La filosofia del mattino di Nietzsche
di Sandro Marano
Ci sono storici della filosofia che giudicano Nietzsche un magnifico poeta, ma un cattivo filosofo. E certamente, se volessimo fare una sorta di prova del nove filosofica escludendo dal pensiero di Nietzsche Così parlò Zarathustra e La nascita della tragedia, nonché alcuni luminosi aforismi di Aurora e de La gaia scienza (che anticipano in qualche modo lo Zarathustra), non resterebbe che una filosofia scettica, non particolarmente originale, una sorta di psicologismo che si avvale del metodo genealogico per ricondurre l’alto al basso e distruggere i valori della morale tradizionale. E sotto questo profilo è certamente fondata l’affermazione del filosofo marxista György Lukacs (che d’altro canto propone un’interpretazione affatto parziale del pensiero nietzschiano), secondo cui Nietzsche «usa il divenire come un ariete filosofico» (1).
Non si discostano in buona sostanza da questa interpretazione le osservazioni fatte da Sossio Giametta: «il modo in cui [Nietzsche] generalizzò e assolutizzò la scepsi stessa riuscì disastroso per lui e per gli altri. Nessuno invero dubita che la scepsi, ossia il dubbio metodico, il controllo critico, perfino il sospetto sistematico, siano in genere cose buone. Ma nessuno può neanche dubitare che, fatta legge generale e assoluta, istituzionalizzata come sospetto infamante e infine come nichilismo, la scepsi possa dilagare, dirompere, distruggere. Come infatti avvenne per Nietzsche» (2).
Tuttavia non si può dubitare che ci sia uno iato tra il Visionär [Visionario] de La nascita della tragedia e del Così parlò Zarathustra e il Freigeist [Spirito libero] di Umano troppo umano e delle opere posteriori allo Zarathustra. È lo stesso Giametta a rilevare che «l’identità più vera di Nietzsche, più libera e profonda, è manifestata dallo Zarathustra, che è dunque il libro più suo, più caratteristico e caratterizzante, mentre la filosofia della volontà di potenza, in quanto apre il varco ai, e convoglia i disvalori dell’epoca, caratterizza più l’epoca che lui» (3).
Anche Croce notava che «al tipo dello pseudo filosofo si collega altresì Federico Nietzsche, che non stabilì alcun filosofema che valga; nella storia della filosofia come scienza egli, quando non riecheggiò motivi della filosofia romantica, rimase quasi affatto sterile» (4).
A questo proposito Sossio Giametta, concorda parzialmente con Croce ed osserva: «Nietzsche non stabilì nessun filosofema, che valga, dice Croce e ripetono altri. Non hanno ragione, Nietzsche un filosofema lo stabilì, il concetto di nichilismo, che trasforma la filosofia in moralismo, cioè ne trasferisce il centro irradiante dalla realtà all’uomo. Croce non lo capì. Non per difetto d’intelligenza ma perché esso è contro natura, difficile da capire perché difficile da accettare, da vivere, specie per chi, come Croce appunto, è tutto dedito a una religione positiva, ad un credo di attività. Ma Croce e gli altri non hanno neanche del tutto torto. Perché quel filosofema negativo è anche il solo che Nietzsche stabilì, con poca spesa, cioè spingendo agli estremi una certa posizione pessimistica di Schopenhauer […] La sua filosofia scettica si riduce a quell’unica negazione, anche se poi presentata in mille sfaccettature. Una sua filosofia positiva una sua filosofia, si può dire semplicemente […] non esiste. […] Esiste un nucleo positivo, ma è il nucleo di un poeta, non di un filosofo. È la visione dionisiaca, che è la visione del poeta eroico e tragico che Nietzsche era in profondità. Per il resto, la filosofia di Nietzsche non è altro che la visione empirica della vita, ritenuta insuperabile e infilosofabile. La sintesi del poeta di fondo, positivo, con la filosofia di superficie, negativa, dà come risultato il grande moralista» (5).
Da parte nostra notiamo tuttavia che, al di là delle unilateralità o delle contraddizioni che si possono imputare alla filosofia scettica o relativista di Nietzsche, va considerato che in Nietzsche si trova sempre di che correggere Nietzsche. La dottrina dell’eterno ritorno, ad esempio, corregge la volontà di potenza; la critica della civiltà l’esasperato individualismo; e quando Nietzsche ammonisce che bisogna ridiventare buoni amici delle cose prossime non anticipa forse quella critica al razionalismo e alla ragione fisico-matematica che è uno dei capisaldi del vitalismo storicista di Ortega y Gasset e delle successive filosofie dell’ecologia?
In un passo della sua replica a Ugo Spirito il filosofo cattolico Augusto Del Noce osservava: «Ma come non ricordare che l’Ottocento si chiude con il filosofo che ebbe la visione di tutte le conseguenze della morte di Dio? […] Il suo è veramente l’ateismo giunto alla coscienza tragica, e con ciò alla sua crisi finale». L’ateismo, infatti, secondo il filosofo cattolico, comporta la perdita di un legame con l’essere, la scomparsa dell’idea di verità, in una parola, il nichilismo. E mostrando i limiti del recepimento della filosofia di Nietzsche in Italia, aggiungeva: «In realtà l’idealismo italiano si è formato escludendo dalla filosofia l’intera linea da Schopenhauer a Nietzsche» (6).
In ogni caso va rilevato che la filosofia non è solo pensiero e critica, ma anche visione del mondo, proposizione di valori. Questi due aspetti sono inestricabilmente fusi in filosofi come Nietzsche, che sono insieme pensatori e poeti. C’è un Nietzsche maestro del disincanto, che filosofa col martello e approda al nichilismo e c’è un Nietzsche-Zarathustra che cerca di superare il nichilismo e la visione antropocentrica in una visione biocentrica riassumibile in quell’affermazione, che «è una delle più belle e potenti dello Zarathustra» (Sossio Giametta) secondo cui «il cuore della terra è d’oro». C’è un Nietzsche distruttore dei valori cristiani nel nome della volontà di potenza e c’è un Nietzsche che nel proclamare i valori vitali propone l’amor fati, che «altro non è se non quello che il cristiano chiama rimettersi alla volontà di Dio» (Sossio Giametta).
Se poi, come osserva con finezza e non a torto Lou Salomè, in Nietzsche agisce sotto traccia la nostalgia del paradiso perduto, al suo pensiero filosofico è certamente sottesa un’intima religiosità, ossia un legame con l’essere, una volontà, come dichiara lo stesso filosofo nello Zarathustra, di ricomporre in unità «ciò che nell’uomo non è che frammento ed enigma e caso spietato».
Se vogliamo, proprio questo è il dramma di Nietzsche, come uomo e come pensatore, di aver tentato cioè di riunire questi aspetti apparentemente contraddittori in un tutto armonico.
La filosofia propria di Nietzsche, allora, si configura, a nostro avviso, come una filosofia del mattino, vale a dire una filosofia che vuol indicare un nuovo cominciamento e fa propria l’esigenza di un rifidanzamento dell’uomo e del mondo, che nessuno scetticismo può cancellare e che apre la via alle filosofie dell’ecologia.
Note
(1) György Lukacs, La distruzione della ragione, Mimesis, 2011;
(2) Sossio Giametta, Commento allo Zarathustra, Bruno Mondadori, 1996;
(3) Sossio Giametta, op. cit.;
(4) Benedetto Croce, Ciò che la filosofia non deve essere. La filosofia tendenziosa, in Ultimi saggi, Laterza, 1963;
(5) Sossio Giametta, op. cit.;
(6) Ugo Spirito – Augusto Del Noce, Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?, Rusconi, 1971.
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