Schermaglie d’amore in Becchin’ amor di Cecco Angiolieri

di Italo Spada

 

Sprezzante, irriverente, scavezzacollo, senza scrupoli, spavaldo, ribelle,  maschilista… Come uomo, Cecco Angiolieri1 è tutto questo e altro; come poeta è un divertente esponente della poesia comico-realistica a cavallo tra il Duecento e il Trecento.

In Becchin’ amor, oltre a dimostrarsi buon conoscitore della psicologia femminile, rivela anche apprezzabili doti di dialoghista teatrale e cinematografico. La schermaglia d’amore con Becchina, l’anti-Beatrice popolana da lui amata che ritorna spesso nelle sue rime, è una recita a due, nella quale ognuno dei personaggi, pur sapendo che l’altro non dice la verità, interpreta il ruolo assegnatogli dal copione.

C’è un antefatto che emerge sin dal primo verso: Cecco ha tradito Becchina e qualcuno – uno di quelli che non si fanno mai gli affari propri – ha fatto la spia. I due, evidentemente, si conoscono molto bene e, con ogni probabilità, ciò che dicono ora l’hanno detto tante altre volte. La recita, una volta spontanea e sincera (in teatro si direbbe “a braccio”), è diventata un clichè, un batti e ribatti codificato e ben sperimentato. Sia Becchina che Cecco sanno come andrà a finire, ma la prima non può fare a meno di mostrarsi offesa e il secondo sa che gli conviene sdrammatizzare.

L’uomo giura di non avere fatto niente di male, ma nello stesso tempo implora  umilmente (gecchito) perdono; Becchina fa la sostenuta, inveisce contro il traditore, gli augura un accidente (Va’, che ti veng’un segno), ma contemporaneamente gli chiede una prova di sincerità.

La serie di botte e risposte tra i due innamorati sembra definitivamente complicarsi nella terza strofe, quando Becchina non si commuove dinnanzi allo spauracchio della morte che Cecco, con affettata drammaticità, le tira fuori (“Vuoi che muoia?” “Non vedo l’ora!”). È un falso allarme, perché, in realtà, siamo solo di fronte all’estremo complicarsi di un apparente conflitto (la tensione) che, nonostante quelle premesse, si sta avviando verso una felice soluzione. Cecco ha in serbo la carta vincente che, in ottemperanza alle più classiche regole della suspense, tira fuori inaspettatamente nell’ultimo verso, dopo che Becchina, con acida puntualizzazione, crede di averlo definitivamente smontato dicendogli che può andar via tranquillamente giacché, per quanto la riguarda, non lo sta trattenendo di certo per i vestiti. L’espressione della donna, che avrebbe fatto capitolare chiunque, fornisce, invece, a Cecco l’imbeccata per la battuta finale; una battuta che è un capolavoro di astuzia e che l’esperto “tombeur de femmes” sfrutta come stoccata definitiva per fare capitolare la sua bella: “È vero, non mi trattieni per i vestiti, ma… per il cuore!”

Tecnicamente, per una resa visiva ottimale, viene spontaneo pensare ad inquadrature alternate in Primo Piano dei due personaggi e all’utilizzazione di campi e controcampi, quasi a volere sottolineare il gioco delle schermaglie amorose che sembra stuzzicare e divertire i due amanti. Ma, di fronte a un dialogo così serrato e divertente, le indicazioni tecniche passano in secondo piano. Tutta l’attenzione, invece, va ai personaggi e alla loro interpretazione. Un Alberto Sordi e una Monica Vitti sarebbero stati di certo gli interpreti ideali.

 

Becchin’amor!

 

“Becchin’amor!” “Che vuo’, falso tradito?”

“Che mi perdoni.”  “Tu non ne se’ degno.”

“Merzé, per Deo!”  “Tu vien’ molto gecchito.”

” E verrò sempre.”  “Che sarammi pegno?”

 

“La buona fé.”  “Tu ne se’ mal fornito.”

“No inver’ di te.”  “Non calmar, ch’i’ ne vegno!”

“In che fallai?”  “Tu sa’ ch’i’ l’abbo udito.”

“Dimmel amor.”  “Va’, che ti veng’un segno!”

 

“Vuo’ pur ch’i’ muoia?”  “Anzi mi par mill’anni.”

“Tu non di’ bene.”  “Tu m’insegnerai.”

“Ed io morrò.”  “Omè, che tu m’inganni!”

 

“Die tel perdoni.”  “E ché non te ne vai?”

“Or potess’io!”  “Tegnoti per li panni?”

“Tu tieni ‘l cuore”.  “E terrò co’ tuo guai.”

 
 

Alternanza di inquadrature con l’uso del campo e del  controcampo

 

 

 

 

 
 

Note:

carattere normale: battute di Cecco

carattere in corsivo: battute di Becchina

1 Cecco Angiolieri ( Siena, 1260 c. – 1312 c.) Di lui si hanno poche notizie biografiche che confermano quasi sempre “l’autoritratto” del celebre sonetto S’i’ fosse foco. Di certo, nasce da un’illustre famiglia di banchieri e sceglie di vivere una vita  avventurosa e sregolata, caratterizzata da insubordinazioni, multe per infrazioni alla disciplina militare, processi subiti, debiti accumulati. Il suo genere di poesia, lontano dallo stilnovismo, appartiene alla corrente comico-realistica, che utilizza l’improperio e il vilipendio per scandalizzare e dissacrare tutto e tutti, esaltando il vino, il gioco, il denaro, l’amore carnale. Coerentemente alla sua poetica, dilapidò il patrimonio paterno e morì in grande miseria.

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