Poesia di Sylvia Plath

scelta da Barbara Gortan

 

Lettera d’amore

Non è facile spiegare il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
benché, come un sasso, non me ne preoccupassi
e me ne stessi dove mi trovavo d’abitudine.
Non ti limitasti a spingermi con il piede, no –
neanche lasciasti che il mio piccolo occhio nudo
si rivolgesse ancora al cielo, senza speranza, certo,
di capire le stelle o l’azzurro.

Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
camuffato da sasso nero tra sassi neri
nello iato bianco dell’inverno –
come i miei confinanti, senza cavare alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente scalpellate
che ad ogni istante s’appoggiavano per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si cambiavano in lacrime,
angeli in pianto su nature smorte,
ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.

Ed io seguitavo a dormire come un dito piegato.
La prima cosa che vidi fu l’aria pura
e le gocce catturate che in guazza si levavano
limpide come spiriti. Attorno tanti sassi
giacevano ottusi, senza espressione.
Io guardavo e non capivo.
Brillavo come scaglie di mica e mi spiegai
per rovesciarmi fuori come un fluido
tra le zampe di un uccello e i gambi delle piante.
Non mi sbagliai. Ti riconobbi immediatamente.

Albero e sasso risplendevano, senz’ombra.
La mia piccola lunghezza come un vetro diventò lucente.
Presi a fiorire come un ramo di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da sasso a nuvola, e così io in salita verso l’alto.
Ora assomiglio a una specie di dio
e galleggio nell’aria nella mia veste d’anima
pura come una lastra di ghiaccio. E un dono.

(In Tutte le poesie, Mondadori, 2019)

 

(In copertina: Fotografia di Steve McCurry [particolare])

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