Olocausto di Luca Imperiale, I Quaderni del Bardo Edizioni, 2024

Redazione

 

“Un bel giorno – i giorni sono belli – mi sono svegliato dove non c’erano le mie finestre né i miei quadri, non c’era il crocifisso, il letto era un altro letto: non era un letto ma uno spazio simile ad una bara, uno spazio tra un legno sotto i piedi e l’altro legno sulla testa. Mi accorsi dopo pochi minuti che ero in compagnia di tanti fiati e nessun fiato riconosceva il suo proprio fiato e neppure il suo letto. Avevo un pigiama che non è mai stato mio, una magrezza che non è mai stata mia, un tatuaggio che non è mai stato mio – il mio corpo era il corpo degli altri che c’erano. Il prete recitava il rosario tutte le sere, il rabbino recitava le sue preghiere tutte le sere – insieme abbracciavano i cuori e le profonde ferite di noialtri. Seppi che era un prete, seppi che era un rabbino… lo seppi quando non tornarono mai più.” (Luca Imperiale)

 

“Partono i treni, trasportano bestie – così rispondono i vampiri

a chi chiede loro chi c’è in quei vagoni.

Partono i treni,

i mugugni si fanno strada – esiste la favola del binario, della stazione

dove ci si arriva per cenare insieme

se nella casa di legno c’è spazio per tutti…

e ci si fissa a vicenda, poi qualcuno scompare

 

Un racconto in versi che ci accompagna nell’incubo. L’autore scandisce in prima persona il viaggio atto dopo atto verso l’Olocausto; come in una mimesi, s’incarna in ciò che non ha conosciuto; ciò nonostante si fa testimone e interprete del dolore, della rassegnazione e della speranza.

I pensieri s’addensano e il lettore, anche lui, è chiamato all’atto della presenza, della condivisione come a partecipare a una preghiera.

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