L’aquilone di Noah di Rafael Salmeron, Uovonero edizioni, Crema, 2022

di Cosimo Rodia

 

È la storia di un eroe tragico, Joel che immola la sua vita per il fratello autistico, Noah; vive gli anni della segregazione razziale in Polonia e il Campo di sterminio con l’impegno di prendersi cura del fratello diverso. Superando una serie di ostacoli, porta a termine la missione e, quando i russi giungono ad Auschwitz e Joel vede Noah giocare con l’aquilone, finisce di combattere: il suo corpo consunto, cede.

Joel si sostituisce alla madre, che aveva ripudiato il figlio fragile, al padre che aveva scelto la via dell’autoannientamento, alla sorella piegata sul suo ego, così s’impone un compito non facile: non partecipa alla resistenza dei giovani ebrei, nasconde Noah durante i primi rastrellamenti e nel Campo di sterminio lo alimenta cedendogli il pane, già razionato; un incarico eroico, che lascia l’amaro in bocca per l’epilogo della storia.

L’autismo è a latere, nei gesti svagati di Noah che non ha il dono della parola e gli ridono gli occhi nel far volare un aquilone.

Un libro franto, con medaglioni di tanti personaggi che si sovrappongono, in una dimensione ora realistica ora dolorosa, di uomini ridotti a larve, di violenza sia quella riferita ai fatti storici, sia quella familiare scaturita dal disamore.

L’aquilone di Noah è un libro triste di microstorie negli anni della Soluzione finale; le scansioni temporali che segnano i capitoli, fanno pendant col crescere della violenza perpetuata ai danni degli ebrei, prima isolati nei ghetti, espropriati delle loro attività, ridotti in schiavitù, infine, deportati.

In questo scenario storico, già noto, si raccontano le vite individuali, gli amori (tra Joel e Sarah), gli aneliti civili della Resistenza, il disfacimento psicologico degli uomini ridotti in schiavitù, la forza del prendersi cura.

In tanta brutalità, si percepisce alla fine una piccola luce, rappresentata dal lieto fine che riguarda Noah, come a dire che in tanto inferno, a volte spunta un raggio di luce.

Un libro per adulti, per la tragicità e per il disamore che interessano buona parte del racconto. Certo, parlare di genitori che si odiano, di mamme che disprezzano i figli fragili può risultare raccapricciante; in letteratura non si dovrebbero minare i pilastri affettivi, perché si rischia di normalizzare lo sfaldamento della società; inoltre, in letteratura deve farsi spazio la capacità evocativa, sicchè alcuni passaggi erotici tra Joel e Sarah, in tanto sfacelo umano e ambientale, potevano essere sostituiti da atmosfere soffuse (Shakespeare non ha mai portato in scena atti violenti, pur scrivendo tragedie).

Il romanzo comunque non lascia indifferente; al di là delle modalità con cui sono presentati alcuni sentimenti, nel complesso la narrazione esalta la forza umana di superare le cattiverie, di imporsi obiettivi e realizzarli grazie all’amore: Joel è un personaggio paradigmatico, magnifico nella sua tragicità, che sprigiona una umanità esemplare.

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