HAIuTIamo di Santa Vetturi, a cura di, Wip edizioni
di Cosimo Rodia
La scrittura plasma la vita umana, influenza la sua storia e muta la coscienza umana. Gli studi, da Jerome Bruner a Marco Dallari, da Duccio Demetrio ad Andrea Smorti, dicono che il narrare rappresenta un modo supremo per l’essere umano di far conoscere la propria storia. L’uomo da sempre ha avuto bisogno di narrarsi, da quello preistorico con i graffiti nelle caverne ad oggi, una modalità, insomma, che appartiene a tutte le culture, sia quelle che conoscono la scrittura sia quelle che la ignorano.
Sia la nostra esperienza immediata che quella passata o il nostro vissuto sono espressi sotto forma di racconto. È dunque attraverso il meccanismo della narrazione che l’essere umano costruisce la sua realtà, il suo mondo, rafforza dunque i suoi processi cognitivi, emotivi, civili, prefigurandosi eventi, azioni, situazioni, su cui poggiare la conoscenza e orientarsi nell’agire.
Secondo Jerome Bruner, la narrazione non è solo un piacevole passatempo, ma è uno dei meccanismi psicologici fondamentali per l’individuo e per i gruppi sociali. L’uomo di ogni tempo ha sempre avuto bisogno di narrarsi, perché nella narrazione mette a fuoco quel tempo che egli stesso deve vivere.
Duccio Demetrio ha ribadito che la scrittura non è metaforicamente un bisturi, quanto piuttosto un forcipe maieutico che ci aiuta a tirar fuori da noi i problemi, a portarli in chiaro, per esaminarli e dar loro parole, narrazioni, ricordi.
Ebbene, anche questa antologia rientra nello stesso progetto umano, ovvero quello di sintetizzare, pur nelle diverse prove espressive, una koinè, per il mondo che si desidera abitare e quindi riscrivere il senso della felicità.
Tutti i partecipanti, nei vari risultati proposti (artistici, narrativi, poetici, fotografici), hanno dato il loro contributo, per sottolineare che un mondo senza valori universali rischia la desertificazione. Le varie testimonianze, raccolte con pazienza dalla Curatrice, pur nella diversità delle proposte, si rivedono in un ideale I care, carico sotterraneamente di spirito religioso.
Così l’antologia, appellandosi ai valori, alla bellezza, alla solidarietà, assolve ad una funzione strumentale nell’edificare un mondo migliore. Bisogna seminare anche di fronte alle intemperie e all’aridità; Stefano Redaelli sottolinea, riportando le parole di un beato, che finanche i deserti sono edificabili, se piovesse per qualche anno.
La giustizia, la solidarietà, la pace, i diritti dell’infanzia, l’ascolto, la bellezza… devono essere, nella nostra provvisorietà, una ricerca continua, per organizzare la nostra vita, privata e pubblica, e dare un senso dell’io attraverso le differenze dei molti.
È un’antologia plurigenere; troviamo, infatti, pagine di diario, poesie engagée, testi lirici, racconti, dipinti, foto; in ogni manifestazione artistica vi è l’anelito umano, consuntivi personali, progetti, desideri civili, rammemoramenti, che rendono il volume godibile. Sicchè, discriminando alcuni raggruppamenti, e spizzicando tra alcuni autori, nell’antologia troviamo pagine:
di diario, come quello scritto da Isa Armenise in cui si parla delle piccole cose che si oppongono alla fretta moderna; di Giuseppina Boccasile che annota i destini tragici di alcuni popoli; quello toccante di Giacomo Losavio, che sottolinea il sentimento ambivalente di una bimba adottata; mitica la pagina di Maria Schiralli;
rammemoranti come quelle di Maria Rosaria Cassano che esalta il ricordo di vite esemplari; o quella di Adriana Fantini che considera i ricordi, i luoghi d’infanzia come la roccia che evita la deriva odierna; oppure, la forza del ricordo di Gianni Lafirenze;
di racconti come quello di Celestina Carofiglio che si snoda tra leggenda, mito e fiaba, ed esalta i sentimenti dell’attesa; Grazia Mastromarco che mostra l’indifferenza umana di fronte alla vita degli invisibili; Roberta Positano con il racconto di vita e col richiamo alla legge del contrappasso per analogia; Luigi Romano che rappresenta la cronaca di un terremoto, quale fenomeno che esula dai calcoli umani;
di lettere come quella di M. Carla Del Bono, quasi un testamento umano sulla forza dell’amore; oppure, la pagina divulgativa di Vittorio Polito sulle uniformi murattiane;
di foto come quelle di Giulio Bellino che rappresentano il movimento da fermo; le immagini di Matera di Antonio Foschino, che esaltano l’appartenenza contro il globalismo spersonalizzante; la bellezza dei corpi in movimento di Stefano Pesce; quelle prismatiche di Gilda Ronzulli; l’albero umanizzato di Anna Maria Semeraro; l’umanità nei volti di Valentina Spinetti;
di dipinti come quelli fiabeschi di Todorovic, con cromie accese che esaltano la vita; o le immagini oniriche di Tina Cestnik; i forti chiaroscuri di Michele Condrò; i manufatti dei Centro Diurno CSISE con l’esplosione di colori; gli intrecci gordiani di Francesco Festa; la brillantezza alla Kandinsky di Maria De Pasquale; l’ulivo di Antonio Laricchia quale monumento del Mediterraneo; il cielo ottenebrato di Marinka; l’immagine infernale di Minika Riemenschneider; i disegni naif di Francesca Saliola; la bellezza misteriosa dei mari di Rocca Sardone;
di poesia che è la parte maggiorente del volume, con testi ora semplici ora dalla bella cifra stilistica di autori collaudati; quindi leggiamo Lucia Attorre che pensa di riscrivere l’umanità grazie alla potenza enfatica delle piccole cose; Giulia Basile considera il gesto d’amore l’unico a dare senso alla vita; una carta dei desideri la presenta Maria Cinquepalmi; il richiamo alla bellezza del mare di Mimmo Cellamare; la voce di Letizia Cobaltini che col suo lirismo ci sprona ad arrenderci alle ragioni della terra; Vito Davoli fa ammenda degli errori dell’uomo moderno, padrone del limbo illuminato da luminarie stanche; Anna Maria Della Penna grida contro la guerra; Dina Ferorelli prega con le mani bagnate nella luce del mattino contro l’homo technologicus; Antonio Giampietro e Anna Gramigna lanciano un grido di dolore sulla possibile desertificazione della terra; Gianni Antonio Palumbo dona un saluto nostalgico a studenti di fine ciclo che si apprestano a volare in altri cieli; Laura Pavia grida contro l’atroce follia dell’amore; Paola Potenza esalta la speranza nella bellezza della natura che rinasce; William Vastarella ci offre la dolcezza del prendersi cura dei corpi scavati come la pioggia fa con il fusto rugoso…
La Curatrice sicuramente ha selezionato le opere non tanto per esemplificare l’itinerario individuale dei processi espressivi di ognuno, quanto i loro risultati, capaci di esprimere dei giudizi riguardo l’uomo e la natura.
Credo che i temi che serpeggino, sia tra le parti narrative, sia in quelle pittoriche, tendano ad esprimere un pensiero nella sua carnalità, nella sua materialità, nei suoi effetti concreti e quotidiani, che come tali giungano in chi legge. Ognuno degli autori antologizzati si è espresso col suo linguaggio, con le sue esperienze che generosamente condivide.
È inevitabile pensare che solo nelle forme artistiche (poesia, arte, narrativa…) le nostre storie individuali trovino la propria identità, la dolcezza degli altri, la bellezza, la solidarietà, nonostante la liquidità del mondo in cui ci è dato vivere.
Andrea Emo ha scritto che l’arte dello scrivere è forse un aspetto dell’arte del volo, ovvero una possibilità data all’uomo per significare le cose e la vita.
Allora, le novantatré voci che danno sostanza al volume non sono altro che tanti sensori che raccolgono gli stati d’animo, le volizioni, l’analisi del presente, le attese, lo sgomento, i progetti che salvino il mondo. Un impegno epico, quindi, che sarebbe bene stimolasse non pochi proseliti.
Infine, un’altra nota di merito del libro è quella di servire strumentalmente a sostenere, con i proventi della sua vendita, uno dei paesi più poveri del pianeta; sarà una goccia nell’oceano, ma gli oceani non sono che la somma di singole gocce.
Questi meriti distinti, inevitabilmente ci predispongono favorevolmente a diffondere questo strumento umano, creato come fosse una mano tesa verso l’Uomo.
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