Giovanna Righini Ricci tra la narrativa degli anni Settanta e i nuovi orizzonti
di Cosimo Rodia
C’è una verità sotto gli occhi di tutti: anche il libro per ragazzi è entrato lentamente (almeno nelle società opulente) nella sfera dei prodotti globalizzati; ovvero, soggetto alle leggi economiche del profitto. Sono stati già analizzati gli effetti negativi di uniformità e omologazione culturale che la globalizzazione e ancor più la “bestsellerizzazione”[1] del libro per ragazzi produce.
Il rischio è che i ragazzi siano (sono) preda del “Baco del Consumo”, siano massificati e considerati più consumatori che lettori. Jack Zipes rileva molto bene che la scelta di vedere un film, lo sport da praticare e le stesse offerte fatte dalle scuole rispondono a bisogni indotti regolati dalle industrie culturali; nel senso che la “formazione della cultura” se prima dipendeva da un lento processo di formazione, socializzazione e acculturazione, ora tutto avviene su canali diversi, più rapidi e diretti.
Il problema è allora di mediazione tra il nuovo modo di produrre libri, i nuovi bisogni e i veri scopi che ogni soggetto educativo deve porsi. Scrive Zipes che di fronte ad una vittoria schiacciante del mercato è necessario porsi delle domande, con l’obbligo di darci risposte, sull’identità «dello scrittore per ragazzi, sulla sostanziale inesistenza della letteratura giovanile intesa come corpus unico e omogeneo che ha obiettivi e interlocutori, sul ruolo del critico e dello studioso in quanto “produzione di gusto”»[2].
Analizzando i romanzi di Giovanna Righini Ricci (1933-1993) si risponde ad alcune domande poste da Zipes, in particolare sulle peculiarità dello scrittore per ragazzi, in lei salta subito evidente la capacità di radiografare sia la psicologia del ragazzo nel tumultuoso processo di crescita verso l’autocoscienza, sia la dimensione della realtà nei più significativi problemi di oggi. La scrittrice mi sembra, infatti, capace di offrire libri rispondenti alle aspettative del ragazzo in ordine all’avventura, ai sentimenti, alle relazioni, veicolando nel contempo problemi sociali, politici e di costume. Dal punto di vista generale, nei vari romanzi troviamo gli ingredienti tipici della letteratura per ragazzi: ovvero, viaggi, vacanze, scoperte, incontri strani, personaggi misteriosi.
Analizzando i romanzi più densi e articolati si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte ad una scrittrice che non solo tiene in alta considerazione, ma considera capitale per la formazione della personalità, il travagliato passaggio che dalla pre-adoloscenza porta alla maturità; è nel fronteggiare le forti turbolenze, le opposizioni nette (bello-brutto, bianco-nero, buono-cattivo), che si forma il carattere, si scoprono e si consolidano le idealità.
C’è in Righini Ricci la piena consapevolezza che ad ogni fase della crescita del fanciullo corrisponda un livello diverso d’intelligenza; e ad ogni fase intellettiva corrisponda un linguaggio “tipico”. È questa la ragione che le ha permesso di scrivere libri diversi per le varie fasce d’età.
Giancane[3] opera una classificazione delle opere della Righini Ricci, in libri adatti agli adolescenti, ai pre-adolescenti, ai bambini di scuola elementare (come Gli animali e l’uomo – 1980, I figli di Kira – 1973), Il mondo di Paolino – 1979).
Soffermiamoci solo su alcuni romanzi che per temi e struttura testimoniano la valenza della scrittrice.
Ragazzi sulla linea del fuoco
Nel romanzo Ragazzi sulla linea del fuoco[4] sale in cattedra la storia e il periodo resistenziale, per lunghi anni un vero e proprio “buco nero” nella narrativa ragazzi. Negli stessi anni escono La mia Resistenza (1965) e La doppia età (1978) di Sauro Marianelli (1933); Ragazzi della Resistenza (1964) di Ermanno Libenzi. Prima del 1971, quindi, i romanzi tematici per ragazzi sulla guerra sono contati, annoverando soltanto il già citato Il sentiero dei nidi di ragno (1947) di Calvino e Mille e una Italia (1960) di Giovanni Arpino (1927-1987).
L’Autrice ravennate, sgombra da istanze ideologiche, ma fortemente motivata da esigenze etiche, fa muovere i suoi giovani protagonisti: Berto, Gianni, Mimma e altri in una cornice di guerra; entro avvenimenti di cui ignorano cause e ragioni, ma dei quali subiscono i riscontri fisici nei sabotaggi, nelle violenze, nelle ritorsioni dei tedeschi. La funzione dei ragazzi? Intanto nel romanzo i giovani non sono spettatori delle azioni degli adulti, ma ne sono i protagonisti, con gli adulti quasi a fare da contorno. Ad esempio, è Berto, ancora tredicenne, che guida un traino tirato da un asino e decide di salvare il giovane partigiano permettendogli di passare nascosto sul suo carro al di là del ponte sorvegliato dai tedeschi. Ed è ancora Berto che, attraversato il ponte, risolve il problema, consegnando al giovane partigiano la sua bicicletta nuova, per facilitargli la missione che aveva da svolgere. Quindi, giovani protagonisti, impavidi di fronte al pericolo, probabilmente per l’ardore incosciente dell’adolescenza e con la tensione positiva verso il prossimo, tutta giocata sulla solidarietà senza risparmio (scoperta proprio a questa età), che potremmo considerare la ricchezza dell’umanità, da cui attingere in fasi storico-esistenziali di inaridimento.
Nella narrazione della Righini Ricci prevale una leggerezza e una giovanilità del racconto da costituirne una peculiarità; non c’è nessun assillo di fare una compita narrazione storica; la storia in verità rimane ai margini, è una cornice entro cui, con un po’ di incoscienza e con molta baldanza, umanità e solidarietà, si muovono i giovani con la forza emotiva propria dell’età.
La collina delle iguaneLa collina delle iguane[5] è un romanzo più arioso, articolato, con caratteristiche che puntualmente troveranno spazio nelle opere successive. È forte nell’autrice un processo spontaneo di creazione di storie dai caratteri, direi, balzachiani: ovvero, molti intrecci, molti personaggi, molte situazioni sui generis, un certo gusto per i soprassalti, tanti momenti di discontinuità nello scorrere dei fatti, da creare sorprese narrative, azioni che si svolgono con una certa rapidità. Ecco la novità del libro, che inaugura una formidabile serie positiva. C’è nella scrittrice l’indubbia capacità di saltare sulla frequenza d’onda dei giovani, di raccontare i fatti della loro vita e d’essere adeguatamente distaccata.
Ne La collina delle iguane prevale l’avventura e si riscontrano i topoi della letteratura giovanile. Ce ne accorgiamo seguendo il suo protagonista, Tony, un giovane cantante imbarcato sulla “White Heron”, al quale ne succedono di tutti i colori. È incaricato dal capitano di tenere compagnia a Gaja, sorella di un bambino disperso in mare, della cui morte la ragazza si sente responsabile, ed è soffocata dal senso di colpa. Per una serie di circostanze la nave da crociera fa scalo nella povera città di Mazatlan, in Messico. Qui il nostro eroe incontra Felipe, un messicano lustrascarpe, e diventano i soggetti di una serie di avventure: dalla visione della Balena bianca visibile da un nascondiglio segreto, alla fuga dai quartieri malfamati evitando una rapina, fino alla dimostrazione dell’innocenza di Felipe ingiustamente accusato di furto. Tante avventure, che costituiscono il pepe del romanzo; poi, tante figure di contorno e funzionali alla narrazione: il medico di bordo Erik; il dolce e comprensivo cinese Choi Ming, i superficiali fratelli texani, la vecchia Dolly…
La caratteristica della Righini Ricci è di dare al romanzo anche una valenza politico-sociale e di condannare (non tanto velatamente), la vita fatta di lussi e sfrenatezza; è il caso dei croceristi che per evitare di far perdere brio alla vacanza, non discutono nemmeno della morte del bambino in mare; è evidentemente una tendenza consolidata nelle società opulente: la morte e la sofferenza devono essere anestetizzate. Non manca lo sguardo accusatorio su un mondo di miseria e di abbandono, dove l’uomo pesa quanto una piuma e la morte respira a fianco della vita.
Un bel romanzo in cui Righini Ricci dà prova di scrivere con una affabulazione vera, spontanea, inserendo elementi geografici probabilmente visitati direttamente o recuperati attraverso documenti.
Là dove soffia il MistralLà dove soffia il Mistral[6] è un libro d’avventura, per l’evoluzione dei fatti, per il gusto del rischio, per l’attrazione verso la novità, per il desiderio di fuggire. E sotto il dettato limpido degli intrecci, troviamo una forte visione antropologica e una prospettiva pedagogica.
Il carattere peculiare della Righini Ricci è di intrecciare i vari motivi antropici, sociali, ambientali, memoriali, adolescenziali, avventurosi senza che nessuno prevalga su l’altro, e principalmente senza snaturare o forzare la purezza del racconto, e al tempo stesso senza rinunciare a indicare prospettive valoriali né abdicare a un impegno educativo. Come scrive giustamente Giancane[7], che un testo narrativo debba in primis coinvolgere il lettore, sedurlo, provocargli piacere è persino ovvio, ma non è altrettanto ovvio che una narrazione “per ragazzi” debba trasmettere valori, indicazioni, riferimenti, momenti di crescita personale ovvero di formazione.
La produzione dell’Autrice appare straordinaria perché mette assieme le due esigenze: la resa estetico-linguistica e la proposizione di valori (lo “sguardo” incantato sull’adolescenza come età di ricerca d’identità, la necessità di un mutamento della mentalità in senso multiculturale e di apertura alla diversità in ogni sua accezione, il recupero della nostra cultura contadina, la riflessione attorno a problematiche ecologiche e ambientaliste).
Là dove soffia il Mistral è un romanzo ambientalista. In una sub regione paludosa e incontaminata della Francia meridionale, la Camargue, alla foce di un fiume, abitata da tori e cavalli, si incontrano i due ragazzi protagonisti del romanzo: Camilla e Vincente. La prima è ospite dei nonni Gaspàr e Briseide, con la sorella Livia e i genitori: Frederic, sempre occupato con il lavoro, e Betta, giornalista di rotocalchi patinati, una donna urbana nei modi che mal si adegua alla vita semplice in quell’angolo di paradiso. Vincente passa l’estate dal fratello maggiore Cesar che sostituisce la figura paterna da quando sono rimasti orfani; ha sedici anni, è chiuso ed introverso. Camilla è l’esatto contrario. Ha un anno in meno, è vulcanica, intraprendente, tanto che è la promotrice di una serie di esperienze; quella clou è quando scoprono nel folto bosco una villa misteriosa con una supposta bambina tenuta prigioniera. Camilla coinvolge Vincente e la sorella Livia con il suo fidanzato Pierre, commissario di polizia. Dalla casa misteriosa si dipana un giallo con un finale imprevedibile ed anche concitato. Nel parco in effetti c’è una villa abitata da uomini truffaldini che tengono segregata una bambina. Quando Pierre va per arrestarli inizia un inseguimento nel quale l’uomo misterioso trova la morte e la bambina si salva. In verità tutto il capitolo ventunesimo sarebbe da leggere per il climax, per la successione dei fatti ad alata tensione, per le svolte e le trovate narrative.
In questa fabula centrale troviamo evidentemente quello che D’Amelio chiama le categorie a priori della letteratura giovanile: ovvero, lo spazio della fantasia, l’avventura fatta di rischio e di lotte, con un parziale lieto fine. A morire è l’eroe negativo, quindi colui il quale non innesca nessun tipo di identificazione.
La natura incontaminata, selvaggia e incantevole è il grande palcoscenico sul quale si svolgono le azioni e si atteggiano le varie specie animali, guardate anche nelle loro singolarissime e misteriose risposte ai fenomeni naturali; vale come esempio il gatto Tatò: quando si scatena il vento di Mistral, proveniente da nord/ovest, turbolento ed asciutto, il gatto subisce il misterioso richiamo di una vita selvaggia.
Un romanzo ricco, completo, articolato, scritto con un linguaggio semplice e altamente comunicativo.
Ombre sul NiloOmbre sul Nilo[8] è un romanzo d’avventura pura; inizia con i protagonisti già in vacanza in Egitto. Il personaggio centrale è Mary Beth, detta Meribì, una quindicenne impetuosa, “un uragano”, esattamente il contrario della sorella Mary Ann, tranquilla e contemplativa. Le due ragazze sono accompagnate dal padre, Bob, giornalista americano accreditato all’ONU, e dalla madre Rose, emotivamente instabile a seguito di un grave incidente stradale. Nel corso della vacanza si sparge la notizia di un attentato all’aereoporto di Roma; Bob è avvisato di tenere gli occhi aperti, perché l’attentato è stato rivendicato da gruppi sovversivi con seguaci anche in Egitto e che avrebbero potuto mettere le mani su un giornalista americano. Intanto la vacanza continua; un volo li porta ad Assuan, per imbarcarli su una motonave e scendere il Nilo. Prima dell’imbarco Mary Ann nota due arabi e li rivede a poppa della feluca mentre si recano al tempio di Iside. Appena scesa, la ragazza cerca tra la folla di filmare un arabo che suona l’antico sistro. Il ragazzo, sentendosi puntato, sparisce. Sono le avvisaglie di un pericolo imminente e cresce nel lettore l’attesa di un colpo di scena. Intanto Meribì conosce Kalil, l’altro protagonista, che le parla del Nilo e della diga di Assuan. Intanto la presenza dell’arabo diventa sempre più minacciosa. Durante una festa in costume, Kalil si avvede dell’uomo avvolto nella gellabia bianca che parlotta nell’ombra. Se ne insospettisce e pensa di parlarne al direttore. Il giorno dopo continuano le escursioni; la meta è l’isola Elefantina; Kalil decide proprio all’ultimo momento di seguire il gruppo di turisti. Intanto scatta il piano dei rapitori. Mary Beth, come altri croceristi, sale su un cammello per fare il giro dell’isola, ma i due uomini in gellabia bianca la trascinano via. Nel frattempo Kalil si accorge del rapimento e inizia un inseguimento avventuroso. Mary Beth affronta con coraggio la terribile esperienza. Viene portata in un campo di beduini e Kalil la libera con un’azione fulminea. Da questo momento comincia un’altra odissea; i turisti vengono rispediti immediatamente al Cairo, perché si teme la chiusura dell’aeroporto a seguito di scontri civili. Kalil e Mary Beth scoprono che la nave è già partita e che l’aeroporto è chiuso; chiedono ospitalità ad un fellah (un povero contadino), e per non essere riconosciuta Mary Beth si taglia i capelli e si tinge la pelle. Riescono a prendere il treno per il Cairo; durante il viaggio, un gruppo di predoni assale il treno. Kalil mette in salvo Mary Beth. In queste fughe rocambolesche a Mary Bath passa per la testa l’idea che Kalil possa essere complice dei suoi rapitori. Ma le peripezie continuano; cercano ancora rifugio in un campo di beduini, quindi ripartono, accompagnati da Ismahil fino a Memphy. Ancora un colpo di scena: Kalil cambia direzione, perché vede dei soldati, quindi si dirigono verso Saqqara. Per la notte si rifugiano in una “mastaba”, tomba millenaria dove venivano sepolti i dignitari dei faraoni. Finalmente giungono al Cairo. Maribì riabbraccia il padre e Kalil le regala un cartiglio d’oro con l’incisione del suo nome in geroglifici.
Nell’ultimo capitolo, quando tutto sembra ormai risolto, si riaffaccia la suspence. Un pugno di facinorosi si dirige verso il loro lussuoso Hotel, simbolo del capitalismo e dello spreco. Poiché in città vi è fermento per il rincaro dei generi alimentari, si aizza la folla contro gli stranieri. L’Hotel viene incendiato; Bob e Maribì riescono a prendere l’ultimo volo disponibile prima che le autorità proclamino lo stato di emergenza. Mary Beth pensa a Kalil e rivive con nostalgia i giorni terribili e nel contempo belli e intensi.
Per quanto siano presenti nel romanzo vari nuclei narrativi, quello centrale rimane l’avventura. C’è un alternarsi veloce, quasi vorticoso, di avvenimenti, proposti in una successione filmica certamente rispondente al bisogno vitalistico che hanno i giovani lettori, attanagliati dal bisogno di esperienze (reali o immaginarie).
Se è innata nei preadolescenti la propensione al rischio e alla lotta, mi sembra che Ombre sul Nilo lo mostri letterariamente. I repentini colpi di scena, le virate narrative, i cambi di fronte, fanno assumere centralità allo svolgimento della trama, ai fatti narrativi legati alla fabula, che ne costituisce il blocco assolutamente centrale, lasciando agli intrecci solo briciole in termini di attenzione e partecipazione. Kalil e Maribì sono due protagonisti, in cui facilmente un giovane lettore potrebbe identificarsi, perché sono belli, impavidi, forti e vincenti, lo dimostra il lieto fine.
Le stagioni dell’arcobalenoLe stagioni dell’arcobaleno[9] è un altro romanzo importante dell’Autrice; un libro diviso in due parti, ognuna delle quali da dare in lettura a fasce d’età differenti. La prima direi adeguata a ragazzi nell’età della preadolescenza (11-13 anni), la seconda ad adolescenti (14-17 anni); e questa dicotomia testuale non è tanto nel linguaggio o nella struttura del testo che si mantengono costanti, ma nei temi trattati, nei pensieri e nelle implicazioni sul piano esistenziale, affettivo, sociale.
I protagonisti sono un gruppo di ragazze che frequentano la terza media: Cristina, Sandra, Elisa, Silvia, che nell’orario extrascolastico costituiscono un “clan”; i loro movimenti servono all’autrice a fissare dei paradigmi, attraverso cui inquadrare ad angolo giro il mondo della crescita giovanile fatto di ansie, sensazioni contraddittorie, timori, pudori delicatissimi, prime fibrillazioni nello scoprire l’altro sesso; ma anche di solidarietà e di slanci senza riserve, com’è nel romanzo la corsa ad aiutare Maria Rosaria, una meridionale siciliana che vive con il dramma dell’indigenza e di una mamma che l’aveva abbandonata.
La parte iniziale del libro narra i primi contrasti genitori-figli e l’insorgere del sentimento d’amore nei preadolescenti, quando uno sguardo origina un cortocircuito emotivo. I toni sono delicati, quasi pastello; l’autrice dà prova di padroneggiare i movimenti dell’animo e la parola.
Nel presentare la classe del clan, l’autrice disegna le varie tipologie di ragazze: dalla secchiona, alla vanitosa, alla invidiosa. Inoltre i protagonisti sono tagliati sull’esempio delle diversità umane: Cristina è insicura, debole, indecisa con un’allegria sempre smorzata, scaturigine di una serpeggiante crisi familiare; una famiglia in cui manca la serenità, per la nevrosi della madre e per il distacco del padre; una ricerca di sé che la porta, alla fine, a scegliere la strada laica della missione in Africa; ma è evidentemente una fuga, in cui crede di trovare se stessa; Ginetta, che nel rincorrere le sue ambizioni rimane ragazza-madre. Gianni è in conflitto coi genitori e decide di andare in fabbrica, per poi pentirsene. Luciano è assillato da dubbi.
Ma la figura principale è Sandra, speculare alla siciliana Maria Rosaria (che comunque ne acquisisce la grinta, tanto che tornando al sud, ha il coraggio di opporsi ad un matrimonio combinato dai genitori con un uomo molto più grande di lei. Un rifiuto che è anche una infrazione alle regole di una società patriarcale, mafiosa e maschilista. La voce di Maria Rosaria diventa di denuncia sociale e di costume, tesa a svecchiare una società semifeudale e a emancipare in particolare le donne). La problematica ragazza siciliana esiste narrativamente in quanto riflesso della vera eroina del romanzo: Sandra, dal temperamento straordinario e moderno, del cui esempio si abbevera la prima; figlia di un medio industriale; ha due sorelle civette, superficiali e spendaccione, che mentre il padre muore preferiscono rimanere coi loro fidanzati al largo con imbarcazioni da diporto.
Rimaste orfane, le due civette pretendono di vendere la fabbrica, per ricevere subito in denaro la propria parte, ma ad esse si oppone energicamente Sandra, quasi diciassettenne, con cui solidarizza la madre, e si evita di svenderla, salvando un centinaio di posti di lavoro. Sandra ha al fianco Andrea, conosciuto al mare dopo la terza media, e con cui ha avviato un rapporto pulito e maiuscolo. Il pensiero del papà morto fa turbinare mille pensieri nella mente della ragazza. La vita non può essere vissuta solo per lavorare, per accumulare e soddisfare sempre le richieste dei figli. Essi non hanno bisogno solo di denaro, villa al mare, barca e gioielli; hanno bisogno anche di affetto, di contatto fisico, di sorrisi, di rassicurazioni. È un bel messaggio di centralità della famiglia come nido. E Sandra ne diviene il paradigma.
Un personaggio bellissimo, che rimane press’a poco lo stesso lungo le stagioni della crescita. E’ già sanguigna, ferma e ribelle da preadolescente. Continua ad essere argento vivo, quando è prossima alla prima maturità; caratteri funzionali a plasmare una personalità ricca di valori umani potentissimi quali: il lavoro, l’amicizia, la solidarietà, la responsabilità (sussidiarietà), l’amore.
Sandra è un’eroina bella, vincente, ricca, buona. Sembra che la donna sia, per la Righini Ricci, il genere che può risollevare le sorti di una società.
È un bel romanzo, la cui articolazione è originale. È come se tante semirette partissero tutte da un punto e, poi, fossero seguite con una candid camera (alla Truman Show) per quattro/cinque anni. Le semirette sarebbero i ragazzi a partire dai tredici anni; e il cammino gli anni in cui i ragazzini si consegnano definitivamente al mondo degli adulti, dopo aver superato ‹‹la stagione degli acquazzoni e dell’arcobaleno››.
Righini Ricci, padrona nel manipolare e gestire la storia, si muove nel campo minato, nel ginepraio degli adolescenti, un mondo essenzialmente ossimorico e lo fa ora propendendo per l’es, ora per l’Io e attraverso l’andirivieni, propone il Super-Io. E gli argomenti di cui parla sono vari senza mai scadere nella banalità.
Mi sembra che i destini dei vari protagonisti, possano costituire un breviario adolescenziale; vi troviamo, infatti, tutto ciò che afferisce a questa età: il paese, gli amici, i rapporti conflittuali, gli amori, la tendenza a trasformare tutto in tragedia seguita in un breve volgere di attimi dal ritorno del sereno.
Un bel viaggio, dunque, che attraversa psicologicamente i giovani cuori, con la cui rappresentazione dà un esempio, quasi un orpello, che può facilitare il raggiungimento della maturità.
[1] F. Lazzarato, Nota all’edizione italiana, in J. Zipes, Oltre il giardino, Mondadori, Milano 2002, pp. 7-15.
[2] J. Zipes, op. cit., p. 88.
[3] D. Giancane, Educare con la letteratura: l’itinerario narrativo di G. Righini Ricci, il Capitello, Torino 1996.
[4] G. Righini Ricci, Ragazzi sulla linea del fuoco, Massimo, Milano 1971; pubblicato successivamente dalle Edizioni il Capitello, Torino 1995.
[5] G. Righini Ricci, La colline delle iguane, B. Mondadori, Milano 1977.
[6] G. Righini Ricci, Là dove soffia il Mistral, B. Mondadori, Milano 1980.
[7]Cfr. D. Giancane, Educare con la letteratura, cit., 36.
[8] G. Righini Ricci, Ombre sul Nilo, B. Mondadori, Milano 1989. Il romanzo è stato nuovamente pubblicato dalle Edizioni Pugliesi, Martina Franca 2008, a cura di Cosimo Rodia.
[9] G. Righini Ricci, Le stagioni dell’arcobaleno, Mursia, Milano 1990.
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