Mio fratello rincorre i dinosauri
Regia: Stefano Cipani
Con: A. Gassmann, I. Ragonese, R. de Palma, F. Gheghi, L. Sisto, A. Becheroni.
Italia, 2019. Durata: 101’
di Italo Spada
Non è facile raccontare la disabilità: dibattiti, libri, immagini non rendono come dovrebbero la pesantezza del problema. Bisognerebbe sperimentarla sulla propria pelle o viverla al fianco di un familiare, un parente, un amico. Come ha fatto, per esempio, Giacomo Mazzariol con il suo romanzo autobiografico “Mio fratello rincorre i dinosauri” dal quale Stefano Cipani ha tratto ispirazione per il suo primo lungometraggio presentato alla Mostra d’arte cinematografica 2019 tra gli eventi speciali alle giornate degli autori. Con quale risultato? Difficile dirlo, perché tutto quello che si legge, si sente e si vede è sempre subordinato alla nostra sensibilità. Si faccia caso alle reazioni di Jack, il protagonista che narra in prima persona il suo rapporto con il fratellino Giò affetto da sindrome di Down. Accoglie con entusiasmo la notizia del suo arrivo, crede ingenuamente di avere a che fare con un eroe dei fumetti, ma quando scopre che quei superpoteri del fratello sono solo manifestazioni di disabilità, entra in crisi. Arriva l’adolescenza, Jack ritiene la presenza di Giò ingombrante e il rapporto si incrina ancora di più, soprattutto perché ostacola la prima cotta della sua vita. La voglia di conquistare la bella e superattiva Arianna gli fa prendere una serie di cantonate: comincia a frequentare amici poco raccomandabili, si vergogna di avere un fratello anormale, lo disconosce e compie un inqualificabile gesto di cattiveria. Nonostante la palese disapprovazione dell’amico più caro, tarda a capire che se non si accettano gli altri così come sono, non si può pretendere di essere accettati. Quando scoppia lo scandalo, i genitori lo rimproverano, le sorelle lo criticano, Arianna non vuole più vederlo. L’unico ad applaudirlo (non comprendendo la sua autoaccusa, o forse comprendendola più degli altri) è proprio Giò. Jack accetta l’umiliazione, ne fa tesoro e riprende il suo ruolo di fratello maggiore.
Questa la vicenda narrata e, almeno per quanto riguarda la versione filmica, probabilmente riadattata in alcune sequenze. Sembrano, infatti, poco credibili e costruite per soddisfare i gusti del grande pubblico alcuni momenti di tensione, come l’attraversamento pedonale di Giò nel suo primo rientro solitario da scuola, la pericolosa rincorsa del palloncino dinosauro, l’intrusione dei due amici fumati in casa Mazzariol con la comparsa/scomparsa del down segregato, gli inviti rivolti a Jack per intervenire nel collettivo studentesco, la sua partecipazione alla manifestazione di protesta senza sapere che ad essa ha aderito l’intera sua famiglia, ecc. Niente di grave, per carità, anche perché si capisce bene che il regista, conscio di trattare un tema delicato, sceglie i toni della commedia per sensibilizzare più spettatori possibili. Da qui l’impressione di trovarci davanti a un racconto di formazione adolescenziale e/o a un cinema di famiglia. Che non sono definizioni negative, ma modi di trattare con leggerezza anche argomenti di un certo spessore, come l’accettazione di un familiare “speciale”. Leggerezza che si oppone alla pesantezza e che non va confusa con la superficialità. Ci viene incontro, a tal proposito, Italo Calvino con la sua prima lezione americana, là dove chiariva: “La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Paul Valéry ha detto: Il faut être léger comme l’oiseau, et non comme la plume”. Valore al quale sembrano ispirarsi anche gli interpreti (dalla coppia Gassmann-Ragonese nei panni dei genitori democratici, alla folkloristica zia Rossy de Palma, dall’amico fidato Roberto Nocchi, all’Arianna della Becheroni, ecc.), con i due Jack (Luca Morello e Francesco Gheghi) e i due Giò (il piccolo Antonio Uras e l’adolescente Lorenzo Sisto) su tutti.
Rendere leggera la pesantezza: lavoro non semplice soprattutto fuori dallo schermo, perché la scoperta dell’arrivo di un figlio down proprio quando avevi sognato per lui un roseo avvenire è un tetto che ti crolla addosso. Ne sanno qualcosa Salvatore e Matilde, genitori di Antonio (4 anni), quando dichiarano: “Abbiamo provato paura e smarrimento di fronte alla diagnosi: ‘Suo figlio ha la sindrome di down’. Il futuro che avevi pensato per lui crolla. E i fantasmi scendono nel cuore come tenebre. Poi ti chiedi: cosa sappiamo noi, davvero, della sindrome di down? Poco, nulla. E allora inizia il percorso. È un cammino zeppo di curve. Quando vivi con lui ogni giorno, non ti ricordi più della sua sindrome. Lo osservi, giochi, ci parli e lo ami perché è semplicemente unico. Un essere senza filtri con emozioni e sentimenti. Poi però si giunge al traguardo”.
“Mio fratello rincorre i dinosauri” non è un capolavoro, ma fa riflettere per 101 minuti. Fa capire, come ha avuto modo di dire Giacomo Mazzariol in occasione della Giornata mondiale della Sindrome di Down, che “dentro ogni persona c’è un mondo unico” e che non bisogna guardare soltanto con i nostri occhi, ma essere autentici e spontanei, restare semplici e veri. Fa capire anche (è sempre Mazzariol ad averlo detto quando il film è uscito nelle sale) che “in periodi difficili per l’intolleranza e l’accettazione, le storie sono ancora gli strumenti più forti per entrare in sintonia con i pezzi di mondo che non ci appartengono. Amore e accoglienza rendono la nostra esistenza unica”. E per un film non è un pregio di secondaria importanza.
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