La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore di Chandra Livia Candiani, Einaudi, 2014

di Claudia Zuccarini 

 

Traduttrice di testi buddisti e di numerose sillogi, Chandra Livia Candiani si esprime con una scrittura complessa e limpida al tempo stesso.

Il filo conduttore dell’opera manifesta un’intimità raccolta e delicata, un sentire accorato che scortica l’animo con parole sbucciate (aggettivo caro all’autrice). Sono versi che sprigionano leggerezza, pur delineando un’indagine profonda dei sentimenti. Il suo è un abitare gli spazi in modo assoluto, un cantare le grandi e piccole rivelazioni quotidiane. La Candiani giunge al nucleo della realtà declinandola in miriadi di prismatici riflessi.

Chi è l’interlocutore, chi viene chiamato a partecipare vividamente a questi lacerti di esistenza? Rintracciamo un dialogo privato, come se l’autrice si rivolgesse a se stessa, ma anche un tu scomposto, multiplo e coinvolto in ogni lirica. Il lettore scivola tra gli ossimori, immedesimandosi nella chiusura di Certe mattine: “…come sono soli gli adulti.”

Ci troviamo dinanzi ad una produzione che contiene un firmamento di istantanee tenere e struggenti. Meravigliose sono quelle dedicate al lutto, vissuto come presenza/assenza, con colori rarefatti che pennellano legami inscindibili, legami che aleggiano nell’aria e nella visione dell’oggi.

Giochi metaforici impreziosiscono il verseggiare, costituito da enjambement d’effetto, rotture e ricostituzioni di senso. Non da meno le anafore, le allegorie e le personificazioni conferiscono vitalità al micro e macro mondo ritratto, con allitterazioni musicali che rinforzano le immagini strutturate.

Le liriche della Candiani, pregevoli e di altissimo livello, inducono a sperare che la poesia ci sia ancora necessaria per interpretare noi stessi e la vita.

 

Parlami con segni con cenni

briciole sul davanzale

ideogrammi di ombre su piastrelle

trattami come un uccello spaventato

come uno squilibrio nel tuo perfetto

ordine di conti chiusi,

rincuorami ridammi sede

nel petto acceso e non

questo parcheggio sotterraneo

in cui vivo sola senza discorsi 

per i cosiddetti vivi, senza ponti.

Sono matassa di smarrimenti

senza disegno, sono calce

viva sotto la pelle 

di tamburo che vibra

a ogni sfioramento sono

bambino sbucciato

corso via perdutamente e poi caduto

a terra, come sparato,

al cuore. Su questi frammenti 

soffia parola viva

vispa abitata da api

della luce. Io sono lì 

nel tuo pugno

a prendere il sole

pianissimo, per non svegliarti.

 

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