Il filosofo al di là delle etichette (III parte)

di Sandro Marano

 

L’interesse destato tra gli storici della filosofia e soprattutto tra i giovani per la  figura e  per il pensiero di Federico Nietzsche non accenna a spegnersi. Lo stesso Nietzsche sembra aver previsto questa fama postuma quando affermava che «soltanto quando mi avrete tutti rinnegato tornerò a voi». (1)

Che cosa attrae in questo pensatore che si presta a varie e contrastanti interpretazioni e che tradizionalmente viene considerato il nume tutelare della destra politica? E che cosa induce tante scuole di pensiero ad accattivarsi un filosofo ad esse estraneo e lontano?

Una risposta convincente non può prescindere da bisogni pratici. In un periodo come l’attuale dove l’unico orizzonte è costituito dalla tecnica e dell’economia e che si caratterizza per una generale e profonda crisi della società, per l’indifferenza, per il senso di sbandamento, per la chiusura nel privato, per la disperazione delle giovani generazioni, le pagine di Nietzsche possono offrire uno spiraglio, un’indicazione, una via per fortificarsi e per superare in qualche modo il nichilismo. L’uso impareggiabile dello spirito critico, la lotta contro i pregiudizi morali, il disprezzo d’ogni conformismo, l’accento posto sulla creatività dell’individuo, il linguaggio seducente, generalmente chiaro e mai accademico, tutto ciò può conquistare gli animi.

Sennonché la filosofia di Nietzsche si presta facilmente ad equivoci o fraintendimenti. Quando sembra che essa sia stata finalmente messa a fuoco, si scopre sempre qualcosa che non quadra, qualcosa che non convince pienamente. Non foss’altro perché ad aforisma può contrapporsi aforisma.

Se poi si chiede ausilio alla critica, la situazione non cambia, anzi si aggroviglia. Qui non solo abbondano le interpretazioni più disparate, ma bisogna fare i conti anche con le falsificazioni o le appropriazioni indebite.  E se le interpretazioni, nel privilegiare un aspetto o un problema rispetto ad altri, sono tutte egualmente legittime, non così è per le falsificazioni, che rispondono invece a precisi orientamenti politici e a strumentalizzazioni. Così, ritagliando e ricucendo qua e là gli aforismi, si è di volta in volta costruita un’immagine del filosofo precettore della forza bruta e fautore dell’antisemitismo, o per contro, quella di un filosofo libertario, «restituito al dibattito di sinistra». Tutte costruzioni puntualmente smentite da una serena ed attenta lettura dei testi.

Nietzsche in verità non può considerarsi di destra più che di sinistra e probabilmente avrebbe considerato queste categorie politiche semplici «prospettive provvisorie». (2) Il filosofo dell’eterno ritorno non tollerava le etichette ed ha sempre rivendicato la problematicità dell’esistenza, ponendosi, o cercando di porsi, al di là del bene e del male. Non a caso ebbe a scrivere: «Può essere una vetta dell’anima, quando un filosofo tace; può essere amore, quando si contraddice; può essere una cortesia, quando mente». (3)

La storia delle interpretazioni del pensiero di Nietzsche d’altra parte attraversa tutto il Novecento. Per sommi capi possiamo dire che la prima lettura di Nietzsche fu di tipo estetico a cominciare dai suoi contemporanei, da Brandes fino a Gabriele D’Annunzio e al futurismo. Nel superuomo si vide la superiorità dell’artista e dell’arte. Va considerato che nell’impresa di Fiume e nella Carta del Carnaro D’Annunzio pose in essere una sorta di “poetocrazia” cercando di fare della vita propria e altrui un’opera d’arte. E non a caso in Le vergini delle rocce affermava: «Difendete il sogno che è in voi […] Non disperate, essendo pochi. Voi possedete la suprema scienza e la suprema forza del mondo: il Verbo». (4)

Alla lettura estetica seguì quella politica e la compì, tra i primi, Benito Mussolini nel 1908 in un piccolo e memorabile saggio, La filosofia della forza, interpretando il superuomo in senso collettivo come nazione.

In chiave politica, fondandosi soprattutto sul concetto di volontà di potenza, troviamo le due contrapposte e per certi versi convergenti interpretazioni del nazionalsocialista Alfred Baeumler (5) e del marxista György  Lukacs (6), accomunate dal considerare Nietzsche il banditore di una morale aristocratica per pochi eletti. Per il primo Nietzsche fu il precursore del nazionalsocialismo, per il secondo fu «il filosofo guida dell’imperialismo».

Una diversa  lettura è quella di Dilthey, che si può definire di critica della civiltà. Nel suo scritto L’essenza della filosofia del 1907 Dilthey considera Nietzsche un filosofo-scrittore, che si muove nell’ambito di una filosofia della vita, cioè di una riflessione sull’esistenza senza pretesa di sistematicità nel solco aperto da Schopenhauer e i cui analoghi sono da rintracciare in Seneca, in Marc’Aurelio, in Montaigne, in Pascal. A questa lettura si ricollega in qualche modo Sossio Giametta nel considerare Nietzsche soprattutto un moralista.

Negli anni ’30 del Novecento si sono avute poi le grandi interpretazioni di Heidegger, di Jaspers, di Löwith e di Abbagnano, che inaugurano la lettura più strettamente filosofica di Nietzsche, considerandolo un pensatore che pone al centro della sua riflessione il problema dell’essere e il suo rapporto con l’esistenza umana.

Il contrasto tra l’interpretazione di Dilthey e quella di Heidegger può considerarsi emblematico di tutta la storia della fortuna di Nietzsche, come ha messo in evidenza Gianni Vattimo. (7) Tutte le interpretazioni successive infatti hanno dovuto fare i conti con questi due approcci, prendendo partito per uno di essi o cercando di conciliarli.

Particolarmente interessante è poi la lettura tradizionalista di Julius Evola che ha definito “nichilismo attivo” l’atteggiamento di Nietzsche e che nel pensiero e nella vita del filosofo tedesco ha visto il punto più alto cui può spingersi il nichilismo nella sua disperata ricerca di un senso dell’esistenza, oltre il quale si aprono le porte della follia (8).

L’interpretazione in chiave ecologista di Nietzsche muove dalla suggestiva e grandiosa interpretazione di Karl Löwith secondo cui l’intima connessione tra morte di Dio, superuomo e mondo che vuole se stesso, enunciata «in modo frammentario e mediante parabole» (9) rappresenta il tentativo di N di ritradurre l’uomo nella natura: «Le dottrine della “morte di Dio”, del nichilismo che ne deriva e che esige un superamento dell’uomo cristiano della tradizione nel “superuomo”, e infine quella del mondo, che in quanto vivente è una “volontà di potenza”, che vuole se stessa, e un “eterno ritorno dell’uguale”, costituiscono non dei frammenti dottrinali nel senso usuale, bensì un unico esperimento di “rifidanzamento “ col mondo». (10)

Il motivo di fondo del pensiero di Nietzsche in questa ottica può allora individuarsi nella filosofia del mattino. Che cosa è una filosofia del mattino?

Questa espressione è desunta dal bellissimo aforisma conclusivo di Umano, troppo umano. Non si tratta come nota Gianni Vattimo di un corpo di dottrine, bensì della «definizione di un atteggiamento, di un clima spirituale». (11)

Una filosofia, in generale, è una ragione di vita. Può consolare, fortificare o concludersi con uno scacco. Ma è sempre una domanda sul significato del nostro esistere, è sempre un meravigliarsi per il fatto di esserci piuttosto che non esserci, nostalgia d’una patria. È questa, per inciso, la verità dell’opinione secondo cui la filosofia non può che svilupparsi sul tronco della religione. Convergono su questo punto posizioni filosofiche assai differenti. L’esistenzialista Karl Jaspers concorda con l’idealista Giovanni Gentile. Il primo affermava: «La religione per rimanere veramente tale ha bisogno della coscienza filosofica. E la filosofia, perché non perda il suo vero significato, ha bisogno della sostanza della religione. […] La filosofia dovrà ammettere ed affermare la religione almeno come una realtà alla quale essa stessa deve il fatto di esserci. Se l’umanità non vivesse anche di religione non potrebbe esserci nessuna filosofia». (12) Il secondo osservava: «la religione entra in tutti i pensieri degli uomini, laddove ogni arte o scienza particolare si contenta di una sfera determinata di interessi. […] E la filosofia partecipa di questo carattere totalitario e perciò vitale o etico della religione, ogni volta che non si chiuda in tecnicismi e formule intellettuali. […] Proprio come la religione, la quale solo idealmente è distinta dalla filosofia, laddove in realtà ogni religione è sempre una filosofia e ogni filosofia, se degna di questo nome, è una religione». (13)

Una filosofia del mattino è, a ben guardare, una filosofia che indica un cominciamento, un pensare che è anche un rischiarare l’esistenza. Se per l’uomo d’oggi Dio è morto, il problema allora è quello di non affogare nelle paludi del nichilismo, dell’indifferenza, della disperazione. E di ritrovare malgrado tutto il gusto di vivere. E per questo la strada maestra è quella antica dell’abbandonarsi, del provare stupore di fronte al mondo. È lo stupore che ci pone davanti all’essere e ci fa presentire per quanto oscuramente che c’è una unità dietro la molteplicità.

D’atra parte, alla radice di ogni arte, di ogni filosofia, di ogni religione c’è sempre la volontà di superare la separazione e la finitudine delle singole esistenze. «Perché questo è filosofare», dichiarava il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset,  «dare al mondo la sua integrità». (14) E questo «mirabile impulso primario verso l’alba del mondo e il mistero delle origini» (15), è poi ciò che affermano tutti i grandi maestri di spiritualità.

Non è un caso che Nietzsche, che amava camminare tra i boschi di Sils Maria o lungo la suggestiva passeggiata tra Santa Margherita Ligure e Rapallo, poteva confessare di aver contraddetto come mai è stato contraddetto e, ciò nonostante, di essere il contrario di uno spirito negatore. (16)

 

 

Note

  • Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mursia 1972, p. 74;
  • Nietzsche, Al di là del bene e del male, Fabbri 2003, af. 2;
  • Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, Adelphi 1988, af. 46;
  • Citato in appendice a Storia del fascismo Le interpretazioni e le origini di P. Rauti e R. Sermonti, CEN 1976;
  • Alfred Beumler, Nietzschefilosofo e politico (1931), Edizioni di Ar 2003;
  • G. Lukacs, La distruzione della ragione (1951), Einaudi 1959;
  • G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, Laterza 1991;
  • Julius Evola, Cavalcare la tigre (1961), Vanni Scheiwiller 1971, pp.37-43;
  • soprattutto il capitolo intitolato Il tentativo di N di riguadagnare il mondo in Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, Donzelli 2018, pp. 121-150;
  • Löwith, op. cit., p. (p.121);
(11) G. Vattimo, op. cit., p. 65;

(12) K. Jaspers. La mia filosofia, Einaudi 1948, p. 33;

(13) G. Gentile, Discorsi di religione, Sansoni 1957, pp. 156-7;

(14) J. Ortega y Gasset, Che cos’è la filosofia?, Mimesis 2013, p. 86;

(15) H. Hesse, Farfalle, Fiabesca 1997, p. 7;

(16) F. Nietzsche, Ecce homo, Newton Compton 1984, p. 120.

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