Un passo autobiografico e soffi di nostalgia

di Leo Luceri

 

Nel 1985 sono tornato a vivere in Svizzera, dopo l’anno rubatomi per il militare, e nelle vetrine delle librerie ero attratto da un titolo che trovavo meraviglioso: “Die unerträgliche Leichtigkeit des Seins”.

Uno dei miei migliori amici, Igor, era cecoslovacco e tramite lui avevo conosciuto altri esuli provenienti da Praga o da Bratislava. Tutti mi consigliavano di leggere Kundera, tutti lo amavano e lo rispettavano. Il titolo in tedesco era meraviglioso, ma il mio tedesco un po’ meno e avrei potuto leggerlo solo a costo di usare frequentemente il dizionario. Aspettai le vacanze di Natale per comprarlo in Italia.

Il titolo italiano lo trovai perfino più bello: “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. Lo lessi d’un fiato e durante le vacanze di primavera mi precipitai a Praga. I miei amici per ovvi motivi politici non potevano accompagnarmi, ma mi riempirono di consigli, di suggerimenti e anche di qualche contatto.

La città era bellissima, un po’ decadente, d’un grigio tendente al nero, d’una tristezza sobria, da signora altolocata. Teatri e musei, caffè d’altri tempi, dal sapore mitteleuropeo.

Un’amica di Igor mi procurò diversi biglietti a prezzo locale per spettacoli e visite. Il mercato nero della moneta era dovunque. Zuzana mi aveva dato appuntamento in un bar di Piazza Venceslao, una piazza trafficata e molto diversa da come appare oggi. Nell’attesa che arrivasse, un attempato signore italiano che si accompagnava con una giovane ed avvenente ragazza ceca, capendo che anch’io ero italiano, mi confidò che Praga era il paradiso per chi come lui aveva un certo tipo di interessi.

Per ritrovare qualche atmosfera da insostenibile leggerezza me ne andai a Mala Strana, in quel caffè a sinistra della piazza che mi avevano detto punto di incontro di poeti e scrittori. Una ristrettezza economica portata con decoro. Borse di finta pelle, occhiali di celluloide, torte che sembravano artificiali, caffè improbabile. Discussioni a bassa voce e sigarette tirate all’estremo. Camicie bianche. Sensazione da piccoli drammi borghesi considerati ineluttabili e perciò portati avanti senza pensarci troppo su. Ma anche una certa gravità dietro la quale non si faticava a decifrare sensualità, desiderio, voglia di essere altrove senza dover perdere tutto ciò.

Iniziò da allora il mio amore per Praga e il mio periodo di emozionate letture kunderiane durato diversi anni.

La vita poi mi ha portato a vivere a lungo da quelle parti, a conoscere ancora meglio la città anche nei quartieri periferici dove resta un po’ di quell’epoca attaccata ai muri e nelle vetrine.

Quel caffè ormai non esiste più e al suo posto hanno aperto uno Starbucks.

Praga resta comunque bellissima.

Kundera si è seduto da qualche parte nel mio cuore.

 

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