Intervistiamo: FLAVIO SANTI
di Barbara Gortan
Flavio Santi, poeta, scrittore, traduttore e accademico italiano, impegnato nelle istituzioni destinate agli studi più raffinati e all’approfondimento delle conoscenze di più alto livello.
Nato ad Alessandria nel 1973, si è laureato in filologia medievale e umanistica presso l’Almo Collegio Borromeo di Pavia. Ha conseguito il dottorato in filologia moderna e ha studiato anche a Ginevra. È docente presso l’Università dell’Insubria di Como. Ha esordito nella narrativa nel 1999 con il romanzo Diario di bordo della rosa, che ha avuto una seconda edizione accresciuta nel 2014. Vari sono i temi trattati dallo scrittore, come ad esempio il vampirismo, con “L’eterna notte dei Bosconero” e il precariato con “La guerra civile in Italia”. Tra gli altri scritti si ricordano: “Aspetta primavera” (Lucky, 2011), candidato al Premio Strega e al Premio Paradiso degli Orchi, “Il Tai e l’arte di girovagare in motocicletta”, “Friuli on the road”, il saggio “L’altro cielo di Lombardia”. Del 2016 è il primo romanzo che ha come protagonista l’ispettore Furlan “La primavera tarda ad arrivare” a cui ha fatto seguito nel 2017 “L’estate non perdona”.
Di origini friulane ha scritto spesso di questa terra e le sue poesie sono state scritte sia in italiano che in friulano e sono state tradotte in moltissime lingue: inglese, francese, spagnolo, tedesco, norvegese, finlandese, olandese, indonesiano. Tra le sue raccolte poetiche ricordiamo: “Mappe del genere umano”, una distinta epica moderna con le avventure di un clone contemporaneo di Giacomo Leopardi. Nel 2001 esce “Rimis te sachete” che gli vale diversi riconoscimenti critici, come quelli di Mario Desiati, Enzo Siciliano, Andrea Cortellessa e del poeta friulano Amedeo Giacomini. Ricordiamo “A Set”, una raccolta di stampo civile e qui c’è l’addio dell’autore alla scrittura in friulano.
La raccolta di poesie di cui parleremo s’intitola “Quanti”, sottotitolo “Truciolature, scie, onde, 1999-2019” per la casa editrice Industria&Letteratura che inaugura una collana di poesia di un editore nato da poco e vince nel 2021 la novantaduesima edizione per la sezione poesia di un premio importante come lo storico Premio Viareggio Rèpaci. Il titolo Quanti rimanda innanzitutto alla fisica quantistica e all’interesse dell’autore per l’ambito scientifico. Deduce il tentativo di unire la sfera umanistica a quella più tecnico-scientifica. Ma Quanti rimanda anche a un’idea di quantità, di moltitudine. Il libro raccoglie vent’anni di vita poetica e di quanti sono stati e sono presenti nella sua vita: persone fisiche, a partire dalla moglie Chiara a cui è dedicata la prima sezione, una sorta di canzoniere d’amore 2.0, e ai poeti Fernando Pessoa e Franco Loi.
Ma non scrive soltanto di persone fisiche, anche di oggetti che popolano la nostra esistenza, quasi fossero delle vere e proprie persone, quindi poesie dedicate ad elettrodomestici, televisori, frigoriferi, ma anche gli schermi di vetro che sono diventati presenze costanti e quotidiane a cui è dedicata la seconda sezione che si intitola “ Memorie dello schermo di vetro”: una riflessione sui tanti schermi di vetro delle televisioni che ci accompagnano e ci separano, allo stesso tempo ci permettono di comunicare. La terza sezione contiene una serie di poemetti che il poeta chiama “quantici”. Sono una sorta di viaggio nel tempo dedicati a personaggi come il fisico Alan Turing o a fatti storici drammatici come il rapimento di Emanuela Orlandi, l’11 settembre. Ci sono poemetti dedicati anche a fatti più lievi come quelli del campionato di calcio e della squadra del cuore, l’Udinese.
L’ultima sezione si intitola “Lapidarie dell’incipit” che raccoglie una serie di testi non finiti, di abbozzi che il lettore può completare a suo modo, secondo la sua sensibilità e il suo gusto. Sono poesie non finite che però, attraverso puntini di sospensione, il lettore stesso può completare.
Per introdurre la prima domanda che faremo al poeta e per entrare nel vivo ecco una sua poesia:
Cristo…qual è la differenza
tra me e il mio frigo Rex blu
costato quattro stipendi e
dieci turni straordinari?
Che ha una superficie lavabile?
Che non si taglia i capelli?
Questa notte ci fissiamo
ero entrato in cucina
per prendere delle mandorle salate.
L’occhio é stato colpito
da un riflesso: era lui…
ce ne stiamo
muti l’uno di fronte all’altro
io a sgranocchiare mandorle,
lui a produrre ghiaccio
nel suo testone blu elettrico
che lo fa pensare molto.
Non sono quasi mai a casa:
lui c’è sempre, comincia
a essere tremendo, lui è autoritario
come piace a mia moglie.
Lei si struscia quando non ci sono
e il motorino va a mille.
I pensieri comunicano con le cose. A livello scientifico è dimostrato che siamo tutti connessi in qualche modo. Ci sono studi di fisica quantistica che dicono che separando due particelle che erano state unite, tirando uno schiaffo ad una l’altra reagisce anche a chilometri di distanza. Come è possibile? Perché tutto è collegato, tutto è connesso, anche a chilometri di distanza i pensieri comunicano con le cose? Lei cosa pensa in merito?
Questo le lo dicono tutte le grandi religioni del passato, te lo dice la scienza, il problema è che ovviamente nel macro mondo è difficile da dimostrare, è difficilissimo, mentre nel micro mondo, negli esperimenti fisici in laboratorio è più facile. Quindi c’è questo grande dibattito; alcuni parlano della fisica quantistica come la scienza per creare la tua realtà, se capisci come usarla, altri dicono che la fisica quantistica è solo nelle particelle. Ma tutto è fatto di particelle, le stesse cose che valgono nel micro mondo, valgono nel macro mondo?
A livello scientifico come fai a spiegare e dimostrare che se io penso a una cosa, ce l’ho in testa continuamente poi arrivano le occasioni per averla veramente?
Quindi i pensieri comunicano con le cose?
R. Credo di sì a me interessa molto questo aspetto. Tu hai fatto bene ad evidenziare questo tentativo di unire il mondo scientifico, con quello letterario. È una cosa che in Italia spesso non si fa, è invece sono due mondi che dovrebbero assolutamente dialogare. La cultura scientifica va per i fatti suoi e la cultura letteraria ha i suoi riferimenti, invece hanno tantissime cose in comune.Una frase bellissima di un grandissimo matematico del 900, André Weil dice “ Guardate che una soluzione matematica è una forma, un’opera d’arte “ perché i matematici arrivano spesso con l’intuizione, come i poeti arrivano attraverso quello che noi chiamiamo l’ispirazione, l’intuizione a comporre i versi, la stessa cosa fanno i matematici. Ci sono parecchi punti in comune, spesso però ce ne dimentichiamo, la poesia italiana spesso si dimentica di dialogare con la scienza, con gli aspetti scientifici. La fisica quantistica è la forma più all’avanguardia della fisica odierna, lavora a livello subatomico, è una fisica secondo la quale il famoso paradosso di Schrödinger del gatto vivo o morto. Un gatto può essere sia vivo che morto, questa è una cosa molto poetica se ci pensate. Il fatto che possano convivere due condizioni estreme, la vita è la morte, questa è veramente una forma, una sintesi poetica estrema. Ho sempre trovato la fisica quantistica molto interessante, c’è il discorso della instabilità che è molto filosofico. Noi siamo fatti di atomi a livello subatomico che oscillano, cambiano di stato continuamente. A livello macro non c’è ne accorgiamo, però siamo fatti di continue oscillazioni. La realtà non è monolitica, non è unica, è instabile. Questo c’è lo spiega la fisica quantistica, noi siamo fatti di atomi. Questa è un’altra cosa che trovo estremamente poetica e filosofica, questo discorso va assolutamente portato avanti, ci insegna il relativismo, non esiste un unico punto di vista, per cui è una fisica estremamente problematica e certi testi che ho scritto, soprattutto quelli finali sono testi instabili, anche loro sono testi quantistici perché iniziano e non finiscono. Nell’ultima sezione del libro i testi iniziano ma appunto non finiscono e a un certo punto sfumano con una serie di puntini, proprio per dare una idea di questa instabilità. Sono testi nati molto pragmaticamente perché avevo una serie di inizi. Paul Valery dice una cosa molto vera: il primo verso te lo dà Dio, poi gli altri versi sono fatica e te li devi guadagnare tu. Avevo tutti questi inizi che secondo me erano molto belli e poi non sapevo come andare avanti, lo confesso. In parallelo avevo questa riflessione sulla instabilità del testo, ho unito queste cose e mi sembrava che funzionasse. Tanto che qualche lettore mi ha detto: “Sai che li ho proseguiti e sono andato avanti”. Io non ci avevo pensato, questa comunione, però, è stata una cosa bellissima, se ci pensate, comunicare, la comunicazione ha come radice comune, mettere in comune, L’ arte è sempre e comunque una comunicazione, mettere in comune, è sempre un dialogo, non è mai un monologo. Il poeta nel suo scritto cerca di dare un testo, un quadro, una musica, però poi dall’altra parte ci deve essere sempre qualcuno che ascolti, veda, quindi è un dialogo. Qualche lettore audace mi ha detto: “Sai che c’è? Io vado avanti” e questo mi ha fatto molto piacere. C’è una sezione dove gli elettrodomestici hanno una loro vita, tu citavi quel testo di quel frigorifero blu. Quel frigo esiste, adesso è nel garage perché ha finito di funzionare però non siamo riusciti a liberarcene. La poesia parte sempre da un dato personale, però per essere una poesia che poi abbia qualcosa da dire deve acquisire anche un valore universale. Parte da un esperimento che è autobiografico, quel frigo rex esiste, poi è vero che spesso di notte io mi trovavo davanti a lui e mangiavo qualcosa. Lo vedevo ed è come se tra me e lui si stabilisse una specie di dialogo. Poi tutto il resto è inventato, non l’ho acquistato facendo i turni straordinari e io sono spesso a casa, quindi non è vero che sono sempre fuori, quindi la cosa è nata come un racconto. È una poesia che è stata molto tradotta all’estero quindi evidentemente qualcosa è passato e dice una cosa di cui sono assolutamente convinto: gli oggetti hanno una loro vita. Adesso gli oggetti hanno una loro obsolescenza programmata, quindi hanno una durata di dieci anni e poi li dobbiamo buttare. Prima invece duravano trenta-quaranta anni, avevano quasi una vita umana. Io faccio poesia soprattutto su quel tipo di oggetti. C’è una poesia su un televisore che a un certo punto smette di funzionare, però aveva una gabbia di legno dove conservi e metti i liquori. Questi oggetti sono veramente delle icone, poi ti rimandano a quegli anni, sono oggetti parlanti, hanno una specie di anima, parlano, sono vivi.
Lei scrive:
“La morte di un poeta
e chi se ne frega,
non fa storia, non la trovi
ai tg…”
Eppure la poesia ha accompagnato da sempre l’umanità, è nata prima della scrittura, è una forma d’arte che crea, ha origini molto antiche, è il registro più antico della letteratura. Gli aedi o cantori erano considerati figure sacre, equiparate a quelle dei profeti. Questo perché la creazione richiama l’aspetto divino. Il poeta attiva il suo genio solo dopo aver ricevuto l’ispirazione dalle muse, le figlie di Mnemosine, la dea della memoria, guidate da Apollo. Gli antichi consideravano la poesia un dono delle muse agli uomini, dove i poeti fungono da semplici intermediari. Quando il poeta riceve l’ispirazione divina viene trasportato sulle ali delle muse, in uno stato di realtà apparente e grazie ai doni magici riesce a trasmettere il messaggio all’uomo. Che cosa è successo alla poesia? La poesia era la chiave di accesso alla conoscenza e il poeta era una figura centrale per l’universo culturale. Il suo era in qualche modo un ruolo pubblico, di demiurgo, di sacerdote, di profeta. Qual è lo stato di salute della poesia oggi? Cosa è successo alla poesia e qual è oggi la funzione del poeta?
C’è un momento in cui ha scoperto e capito che doveva scrivere poesia? È di questo momento che le chiedo di parlare, quando è stato e come è stato vissuto?
R. Sono questioni, domande centrali, capitali. Il mercato editoriale è complicato, è vero che la poesia vende poco, ci sono un sacco di poeti, c’è uno squilibrio. Se tutti quelli che scrivono poesie comprassero almeno un libro di poesia allora il mercato editoriale sarebbe in ottima salute. C’è una predisposizione alla poesia, ad esempio il Nobel di qualche anno fa, Bob Dylan, non è stato casuale, è un segnale che anche la canzone è poesia, è da sempre così, da prima del Medioevo al rinascimento e all’Ottocento. Ancora oggi la canzone riuscita bene è una forma di poesia, può essere una occasione per avvicinare i giovani. Quando faccio gli incontri con le scuole, dico sempre ai ragazzi: guardate che voi ascoltate poesia dalla mattina alla sera, non ve n’è accorgete, però è così. Per carità, si può discutere sulla qualità dei testi, alcuni sono discutibili, però c’è lo sforzo. Se pensiamo ai cantautori Francesco Gucci i e Fabrizio De Andrè, la canzone riuscita al suo meglio è una forma di poesia. Noi siamo immersi di poesia, se accendiamo la radio noi la ascoltiamo, anche attraverso Instagram e tutti quei social in cui la comunicazione è veloce, questa forma di poesia è fulminea è adatta a questi tempi mordi e fuggi. La grand critica letteraria, quella ai tempi di Quasimodo che diceva: guardate che i poeti da leggere sono questi, adesso manca. C’è una grandissima confusione, i lettori sono disorientati e al al fine dicono: sai che c’è? Magari preferisco puntare su un romanzo. Noi paragoniamo la nostra esperienza quotidiana alla poesia, lo facciamo sempre, se ci pensate l’aggettivo prosaico, prosastico, tendenzialmente ha un valore un po’ negativo. Prosaica è una persona un po’concreta, non sognatrice. Nella nostra stessa lingua italiana noi abbiamo la positività della poesia rispetto alla concretezza della prosa. Siamo portatori di poesia noi stessi, non ce ne rendiamo conto, ma il lavoro grosso andrebbe fatto nelle scuole, perché è lì che i lettori si formano. Io accetto sempre con grandissimo piacere di incontrare i ragazzi di qualsiasi scuola e istituto. Perché bisogna andare verso di loro, fargli capire la lettura. Io gli dico: “ragazzi vi conviene studiare la poesia, io ho cominciato a scrivere poesia per conquistare quella che poi è diventata mia moglie.”
Nei componimenti della sua raccolta poetica quello utilizzato non è un linguaggio stentoreo e tonante, lambiccato e complicato. La sua poesia è piuttosto narrativa. Le parole emergono e risultano chiare e naturali. Chi sono i suoi maestri?
R. Sono tanti i maestri. Io di formazione sono un classicista, per questo amo molto Taranto. Ho adorato fin dai tempi del liceo la letteratura latina e greca, Catullo, Virgilio, perché aveva una concretezza, la capacità di parlare del quotidiano, anche del quotidiano più scomodo è più difficile. Mi aveva colpito sin da subito, i miei maestri sono stati i classici.Era destino che facessi il traduttore, in classe tutti odiavano le versioni, invece io ero contento perché potevo sperimentare, cercare di dire con le proprie parole dei concetti che erano stati espressi mille anni fa. La traduzione è una forma di scrittura, è una forma di riscrittura. Lo diceva già Petrarca quando decise di tradurre in latino una novella di Boccaccio. Ci fu un bellissimo scambio tra di loro e Petrarca gli disse: “Lo sai i concetti erano i tuoi, però le parole sono mie”.Nella traduzione uno mette le proprie parole, il proprio italiano.Quando mi chiedono come faccio a scrivere poesie, io gli consiglio di leggere moto. Il poeta è per prima cosa un grande lettore e poi un altro consiglio che do, se si vuole andare più sul tecnico, è quello di tradurre. Prendi una pagina di un poeta che ti piace, o anche una pagina di un romanziere che apprezzi e prova a tradurlo. Perché la traduzione è una forma di riscrittura, perché i concetti son quelli però le parole sono tue, perché sono quelle del tuo italiano. Entri nello specifico perché quella è una forma di esercizio.Ho avuto una fase di innamoramento dei grandi classici. Molto provocatoriamente dico dopo la Bibbia e i poemi Omerici è stato scritto tutto, quindi noi non facciamo un po’ che riscrivere. Io in questi ultimi anni ho scritto una serie di romanzi gialli e lo dico sempre: “Guardate che il primo caso, la indagine gialla la trovate nella Bibbia, nella genesi. Caino e Abele, funziona come giallo, c’è l’omicidio, c’è il depistaggio, c’è addirittura l’interrogatorio. Certo lo fa Dio. C’è proprio il meccanismo classico di quello che poi è il nostro giallo. Se rivivi i poemi Omerici c’è tutto, non a caso Quasimodo tradusse l’Iliade e l’Odissea. Quindi dopo questa fase di innamoramento dei fondamentali mi sono guardato intorno per vedere cosa è successo negli ultimi cento anni. Come poeta amo molto Pierpaolo Pasolini. Io sono di origine Friulana, quindi le mie ultime poesie le ho scritte anche in lingua. Tutti i dialetti sono delle lingue, sono forme espressive di una potenza. Ci sono delle cose che puoi dire solo in dialetto. Io ho avuto la fortuna di essere molto amico di Enzo Siciliano, che era molto amico a sua volta di Pierpaolo Pasolini e Come se lo avessi in un certo senso conosciuto. Quando vado in Friuli, la prima cosa che faccio è andare sulla sua tomba, poi quest’anno ho curato uno spettacolo ispirato ai suoi testi. Pierpaolo Pasolini per me è veramente un punto di riferimento, perché è una poesia la sua molto concreta, poi è uno che amava molto sperimentare, alcune poesie sono molto liriche, altre molto concrete. Questo aspetto di sperimentazione mi ha sempre molto interessato. L’altro poeta che amo molto è Attilio Bertolucci, anche lui amico sia di Pasolini che di Enzo Siciliano, è un poeta molto lirico e nello stesso tempo molto narrativo, lui proprio ti racconta e a me poi alla fine interessa soprattutto questo tipo di poesia che racconti, una poesia molto narrativa, più della poesia lirica. Io amo molto la poesia Inglese e Americana molto di racconto, Walt Whitman, che racconta cose, lui mi ha sempre molto affascinato. Raffaele Carrieri, è un poeta molto interessante, Vittorio Bodini, Rocco Scotellaro. Ci sono dei filoni che sono stati un po’ dimenticati, che sono molto alti. Le loro sono grandi poesie. Ci sono delle eccellenze spesso dimenticate. Di Vittorio Bodini c’è una bellissima poesia dove lui addirittura usa il nome di un paesino Cocumola. Io ci sono andato con mia moglie Chiara, una notte ci fermammo in questo paesino in un B&B che si chiamava Cocumola. Pensai questo Cocumola mi ricorda qualcosa… c’è una poesia di Vittorio Bodini dove questo Cocumola diventa addirittura un verbo. Lui dice: “La vita cocumola nelle pentole”. L’estro, l’invenzione della poesia, queste sono opportunità che ci da solo la poesia. Prima vi dicevo guardate che noi siamo immersi nella poesia, non c’è ne rendiamo conto, la pubblicità è una forma di poesia, lo dice Paul Valéry all’inizio del 900. Se ci pensate la pubblicità che funziona sfrutta tutte le tecniche della grande poesia: la sintesi, la scelta della parola che colpisce, quindi senza andare lontano la stessa pubblicità riuscita bene è poesia. Tanti grandi poeti Giovanni Giudici, Franco Fortini, hanno lavorato negli anni 60 come pubblicitari. Quindi questo legame poi alla fine tra pubblicità e poesia se fatto bene, rende, funziona. A me piace molto la poesia narrativa, poi leggo anche quella lirica più emotiva, però quella che forse mi ha formato di più è questa. Anche quella di tanti friulani meno noti, un nome per tutti Amedeo Giacomini, che è un grandissimo poeta friulano che ho avuto la fortuna di frequentare, un po’ dimenticato ma è un poeta a livello internazionale, cercate su google e troverete qualcosa. La storia dei poeti ha degli strani percorsi, poi magari tra 20, 50 anni torneranno in auge. La storia ha degli strani modi di far emergere dei poeti e l’Italia è piena di eccellenze.
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