di Pasquale Allegro Incapace di rispondere, il poeta sa quanta importanza hanno le parole. Dietro un riflesso da bambino impaurito, chiude gli occhi per tentare di dissolversi in quelle parole.
Cosimo Lamanna ha l’aria seria dei bambini che la vita ha reso poeti un giorno qualunque in cui si trovavano a spulciare le nuvole, volerle raccontare, “il loro assottigliarsi”. Con i versi a incorniciare un volto sorpreso dalle piccole cose. Una poetica delle minime cose che non si risparmia comunque di scavare fino a mettersi a nudo, lasciando di quel disinvolto candore una sensazione quasi carnale.
Lamanna non sperimenta nuovi percorsi, è così uguale a sé stesso, dalla prima pubblicazione la sua voce è così riconoscibile; forse con questa nuove silloge l’osservazione del paesaggio emozionale attorno a lui si fa solo un po’ più viscerale, è la voce dell’osservatore invisibile e nostalgico di una quotidianità da cui per incanto si vuole prendere distanza, nell’attesa che si spalanchi una porta invisibile per fuggire via, lungo questa strada di folli chiamata esistenza, dritta, levigata, verso la rivelazione di un mondo altro. Fa tesoro di ogni esperienza, di ogni zolla di emozione, rinnovando sentimenti e relazioni, moltiplicandoli in rivoli di frammenti. La sua poetica risente i tormenti di chi cerca dalle storie ordinarie degli indizi abbastanza espliciti da costituire un sogno, che si tratti di un movimento compiuto nel sonno o magari di un gesto definitivo, come in un “depositarsi eterno di conchiglia”, quel mormorio, quel rumore sordo di mare lontano trovano un’eco in lui. Sono boccate di poesia ma rilasciano un suono, così da poter finalmente realizzare: “Non ti ho più scritto le mie parole mute”.
In Zolle il poeta continua la sua indagine, spinge le sue ricerche il più lontano a lui possibile prima che cada la notte. Ogni minimo movimento dietro la finestra lo spinge ad appuntare un verso, il tempo di fare un balzo di lato per tornare al suo nascondiglio, rifugio per poeti fuori ruolo nella vita d’ogni giorno, rinunciando alla bellezza, ripiegando sui soli doveri come un criminale in agguato. La notte, poi, è il momento in cui i poeti sembrano lamentarsi spesso, alla ricerca della parola, “ti dirà la notte” qualcuno ha confidato loro, quando riescono a esaminare ogni dettaglio delle scene del giorno e la brutalità degli avvenimenti si dissolve nella luce calda dell’abat-jour.
Come vedi le cose poeta? Si sentirà domandare il giorno dopo. Tutto è illuminato ma niente mi parla, risponderà senza staccare lo sguardo dalle più piccole cose.