Le sorti dell’incantodi Luca Crastolla, Gattogrigio Editore, 2022
di Leo Luceri
La poesia di Luca Crastolla mi costringe a rileggere, a tornare indietro, mi affascina e allo stesso tempo mi spiazza. Mi offre la possibilità di un confronto con un sentire poetico che mi è vicino, che in un certo senso mi appartiene – per il suo fondo scuro, per il suo essere profondamente legato alla nostra terra – ma che si realizza in versi che avverto laterali rispetto al mio procedere. Ed è questo che mi attira. Lo scarto che stimola.
In questa silloge il poeta segna un percorso verso l’incanto del dire, verso il fluire della parola che sembra muovere da un iniziale sgomento, non chiarito, non espresso eppure profondo:
c’erano da imbastire le nuvole
da tenere insieme due punti
… un passo di lato
e muori
e questo dire viene riconosciuto come “poesia”, con difficoltà, ma forse come unica possibilità:
come venne si seppe
poesia la chiamammo a stento
malgrado si debba arrivare ad essa attraverso l’accettazione del dolore e del sangue che il percorso inevitabilmente richiede, ma al quale non ci si può sottrarre:
c’è una religione nella parola
uno spirito santo che discende
e l’usura. L’invocazione un petalo
poggiarlo sul bordo, trovarvi
una lametta.
Così si sparte e si sparge il sangue
nessun profeta che divida le acque
nessun popolo che le attraversi
Ma c’è la ricompensa, possibile salvezza, che è forse anche una condanna:
Sulla schiena una cicala pazza di sole
La cicala sulla schiena del poeta cerca, nonostante le ferite, il sole, il calore, e canterà.
Da quella cicala si parte senza conoscere la meta, senza sapere quali saranno le sorti di quest’incanto. I versi di Crastolla seguono i cammini dei canti, cammini interiori, non sempre facilmente riconoscibili, ma sempre di suggestiva bellezza:
quando chiedo sull’argine
di sottrarmi alla foce precipitosa dei colori
[…] mi rispondi lungofiume dove le fate
intrecciano vimini nei tram
C’è qualcosa di incontenibile nell’urgenza del dire. Non a caso tutti i componimenti iniziano con la minuscola e non terminano mai con il punto, come a volere indicare il continuum di un discorso già iniziato e non terminato:
la caffettiera discute fra sé. Qui l’andirivieni
il capogiro dei corpi, la sponda, la carnagione
lunare salita ai platani in capriole di fumo
vapore dalla bocca di respiro in respiro
Giuseppe Cerbino nella prefazione alla precedente raccolta di Crastolla, L’ignoranza della polvere, ben sottolinea che in questo tipo di poesia al lettore viene richiesto “di inabissarsi verso strati semantici liquidi, mai fermi, mai stabili”. È come se le parole sgorgassero in un flusso di coscienza che nel suo scorrere ha bisogno di intraprendere direzioni plurime e contemporanee. Si balza da un’immagine all’altra, ma sempre con un lessico rigoroso, che si sente ricercato, forse anche sofferto, come nella poesia dedicata alla figlia Giulia:
non so in fondo al cognome amaro
e non vorrei saperlo inciso sulla fronte
dei tuoi limoni tardivi, ché ti sono padre
amniotico, fratello di sangue
e di colpa da sverminare, svergognare. Avere cura
dell’attenzione che libellula le tempie in frastuoni
di verde e di corse a perdibraccio. Anche il torrente
si porta al fiume e dilata in dosi di quiete. Vediamo
di dire bene il bene, dirlo meglio. La dinamo eolica
dello sfiorarsi non la muove che il vento
A questo lessico così attento, si accompagna la destrutturazione del discorso attraverso microfratture continue che non impediscono il fluire dei versi, ma segnano comunque un respiro, come una piccola pausa per raccogliere le forze prima dell’impellente presentarsi di nuove immagini.
Difficile appare quindi ritrovare i temi in una narrazione che non segue una trama precisa ma lascia dei fili che ognuno può tirare, dei segnali per un possibile percorso.
Sicuramente importante l’amore per i figli, il rapporto con la propria donna, ma centrale si staglia la figura della madre, presente in modo esplicito in alcune poesie e, seppur non nominata, in altre. Parole che indicano relazione forte, complicità:
È di mia madre la saliva sugli occhi
generalmente di sabato, lavati in fretta
prima del treno che involava
alle lane del mercato di Varese, la libera
uscita dei pesci da un cristallo.
Ma anche amore per una madre che si sente delicata:
Di mia madre la pelle di betulla e
quella costellazione di falene cadenti
e, in versi di dolorosa bellezza, forse bisognosa di attenzioni:
E tu madre dagli occhi
rotolati nelle pantofole senza paio
guardiamo insieme cosa è stato
l’insistere sul figlio da portare al dito
Ma poi sembra di scorgere rabbia nei suoi confronti per qualcosa di mancato:
recarsi al dire senza saper cosa e da dove
di una madre deceduta che innaffia le scorze
che scuote la sua colpa
dal tappeto
in orari stabiliti da una campanella; e di noi
noi figli trascurabili
coefficienti della febbre del padre
C’è sempre un fondo di dolore in questi versi, di vissuto spinoso che affiora, un difficile rapporto col padre:
Invece siamo rimasti
in quella chiesa fuori dalle mura
per non avere un civico
e continuare a pagare l’affitto dei nostri corpi scaduti
al padrone di casa e al suo bastone
Tutto questo disagio, questa voglia vitale esplosiva ma allo stesso tempo bloccata dal pregresso, Crastolla lo riversa in immagini sorprendenti per ricchezza e varietà, ed è proprio lì probabilmente da ricercare la cifra del suo poetare.
Come nel verso asciutto, terribile e allo stesso tempo pieno di richiami:
Alle spalle un cimitero di solitudini a schiera
o ancora:
alta, su un alito di ciglia
raggiungi una corona di spine e di mirto
Che sia la bellezza? […]
Oppure nella ricercata sonorità dei seguenti versi:
guardiamo dalla riva bassa
le federe del mare che si preparano nell’onda:
tutta un’impazienza ci cola nelle mani
e ci ricopre fino agli spiccioli della sete.
Non ora, non adesso, siamo venuti
a pesare il sale sui coralli della lingua
ma di lontano per vie che conducono
qui, di soglia in soglia, di grano in grano
arso, non arso, di foglia in foglia
di tabacco o di basilico
per restare
E di nuovo la solitudine, la mancanza:
un giorno, se non innocente, ingenuo
Ingenuità di alcune pellicole
impresse di pioggia, di bianco e di nero
e un Lungosenna di fiorai silenziosi
in amore. Nessuno che ti chiami. Nessuno
che conosca il tuo nome. […]
Ma ritroviamo anche immagini di splendente poesia legata al sud:
un mattino viene
versa un vaso di miele sulle finestre
un sud dolce, nonostante le contraddizioni e le disattese, in cui:
i bambini, ancora
raccolgono gelsi bianchi tra i cuscini.
La poesia di Crastolla abbaglia già alla prima lettura, ma subito si sente la necessità di riprendere, di approfondire, perché si ha la sensazione di aver mancato un livello. Richiede insomma un piccolo sforzo per arrivare al fondo del sentire, del sofferto vissuto che può essere quello del poeta o quello di ognuno di noi, per poi lasciarsi andare alla vastità della parola, alla sua infinita ricchezza, alla sua onda inarrestabile:
Versi spinti fuori dal margine
non scriveremo leggendo
più come pulsa il mare
un passo di là dalla spuma.
un battito oltre le dita cigliate.
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