Pasolini: “Nella tradizione è il mio amore”

di Sandro Marano

 

Il centenario dalla nascita di Pasolini del 5 marzo 2022 è passato tra esaltazioni scontate della sua opera, soprattutto “a sinistra”, e riconfermate incomprensioni, soprattutto “a destra”.

Ricordo ancora oggi le parole di scherno e i sogghigni con cui alcuni miei amici di destra accolsero il mio acquisto nel lontano 1977 della prima edizione della Garzanti degli “Scritti corsari”. Invero, essi criticavano l’uomo Pasolini, la sua conclamata omosessualità, non le sue idee che ignoravano, ma, così facendo, si trovavano in buona compagnia, dal momento che il Partito comunista per gli stessi pregiudizi moralistici lo espulse per “indegnità morale”. Coglievano allora, a sinistra e a destra, solo una metà di quello che era Pasolini.

Ma coloro che leggevano i suoi scritti e le sue poesie senza pregiudizi non potevano non cogliere la sostanza delle sue tesi reazionarie e antimoderne, confermate tra l’altro sia dalla sua ultima poesia scritta in friulano, Saluto e Augurio, rivolta a un ragazzo fascista, dove si definisce  “divina” la destra (probabilmente con riferimento alle tesi del filosofo tradizionalista Evola) e si esorta il giovane fascista al dialogo e ad un comportamento proprio di un conservatore (“Difendi, conserva, prega”); sia  dai  suoi incontri pieni di ammirazione con Pound e dalla sua polemica con l’”ortodosso” Calvino. Ne scriveva nei suoi testi, da Rivoluzione conservatrice (1987) a Imperdonabili (2017), un intellettuale di destra come Marcello Veneziani. E ne scriveva, tra gli altri, pure un altro intellettuale meridionale e militante di destra come Pino Tosca in vari articoli e pubblicazioni in cui non esitava a riconoscere in Pasolini una vena tradizionalista.

Nella sua poesia “10 giugno”, più conosciuta col nome del primo verso  “Io sono una forza del passato” che fa parte della raccolta Poesie in forma di rosa (1964), è chiaramente espresso l’amore del poeta per la tradizione, la sua critica al progresso e al presente vuoto, inconsistente, piattamente borghese, e la sua disperazione di fondo:

 

«Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli

(…) mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più».

 

Pasolini seppe vivere ed esprimere magistralmente le sue contraddizioni di comunista e di antimoderno, di rivoluzionario e di conservatore, di spirito religioso e di condotta scandalosa. Gli Scritti corsari (1975) sono tuttora un capolavoro di polemica civile e giornalistica. Valide poeticamente sono senz’altro le sue poesie in friulano de La meglio gioventù (1954) e varie poesie contenute nelle sue raccolte, come, a nostro avviso, Serata romana (La religione del mio tempo), L’umile Italia (Le ceneri di Gramsci), 10 giugno (Poesie in forma di rosa). D’altra parte occorre onestamente riconoscere che molte delle sue celebrate poesie riportate nelle antologie, soprattutto da Le ceneri di Gramsci (1957) sono macchinose, cerebrali, impoetiche e parte della sua filmografia con la splendida eccezione de lI vangelo secondo Matteo (1964) è mediocre.

Pasolini lo sentiamo tuttora vivo e attuale, perché «è straordinario scrittore civile di denuncia, paradigma dell’intellettuale militante e disorganico, scontento e apocalittico, capace di essere trasgressivo anche rispetto alle trasgressioni in cui militava» (Marcello Veneziani, Perché Pasolini è ancora vivo, in Panorama, n. 10, 3 marzo 2022).

 

 

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