Nietzsche, un profilo intellettuale (parte prima)
di Sandro Marano
Generalmente noto per le nozioni di superuomo, di volontà di potenza e dell’eterno ritorno, Federico Nietzsche (1844- 1900) non fu un pensatore sistematico, bensì un temperamento intuitivo e rapsodico. Il suo capolavoro, Così parlò Zarathustra, è un’opera di squisita poesia prima ancora che di filosofia. Già nel 1908 coglieva il carattere non sistematico del suo pensiero Benito Mussolini: «Non si può definire questa filosofia poiché il poeta di Zarathustra non ci ha lasciato un sistema […] Nietzsche non ha mai dato una forma schematica alle sue meditazioni. Era troppo francese, troppo meridionale, troppo mediterraneo per costringere le speculazioni novatrici del suo pensiero nei quadri di una pesante trattazione scolastica». (1)
Tutti i suoi scritti infatti sono composti in larga parte da aforismi, dove lo sguardo intelligente sulle cose prende il posto dell’organica trattazione, la suggestione delle immagini e la perentorietà delle affermazioni tendono a sovrastare il procedimento dimostrativo e il rigore delle argomentazioni, le osservazioni psicologiche, le interpretazioni storiche, le annotazioni di costume fanno tutt’uno con le intuizioni filosofiche.
È noto che il suo pensiero aprì la strada a molti e svariati movimenti artistici, politici e filosofici, dal futurismo al fascismo, dall’esistenzialismo alla psicanalisi. «Si ritrova Nietzsche tanto nelle raffinate sfumature di Gide che nelle prosopopee di D’Annunzio» (2), scriveva Pierre Drieu La Rochelle. E in un saggio del 1934 lo scrittore francese osservava: «Oggi ci chiediamo se non sia stato Nietzsche ad avere avuto negli ultimi trent’anni la più grande influenza nel campo della filosofia sociale […] Lo spirito di Nietzsche non si trova forse nel cuore di tutti grandi movimenti sociali che si sono verificati sotto i nostri occhi?». (3)
Gide e Mussolini, Marinetti e D’Annunzio, Camus ed Ortega y Gasset sono spiritualmente suoi figli, avendo ripreso, ciascuno a suo modo, spunti, riflessioni, intuizioni dalle sue pagine che hanno costituito sempre una ricca miniera. Perfino Lenin, secondo Albert Camus, fu influenzato da Nietzsche: «Ben altrimenti logici e ambiziosi saranno quelli che correggendo Nietzsche mediante Marx, sceglieranno di dire sì soltanto alla storia e non più alla creazione. […]. Come Nietzsche, Marx pensava strategicamente, come lui odiava la virtù formale. Le loro due rivolte, che egualmente si concludono con un’adesione ad un certo aspetto della realtà, si fonderanno nel marxismo-leninismo, incarnandosi in quella casta, di cui già parlava Nietzsche, che doveva “sostituire il sacerdote, l’educatore, il medico”. […] Il marxismo-leninismo ha realmente assunto in sé la volontà di potenza di Nietzsche, mediante l’ignoranza di alcune virtù nietzschiane». (4)
Lou Salomé, l’unica donna profondamente amata dal filosofo, ci ha lasciato un memorabile ritratto dell’uomo, che vale la pena rileggere: «Federico era un uomo di media statura, vestiva semplicemente, aveva lineamenti pacati, capelli lisci e castani tirati indietro. Poteva facilmente passare inosservato. La bocca sottile, espressiva, era nascosta da grossi baffi pettinati in avanti. Aveva una risata sommessa, un modo di parlare disteso, un’andatura cauta, le spalle un poco piegate. Era difficile immaginarlo in mezzo ad una folla, portava il segno del distacco, della solitudine. Le sue mani erano incomparabilmente belle e, quanto ai suoi occhi, erano veramente rivelatori, sembravano i custodi di intimi tesori, di muti segreti, a cui nessuno sguardo inaspettato dovesse accedere. Essi, invece di fare da specchio alle impressioni esterne, restituivano solo ciò che si muoveva nell’animo. Questi occhi erano rivolti all’interno, e insieme guardavano lontano. Se poi si animavano nel corso di una conversazione che lo affascinasse, in quello sguardo poteva accendersi una luce commovente, ma se era in uno stato d’animo tetro da quegli occhi parlava la solitudine, oscura, minacciosa, come se salisse da profondità inquietanti, da quelle profondità in cui egli rimaneva sempre solo, che non poteva condividere con nessuno, davanti alle quali egli stesso a volte era preso da raccapriccio». (5)
Alcuni interpreti hanno voluto vedere in Nietzsche il teorico della liberazione degli istinti. È questa per certi versi l’interpretazione di Carl Gustav Jung: «Ci rendiamo conto di cosa comporta dire di sì all’istinto? Nietzsche voleva e insegnava proprio questo, e faceva sul serio. Con inconsueta passione ha sacrificato se stesso, tutta la sua vita, all’idea del superuomo, cioè all’idea dell’uomo che ubbidendo al suo istinto supera anche se stesso. E come si svolse la sua vita? Come lo stesso Nietzsche aveva profetizzato in Zarathustra nella premonitrice caduta mortale del funambolo […] La vita di chi insegnava a dire di sì all’istinto va esaminata in modo critico, per indagare gli effetti di questo insegnamento su chi lo impartiva. Considerando la sua vita però dobbiamo dire che Nietzsche visse al di là dell’istinto, nell’aria rarefatta della grandezza eroica, alle cui vette poteva restare con la dieta più accurata, il clima più scelto e soprattutto molti sonniferi – finché la tensione non distrusse il cervello. Parlava del dir di sì e visse il no. Il suo ribrezzo per l’uomo, per l’animale uomo che vive d’istinto, era troppo grande. Non poteva ingoiare il rospo che spesso sognava e che temeva di dover mandare giù […] Ma di cosa visse se non visse di quest’istinto? Si può veramente rimproverare a Nietzsche di aver detto praticamente no al suo istinto? Egli non sarebbe d’accordo […] Non c’è solo l’istinto di conservazione (istinto sessuale), bensì anche l’istinto di autoconservazione (istinto dell’Io). Evidentemente Nietzsche parla di questo secondo istinto, cioè della volontà di potenza. Tutto ciò che è istintuale deriva per lui dalla volontà di potenza». (6)
Altri interpreti lo hanno esaltato come il pensatore spregiudicato che ha osato abbattere idoli secolari, pregiudizi radicati, certezze irrigidite. (7) Per Ortega y Gasset «a lui si deve la scoperta di uno dei pensieri più fecondi che ci siano stati in seno alla nostra epoca. Mi riferisco alla sua distinzione tra la vita ascendente e la vita discendente, tra la vita riuscita e vita malriuscita. Senza necessità di ricorrere a considerazioni extravitali – teologiche, culturali, ecc. – la vita stessa seleziona e gerarchizza i valori». (8)
Non c’è dubbio che Nietzsche voleva cogliere la vita così com’è, nella sua immediatezza e spontaneità. Egli ben sapeva che ogni costruzione sistematica falsifica la vita e irretisce varietà e cambiamento negli schemi dell’astratto pensiero: «La volontà di sistema – dichiara lapidariamente – è mancanza di onestà». (9)
Di contro Nietzsche voleva restituire al mondo la sua innocenza, alla vita quel doppio volto che duemila anni di speculazione neoplatonica e cristiana avevano celato: «La mia verità è tremenda: poiché finora si è chiamata verità la menzogna» (10) Per affermare questa verità egli non esitò ad utilizzare vari ed opposti modi pensare. Lui stesso diceva di sé di avere molte anime. (11)
Scetticismo e metafisica, idealismo e materialismo, intellettualismo e vitalismo confluiscono nel suo pensiero senza apparentemente fondersi in una sintesi superiore. Di qui a volte oscurità e incongruenze.
Lou Salomé a questo proposito distingue due diverse fasi della filosofia di Nietzsche, quella che va pressappoco da La nascita della tragedia a La gaia scienza e quella da Così parlò Zarathustra alla fine: «Come prima si era costretto a sottomettersi alle esigenze di un rigoroso intellettualismo, così adesso al contrario costringe l’intelletto e la tendenza verso la pura conoscenza intellettuale a sottoporsi al potere delle passioni». (12)
Non sono mancati poi coloro che, traendo spunto dalle sue contraddizioni, hanno espresso dubbi sul valore intrinseco della sua filosofia. Il Lukàcs, ad esempio, ha giudicato il pensiero di Nietzsche «filosoficamente del tutto confuso, suscettibile di qualsiasi interpretazione». (13) E Giovanni Papini addirittura individuava il segreto del filosofo tedesco nella sua incapacità di esprimere una compiuta visione del mondo dovuta a problemi di salute. (14) Si tratta evidentemente di interpretazioni strumentali o ingenerose, come peraltro già notato da Evola (15) e da Abbagnano: «Il centro del filosofare di Nietzsche deve fornire la chiave non solo delle sue dottrine fondamentali, ma anche dello scacco della sua vita e del dissolvimento della sua personalità» (16).
Mussolini, La filosofia della forza, in Il mio socialismo, La fenice 1983, p. 32;
Drieu La Rochelle, Ancora e sempre Nietzsche (Je suis partout, 3 marzo 1939), in Confessioni, Società Editrice Barbarossa 1995, p. 136;
Driue La Rochelle, Socialismo fascista, EGE 1974, p. 87;
Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani 1972, pp. 93-94;
Andreas Salomé, Nietzsche. Una biografia intellettuale, Savelli 1979, p. 44;
G. Jung, La psicologia dei processi inconsci (1917) in La psicologia dell’inconscio, Newton Compton 1989, pp. 36-37;
A. Camus, op. cit., 79-94;
Ortega y Gasset, Il tema del nostro tempo, Sugarco 1985, p.122;
Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi 1988, p.28;
Nietzsche, Ecce homo, Newton Compton 1984, p.120;
Umano troppo umano I, aforisma 618; Umano troppo umano II, parte prima, aforisma 17;
Andreas Salomé, op. cit., p.151;
Lukàcs, La distruzione della ragione (1951), Einaudi 1959,p. 366;
G. Papini, Il crepuscolo dei filosofi (1953), Circolo Proudhon 2015, pp. 139-158;
J. Evola, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Edizioni mediterranee, 2008, p. 143-148;
N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol III, UTET, 2017, p. 384.
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