L’autore imbastisce una storia nella quale Bari spicca in tutta la sua bellezza e suggestione, con angoli e storie poco note. Ogni “tappa” verso la conoscenza ha come ambientazione un luogo simbolico e magico del centro storico. Il lettore cammina nei vicoli insieme ai personaggi della storia: un uomo, una donna che appare e scompare e un gatto nero. Il viaggio è una scoperta di se stessi, della propria storia, un’immersione nelle proprie paure, limiti e desiderio di andare oltre. E non è forse questa la conoscenza? Si può giungere ad averne in mano tutte le chiavi di lettura? No, sarebbe presunzione e la fine della ricerca. Dunque anche il nostro protagonista vede sfumare questa occasione, dopo un girare sfiancante e intenso, un girare sempre accompagnato dalla luce, espressione metaforica saliente.
A partire dalla Cattedrale, passando per il quartiere ebraico, la chiesa del Carmelo e di San Gaetano (il più delle volte chiuse), la Basilica di San Nicola e la Colonna infame (solo per offrire degli accenni) ci si può inebriare con l’aria salmastra del mare, i profumi e la poesia di una città antica e multiculturale. E la storia di Bari è la nostra storia, costituita da intrecci e mescolanze le cui fila partono da lontano. È questo anche il senso del romanzo credo, comprendere che siamo il risultato di più culture e retaggi e farne tesoro per giungere alla Conoscenza dell’Albero della vita.
Sarebbe interessante ripercorrere il tragitto costruito da Lerario, tragitto e luoghi che personalmente ben conosco ma sui quali tornerei a seguito della lettura di Kybarion.
Le perifrasi semplici e i dialoghi permettono una lettura incalzante come lo è la trama. Il resto lo regala Bari con la sua luce, metaforica o meno.