo volto” ed è una raccolta di canti sacri che richiamano il libro dei Salmi e riecheggiano i  componimenti poetici di Novalis, ma si muovono elegantemente verso la modernità, con ricercato gusto dei particolari.

La conclusione ha struttura di poemetto in forma di canzone con ripresa imperiosa “Rosa semper rosa est, etiamsi in stercore dormiat”.

Fare poesia, mi è capitato più volte di riflettere, è anche scardinare, invertire la marcia, vagare senza meta nell’immaginazione, fluttuare tra oggetti trasfigurandoli, estraniarsi da se stessi, inseguire percezioni, contenersi in un urlo che vorrebbe dilatarsi, e quando ci dona sì tali versi: “È scesa la notte/ col suo argento di stracci./ E noi abbiamo/ bevuto la luce/ dai sussurri di un ramo” è la pace.

Mi piace qui ricordare un inno del IV secolo d.C. rivolto ad Iside, rinvenuto nella biblioteca di Nag Hammadi, in Egitto, per auspicio di volo ai versi di “Poesia in cinque movimenti e due congedi”, e a Gianni Antonio Palumbo.

Io sono la poesia”, “perché io sono la prima e l’ultima,/ Io sono la venerata e la disprezzata,/ Io sono la prostituta e la santa,/ Io sono la sposa e la vergine,/ Io sono la mamma e la figlia,/ Io sono le braccia di mia madre,/ Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli./ Io sono la donna sposata e la nubile./ Io sono colei che dà la luce e colei che non ha mai procreato./ Io sono la consolazione dei dolori del parto./ Io sono la sposa e lo sposo,/ E fu il mio uomo che mi creò./ Io sono la madre di mio padre,/ Io sono la sorella di mio marito,/ egli è il mio figliolo respinto./ Rispettatemi sempre,/ Poiché io sono la scandalosa e la magnifica”.

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