L’amarcord di Sorrentino: È stata la mano di Dio 

Regia: Paolo Sorrentino

Con: Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Massimiliano Gallo, Betti Pedrazzi, Ciro Capano, Enzo Decaro. Italia, 2021, Durata: 130’

di Italo Spada

 

«Il cinema non serve a niente, però ti distrae dalla realtà. La realtà è scadente.»

Lo dice Fellini; ce lo ricorda Paolo Sorrentino.

Due Obiezioni:

1) se il cinema distrae dalla realtà, non è vero che non serve a niente;

2) sarà pur vero che la realtà è scadente, ma non tutta, non sempre e non dovunque.

Andiamo con ordine e prendiamo in esame È stata la mano di Dio, presentato (e premiato con un Leone d’argento e Gran Premio della Giuria) a Venezia 2021 e candidato agli Oscar nella sezione dei film stranieri.

La storia del diciassettenne napoletano Fabio Schisa (Filippo Scotti), oltre ad essere un Amarcord del regista napoletano, serve a molte cose: ci fa riavvolgere il gomitolo del tempo, ci porta in giro per i vicoli di Napoli, ci fa partecipare alla vita delle famiglie patriarcali degli anni Ottanta, ci ricorda battute e scherzi di un’epoca pre-internet, ci fa tuffare nelle acque limpide del mare, ci fa rivivere le prodezze di un campione come Maradona e la gioia di un’intera città per la conquista di uno scudetto, ci fa uscire per oltre due ore dalla segregazione causata dalla pandemia. E vi pare poco?

La realtà è scadente? Quale realtà? Quella imposta dal maledetto covid? Ma chi lo dice che la realtà è intessuta solo ed esclusivamente di ciò che cade sotto i nostri occhi. L’infanzia si è nutrita di fantasia (con fiabe e credenze popolari, mostri, fate, santi e munacielli), l’adolescenza di sogni e aspirazioni (voglio fare il calciatore, l’attore, il regista), la gioventù di amori e speranze, la maturità di gioie e soddisfazioni. No; la realtà non è scadente. È un misto di bugie e falsità, parolacce e poesia, pianti e risate, imbrogli e bravure, esattamente come accadde il 22 giugno del 1986 nella partita tra l’Argentina e l’Inghilterra con il gol irregolare bilanciato dal “gol del secolo”. Il risultato, a Città del Messico o a Napoli, dipende solo in parte dall’uomo (si chiami Fabietto o Diego Armando Maradona): a mettere le cose a posto ci pensa sempre e solo la mano di Dio. A una condizione: “non disunirsi”.

Il consiglio è di Antonio Capuano e, ancora una volta, rimanda al calcio. Quando un giocatore dimentica di coprire il ruolo per il quale è stato mandato in campo, l’allenatore gli urla “Non disunirti!” Ovvero: ricordati di coprire quella zona – attacco o difesa che sia –  senza farti prendere dalla frenesia di risolvere la partita da solo.

Non sappiamo se Fabio-Sorrentino, trasferitosi a Roma per inseguire i suoi sogni di celluloide, lo abbia tenuto presente con Il divo (2008), La grande bellezza (2013), Youth (2015) e Loro (2018) (solo per citare i suoi film più noti); di certo, lo ha fatto con questa nuova fatica. Non si è disunito. I suoi genitori, i parenti, Napoli (quella di mille culure e di mille paure di Pino Daniele) lo hanno abbandonato perché la mano di Dio ha voluto così, ma non l’hanno lasciato solo (e tu sai ca’ nun si sulo). Soprattutto, non l’hanno lasciato “povero”, perché quell’ “insieme di esperienze personali, di racconti inventati e di storie raccontate da altri” che, come ha espressamente dichiarato, egli “camuffa e nasconde nei personaggi” confluisce in questo film e lo arricchisce. Ricchezza probabilmente non apprezzabile da tutti perché, oltre la conoscenza del dialetto e della mimica dei napoletani, richiede anche quella delle tradizioni, delle usanze e dei riti dei meridionali.

Per gustare sfumature e suggestioni e – perché no? – anche per addolcire la scadente realtà, distendiamoci, allora, davanti allo schermo come se fosse un quadro da esplorare con la fantasia (I proverbi fiamminghi di Bruegel il Vecchio o la Vucciria di Guttuso, per esempio) e sforziamoci di seguire i consigli di Fellini e di Capuano: “distraiamoci senza disunirci”.

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