Il treno dei bambini

Regia: Cristina Comencini

Con: S. Rossi, B. Ronchi, C. Cervone, S. Accorsi, G. Arena, F. Di Leva, A. Truppo, I. Zerbinati

Italia, 2024. Durata: 106’

 

di Italo Spada

 

Lars von Trier, il regista danese creatore del manifesto programmatico Dogma 95, sosteneva che «Un film deve essere come un sassolino in una scarpa.» Non saprei dire se Cristina Comencini, con Il treno dei bambini, tratto dal romanzo di Viola Ardone, oltre che dedicare questa sua fatica «Ai bambini e alle mamme di tutte le guerre», abbia voluto anche togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ma mi piace immaginarlo.

Mi piace pensare che, tra le intenzioni della regista romana, ci sia stata anche quella di dimostrare, come accade ogni tanto nelle storie di amore, che gli opposti si attraggono.  Sassolino  che diventa lezione da impartire a chi si batte per mantenere le distanze tra Bianchi e Neri, Noi e gli Altri, Ricchi e Poveri, Bene e Male, Nord e Sud…

Libro e film ci proiettano nei quartieri spagnoli di Napoli, quando, nella prima metà degli anni Quaranta, si cercava di sopravvivere alla devastazione del secondo dopoguerra. È lì, in un clima di povertà, di infanzia rubata, di fame e di famiglie smembrate, che vive Antonietta (Serena Rossi), una donna provata dalla miseria e dall’indigenza. Il marito, stando a quanto dice lei, è in America e l’unica gioia della sua vita è Amerigo, un figlio di otto anni che sogna il giorno in cui potrà calzare un paio di scarpe. Quando viene organizzata la campagna di solidarietà chiamata “Il Treno dei Bambini” finalizzata a strappare temporaneamente dalla miseria alcuni bambini meridionali dandoli in affido temporaneo a famiglie agiate del Nord, Antonietta inserisce nell’elenco anche il nome di suo figlio. È così che Amerigo si ritrova a passare un tranquillo periodo della sua fanciullezza nella campagna emiliana, accolto con grande affetto da zii e cugini acquisiti e, soprattutto, da Derna (Barbara Ronchi), una donna senza figli e marito, che gli farà da seconda mamma.

Altro sassolino: la smentita di velenose battute, come quella dei comunisti che mangiano i bambini.  È storicamente accertato che, ad organizzare tutto – scelta dei bambini, viaggio, pasti, coperte, accoglienza, collocazione, affido… – provvide l’Unione Donne del Partito Comunista Italiano. Non fu facile, in quel clima che si era creato in Italia, far capire a genitori e bambini che bisognava mettere da parte pregiudizi e paure. Amerigo e i suoi amici scoprono che nella vita, più dell’orco che mangia i bambini e della strega cattiva,  esistono nani che si prendono cura di reginette orfane e cigni che accolgono brutti anatroccoli. Quando il treno arriva a destinazione, infatti, trovano l’intero paese in festa: folla osannante all’unità nazionale, banda musicale, inno d’Italia, striscioni di benvenuto, sventolio di bandierine tricolori, pranzo, abbuffata di mortadella e tortellini.

Terzo sassolino: la precisazione di ciò che bisogna intendere quando si parla di famiglia. Antonietta, donna ancora giovane ma già provata dalla sfortuna, pensa solo a non fare mancare il cibo a suo figlio e cerca di arrangiarsi con favori a Capa e’ Fierro, il boss locale che si dà arie di camorrista. Avere vincoli di sangue, dormire sotto lo stesso tetto, mangiare allo stesso tavolo, non bastano. Antonietta, come accadeva a molte donne del Sud, non ha proseguito gli studi dopo le elementari; come avrebbe potuto tenere presente, allora, quello che aveva detto un certo Buddha con “la famiglia è un luogo in cui le menti entrano in contatto l’una con l’altra?”

Lo sapeva bene, invece, Alcide, lo zio modenese di Amerigo. È lui, infatti, che riesce ad entrare in contatto con la mente di quel bimbo napoletano che, di giorno in giorno, dimostra un’innata predisposizione per la musica. Ed è sempre lui che, alla fine dell’affido temporaneo, gli attutisce il dispiacere della separazione, regalandogli un violino. Amerigo torna a Napoli, riabbraccia sua madre, ma porta con sé uno strumento che può annullare le distanze e farlo sentire ancora membro di una seconda famiglia. Poesia e musica che, per Antonietta, sono solo parole quando il piatto resta vuoto; per questo decide di impegnare il violino al Monte di Pietà, non prevedendo minimamente la reazione di Amerigo che fugge da Napoli e ritorna tra le braccia della sua seconda madre.

Il quarto sassolino, pertanto, diventa un sasso pieno di interrogativi: «Che significa essere genitori? Fino a che punto si può dire che mamma ce n’è una sola?» Nella letteratura per l’infanzia ricoprono questo ruolo sia fate belle e buone che streghe brutte e cattive; nella cronaca di tutti i giorni c’è di peggio: neonati abbandonati, figli che uccidono i genitori, genitori che uccidono i figli. In questo film viene spontaneo contrapporre la rigidità di Antonina alla dolcezza di Derna. Una madre, si dirà, può lasciare andare suo figlio per un determinato periodo di tempo e per assicurargli vitto e vestiti, ma non può abbandonarlo per sempre. Sul banco degli imputati, Antonina non avrebbe scampo, ma non sempre le cose stanno così come sembrano. Ci sono madri che accettano accuse, condanne, separazioni pur di vedere la carne della loro carne vivere una vita migliore. La saggezza antica insegna che “chi ci ama, non ci trattiene”. Il treno dei bambini si apre con Amerigo (Stefano Accorsi), già adulto e affermato violinista, che, un attimo prima di dare inizio a un concerto, riceve la notizia della morte di Antonietta e si chiude con il suo rientro a Napoli. Quello che ci viene narrato lo apprendiamo in flash back e in sua soggettiva, come se la musica avesse aperto a lui e a noi il cassetto della memoria. «La musica – come dice Nick Hornby – ha un grande potere: ti riporta indietro nel momento stesso in cui ti porta avanti, così che provi, contemporaneamente, nostalgia e speranza.»

Amerigo, dopo avere varcato la soglia della vecchia casa, scopre che sotto il letto dove dormiva sua madre c’è qualcosa che attira la sua attenzione: è il violino, riscattato dal Monte di Pietà di Napoli e da lei custodito come religiosa reliquia. Davanti ai suoi occhi si squarcia il velo di una verità nascosta e non può fare a meno di accarezzare le corde dello strumento come se fossero i capelli di chi l’ha generato. Il pianto che non riesce a trattenere è un quinto sassolino nella sua e nostra scarpa. Mai giudicare le scelte degli altri, perché tutti combattiamo battaglie che altri non conoscono.

 

 

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