I Cantos e il declino dell’Occidente
di Sandro Marano«progresso, al diavolo il vostro progressola pigrizia di conoscere la terra e la rugiada»
Quando Ezra Pound (1885 – 1972), «formica solitaria d’un formicaio distrutto»,scrive questi versi, è rinchiuso, dopo l’arresto ai primi di maggio del 1945 per essersi schierato con la Repubblica sociale, in una gabbia presso il campo di concentramento di Pisa, dove starà fino a novembre per poi essere dichiarato infermo di mente e internato per dodici lunghi anni nel manicomio di Saint Elizabeth.
In questi versi, tratti dal canto LXXVI dei Canti pisani, che risplendono per bellezza poetica e forza rivoluzionaria, non è solo un poeta a parlare, ma anche un maestro di pensiero, un ecologista tout court. Si tratta a ben vedere di uno straordinario compendio di quel che è in nuce l’ecologia: critica e condanna del capitalismo che stravolge i ritmi naturali e mette i valori economici al di sopra di quelli etico-politici, perseguendo una nozione puramente quantitativa di progresso. Una sana economia, ci dice Pound, non può che fondarsi sulla natura vivente.
Il senso della natura vivente «maestra e regolatrice del mondo» (Giuliana Bendelli), con la splendida metafora della «sacralità del grano», circola in tutta l’opera di Pound: «Il mistero del grano che racchiude l’idea della fertilità e dell’abbondanza, è, secondo Pound, il nocciolo della tradizione religiosa che parte da Eleusi e si contrappone al culto dell’oro, divinità sterile e fasulla, imposta da culture nomadi e non agricole ai contadini del bacino mediterraneo» (Luca Gallesi, Sacro, vitale ed ecologico Ecco Pound “al naturale”, in il Giornale, 5 febbraio 2016).
Già in una delle poesie di A lume spento, il primo volume di versi pubblicato a Venezia nel 1908, il poeta americano sottolineava il suo amore per gli alberi:
«Sono stato comunque un albero nel bosco E ho inteso molte cose nuove che prima Parevano follia alla mia mente».
E nel canto LXXXI dei Canti pisani scrive:
«La formica è un centauro nel suo mondo di draghi. Strappa da te la vanità, non fu l’uomo A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia, Strappa da te la vanità, ti dico strappala Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo Nella misura dell’invenzione o della vera abilità dell’artefice. Strappa da te la vanità, Paquin strappala! Il casco verde ha vinto la tua eleganza».
Siamo parte della natura vivente, ci dice il poeta, e la malversazione dell’ambiente in nome d’un presunto progresso finisce per danneggiare l’uomo stesso, è stoltezza, è «vanità». Soltanto la consapevolezza della nostra collocazione nel mondo vivente può farci ritrovare la via, poiché la natura è l’unica a sapere il fatto suo, ha previsto ritmi ed equilibri che l’uomo non può alterare, pena la propria sopravvivenza o un irrimediabile peggioramento della qualità della vita.
In una poesia di Lustra del 1916 intitolata Saluto Pound aveva delineato una sorta di scala della felicità sulla base della semplicità e della naturalezza del modo di vivere: se il poeta è senz’altro più felice del borghese, i semplici pescatori malgrado «il loro riso sgraziato» e le loro «famiglie sciatte» sono più felici del poeta, ma forse più felici di loro nella loro inconsapevolezza sono i pesci:
«E i pesci nuotano nell’acqua e non hanno neanche il vestito».
Per Pound la poesia non è solo letteratura, né può limitarsi ad un semplice rinnovamento delle forme letterarie. È profezia che vuol farsi azione. È affermazione di una nuova scala di valori etico-politici. «La condanna dell’usurocrazia e la scoperta della tradizione cinese sono le significative vie maestre per il rinnovamento morale dell’occidente» (Francesco Grisi). Nasce in questo contesto il suo entusiasmo per il rinnovamento politico e sociale dell’Italia fascista e per la sua lotta contro le plutocrazie.
E qua viene spontaneo accostare Pound a Dante. Pound infatti «è l’unico che, per i caratteri peculiari della sua opera e della sua vita, possa essere avvicinato a Dante. […] Come Dante, Pound passa dalla lirica alla costruzione di un poema ciclico e tale da concentrare tutto il proprio sapere e tutta la storia dell’umanità. […] La cultura di Pound – e anche in questo il grande fiorentino gli è maestro e fratello – non è però certamente soltanto letteraria. La passione per l’economia politica che anima l’autore dei Cantos è il fedele corrispettivo della passione politica che pervade la Divina Commedia. E lo stesso concetto di usura, indispensabile per capire non solo il celeberrimo Canto XLV ma tutta la costruzione dei Cantos, tutta la visione del mondo e persino tutta la seconda fase della vita di Pound, ha un debito con il Dante che polemizza contro i nuovi ceti emergenti sulla crisi dell’aristocrazia feudale («la gente nova e i subiti guadagni») e soprattutto contro il fiorino, il dollaro di allora […] Anche le biografie dei due poeti si avvicinano, se si pensa all’esilio cui fu condannato Dante e alla prigionia che gli americani imposero a Pound» (Giuseppe Conte, Dalla parte degli sconfitti Pound come Dante, due artisti perseguitati dai nemici politici, in il Giornale, 8 settembre 1995).
La crisi ambientale denunciata da Pound nei suoi versi è solo un aspetto, il più visibile, e forse il più drammatico, di una crisi ben più generale e vasta che pervade la nostra civiltà in declino e che il poeta dei Cantos aveva già colto in tutta la sua portata.
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