come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.
Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all’uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza
e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l’uomo! (di Nazim Hikmet) Vito DAVOLI Adamo mio Hai una mela, amore? Te ne prego, questa scarna beatitudine mi uccide. Dammi una mela, amore, che l’affondo giù nella gola fino a soffocare, dimenticare questa grazia oscena di una domenica che scioglie mille anni, di un giorno torrido che ferma il tempo dove io non sono. Ruba per me una mela, amore. Voglio quella lassù, lontana quella impossibile, mela o melograno purché qualcuno si risvegli dai fuochi fatui dell’onnipotenza. Tuo è il regno Tua è la potenza E la gloria nei secoli. Tienili pure ma a me lascia la vita la conoscenza, la mia umanità in una mela o dove meglio credi. Anche il nocciolo, amore, raccoglilo ché tanto si semina. Io ho pazienza. (Vito Davoli da L’inquieta armonia. Antologia di poeti pugliesi contemporanei, a cura di Angelo Lippo, Edizioni Portofranco, Taranto 2002) Tratturo Entrino, entrino con me in questo tratturo, sotto la luce tenue della pioggia. Entrate, amici, e constatate quello che si sente Quando negli occhi s’adagia il verde della vita. Date un’occhiata al fondo vegetale della Terra, ombre feline, sudori di chi è ormai parte del mio sangue. Osservate con me passeri e scimmie, cinture di felci o visi stanchi di tenaci castagnai. Dissi una volta: «Come sarà quando toccherà a me fare da guida?» Entrino, entrino con me. Vi invito ad un passeggio arricchito dal lampeggiare di reminiscenze. (Alfred Perez Alencart da Madre Selva, Trilce Ediciones, Salamanca España, 2002) Daniela FONTANA Tentativo di ricomposizione Il favore della luna nera saprà renderli complici infiorerà discorsi, parole in cerca, esaltazioni inchiostrate d’argento. È mancato (in totale insopravvivenza) l’accento isolano, il fare contorto, l’occhio lungo – lince in perenne stato di perlustrazione. È mancato in preghiera e in peccato, in lungo ed allargato, in bene e pace, perfino nel discorso ammaestrato dall’imbonitore. Filtra vocalizzi e lascia al caso il risultato. Spostati! Così, più a lato, frammenta il non detto e tracima. Saprà accoglierti – dalla punta all’apice – scenderà fino allo Stige per ricomporre il corpo straziato di Osiride tenterà la via dal profano al sacro. Disseminati intorno, scambi screziati, voli intatti al di là della follia. (Daniela Fontana, da Presagi di salvezza) Cineraria Picca uccello di passo, il muro è da tanto sorvolato, già bianco il ramo sopra il cuore e il mare sopra noi; il colle degli abissi infrondato di stelle meridiane – un verde senza veleno come quello degli occhi che lei aprì morendo: incavammo le mani per attingere dal torrente in piena – l’acqua del luogo dove abbuia e a nessuno viene teso il pugnale; intonasti anche un canto e intrecciammo una grata nella nebbia: forse verrà ancora un boia e tornerà a batterci un cuore, forse ci rotolerà ancora addosso una torre e verrà eretta tra il giubilo una forca, forse ci sfigurerà una barba e i suoi capelli biondi diventeranno rossi… Il ramo sopra il cuore è bianco già, il mare sopra noi. (Paul Celan da La sabbia delle urne) Rita GRECO Tutte le parole alla rinfusa sillabe scoscese canti in divenire oh la luce buona di certe mattine quando ogni gesto ha una destinazione braccia di madre tese a fare il mondo a schiodare il dolore da tutto il creato. Senti che sinfonia il nuovo giorno senti il cielo crepitare di pungente gioia e tutti i pianeti scintillano nei tuoi occhi nei tuoi occhi danza la vita musicante e io e io così piccola e buia non riesco a contenerla. Angeli del sogno, venite in moltitudini portateci in dono lo splendore alato che è stato nostro e non lo ricordiamo più portateci la parola casa e la parola grazie pane radioso che sazi la nostra fame coppe panciute da cui bere la bellezza poesia a profusione la parola cura la parola amore. Guarda com’è alto il cielo adesso guarda come pascola il bianco delle nuvole con la pioggia ora si fa dono lucida la foglia già pronta per il sole non c’è fine a questo compimento tutte le cose sono saranno sono state come questo mattino che già canta nelle gole come questo mattino che da secoli srotola le ore (Rita Greco da “La gioia delle incompiute”) Di nuovo la violetta s’inclina verso il giglio. Di nuovo la rosa si spoglia delle sue vesti. Il verde è venuto dall’altro mondo, ebbro di vento, come rinfrescato da nuova leggerezza. Di nuovo, vicino alla cima della montagna appaiono dolci i lineamenti dell’anemone. Il giacinto parla cerimoniosamente con il gelsomino. La pace sia con te. E pace a te, giovinetto. Vieni cammina con me sul prato. L’amico è qui, come acqua nella corrente, come loto sull’acqua. L’usignolo viene chiedendo: dove, dov’è l’amico? Con una nota l’usignolo indica la rosa. Molte cose devono esser lasciate non dette, ma qualunque conversazione non abbiamo avuto questa notte, l’avremo domani. (Gialal al-Din Rumi) Imma LUCCARELLI Lo senti Lo senti il vuoto che vacilla. Disorientata, persa in uno sciame di pensieri e di ricordi, trema l’anima di paura. Luminose, sottili vetrate rifrangenti di vita, eppure vibriamo, temiamo, aggrappandoci a nient’altro che alla nostra fragilità, quando improvvisa si alza la bufera. Quando fragoroso urla il temporale. (Imma Luccarelli, Inedita) Ho sceso Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue. (Eugenio Montale da “Satura”) Sandro MARANO Per il sentiero dove cresce la dorata ginestra Per il sentiero dove cresce la dorata ginestra e cantano all’ultimo bagliore le cicale cammino sfogliando il quaderno del tempo. E sono ancora – non so bene perché – il ragazzo invaghito della risacca con la sua magia e del sorriso della passante incrociata per strada, misterioso e seducente. L’abbazia è silenzio profondo, la sua parola risuona in fondo al cuore. Indugia sopra gli ulivi una falce di luna e sono giganti buoni, tenui ombre lucenti, gli ulivi, non fanno domande e mi prendono dolcemente per mano. (Sandro Marano, Inedita) La pioggia Bruscamente la sera s’è schiarita perché cade la pioggia minuziosa. Cade o cadde. La pioggia è qualche cosa che senza dubbio avviene nel passato. Chi l’ascolta cadere ha ritrovato Il tempo in cui la sorte fortunata Gli svelò un fiore chiamato rosa e il bizzarro colore del granato. Questa pioggia che adesso acceca i vetri rallegrerà nei perduti sobborghi le nere uve d’una vite in un cortile dileguato. La stillante sera mi porta la voce sognata di mio padre che torna e non è morto. (Jorge Luis Borges da L’artefice) Gianpaolo G. MASTROPASQUA
CORIFEO: Benché fosse antico di giovinezza
futuro e fiamma fino all’omega
vagava tra le rovine della pazzia
rianimando amori, baciando rivoluzioni.
Dei confini imperiali Nel confine di sputo dove in gergo nacqui dove le murge s’inchinano per non urtare il cielo dopo le curve mortali e la piana dei martelli dove i contadini prestano le mogli a ore o virtuose giovenche della casa del seme nuvole di femmine al pascolo perenne o chiaramente vacche marchiate dalla luna in preda agli ultimi boschi agli ultimi predatori predati nelle grotte dove nacquero i briganti dove il padre di mio padre dormiva nel suo grano perché la bestia sapeva le strade a memoria le sentinelle per la pelle spedite in caserma perché l’uomo rincasava per sfamare il paese perché la guerra fosse meno amara tra i denti e io fiaba furente di una stirpe terrigna di eroi plasmati dalle povere battaglie non rinnego il planetario sul dorso dormiente né il sangue che solo per difenderlo ho versato nelle strade dove crebbi e appresi la lotta le malenotti mosse nelle macchine manomesse i passaggi nel buio dell’ adolescenza furia la pistola alla tempia che spaventai a morte con la calma terrificante e inumana dell’iride e fratello dei lupi dei rapaci dei rovi disinnesco le trappole dei mercanti del verbo sono questa terra sommersa e introvabile. (Gianpaolo G. Mastropasqua da Viaggio salvatico) Primi Incontri Ogni istante dei nostri incontri lo festeggiavamo come un’epifania, soli a questo mondo. Tu eri più ardita e lieve di un’ala di uccello, scendevi come una vertigine saltando gli scalini, e mi conducevi oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti al di là dello specchio. Quando giunse la notte mi fu fatta la grazia, le porte dell’iconostasi furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva e lenta si chinava la nudità nel destarmi: “Tu sia benedetta”, dissi, conscio di quanto irriverente fosse la mia benedizione: tu dormivi, e il lillà si tendeva dal tavolo a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre, e sfiorate dall’azzurro le palpebre stavano quiete, e la mano era calda. Nel cristallo pulsavano i fiumi, fumigavano i monti, rilucevano i mari, mentre assopita sul trono tenevi in mano la sfera di cristallo, e ” Dio mio! ” tu eri mia. Ti destasti e cangiasti il vocabolario quotidiano degli umani, e i discorsi s’empirono veramente di senso, e la parola tua svelò il proprio nuovo significato: zar. Alla luce tutto si trasfigurò, perfino gli oggetti più semplici – il catino, la brocca – quando, come a guardia, stava tra noi l’acqua ghiacciata, a strati. Fummo condotti chissà dove. Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi, città sorte per incantesimo, la menta si stendeva da sé sotto i piedi, e gli uccelli c’erano compagni di strada, e i pesci risalivano il fiume, e il cielo si schiudeva al nostro sguardo” Quando il destino ci seguiva passo a passo, come un pazzo con il rasoio in mano. (Sergei Tarkovskij da Poesie scelte, Milano 1989) Aldo PERRONE Rosa di maggio “L’appartamento ha ovviamente le cantine ma io ci sto comoda, trovarle a getto di mano; e sul piano più basso mi va bene, qui accanto ho il giardino”. Rosa di maggio, nel giardino fresco di nuovi arrivi, per la primavera sono nate le rose rosse dallo stelo portato “dai ragazzi”; rosa di maggio “mi sopravviveranno?”, una risata manda di buon umore chi la sa lontana, la morte. Rosa di maggio, rigogliosa, alta, colore denso come il rosso di sangue, una di quelle che carezzavi tanto, rosa di sangue tra le tue mani bianche per dormire per sempre. Non ci sarà roseto col suo denso colore che non sarà dolore. Aspetterò per te ogni rosa di maggio. (Aldo Perrone da Uno strappo al silenzio) Tutti la credono donna Tutti la credono donna E donna può essere: L’odore, il portamento L’andamento di volo Che assume Sollevando appena il tallone. Quanti occhi per guardare! E quante voci Nella bocca sveglia: Un ponte a Venezia O altra cosa improvvisa Mattiniera e gremita. Tutti la credono donna. Talvolta anche lei lo crede E cede perché mi piace Che tale sia. Non soltanto mia Ma pure di altri animali Bisognosi, dolenti: Il corvetto di nove giorni Caduto dal campanile di Auxerre; L’asino Geremia Che brucia, che brucia Sulla piana di Battipaglia. Tutti la credono donna. E tale può apparire Sul filo d’acqua Quando si specchia O semplicemente cammina Svogliata e temeraria. Le città che attraversiamo Non hanno numeri per le sue mani Né numeri per i suoi piedi. Con la mia pelle Giorno e notte m’industrio A fare guanti e pianelle. (Raffaele Carrieri da Ill cigno lanciere) Marina PIZZI (Legge Barbara Gortan) Dovrò Dovrò ammattire con il sangue in gola Terra italica senza fingerla… Opuscolo di gestapo sopra il petto Terribile pazienza essere io. Manifesto tombarolo il silenzio Cristallo innamorato il mio fraseggio Giraffa di una luna che si prende. Gesticola la madre per farsi voler bene, Ormai ignoro le vestigia di chi fu Malanno della rosa che non mi volle. (Marina Pizzi da “Infernetti per un apolide”) Tutto il mondo è vedovo Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancoratutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo
è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il
mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo
è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo
una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi
dalla tua nascita e l’importanza del nuovo giorno
non è che notte per la tua distanza. Cieca sono
ché tu cammini ancora! cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali. (Amelia Rosselli da “Variazioni belliche”). Pietro SANTAGADA Buenos Aires è lontana I rumori dei chiodi conficcati a serrare le assi delle finestre facevano volare via i colombi. La casa di pietra era abbandonata (così) all’incanto del tempo. Erano partiti tutti con le lacrime nelle tasche e la testa alta. Le valigie di cartone piene di speranza, il destino affidato al santino cucito della Vergine SS. Del Rosario e i sogni erano legati con lo spago. Le foto dei propri cari nei portafogli e nelle borsette pronte a mostrarle al primo sconosciuto. Nel cammino il cielo era caduto nel palmo delle loro mani e i volti riflessi erano stelle. (Pietro Santagada da Mappa S) Emigranti Camminate leggeri su strade diritte che non portano da nessuna parte noi ci sorridiamo come freschi innamorati mi guardavano pensose le case e i giardini non lasciano alcuna impronta su di voi sgusciate come nubi sopra torri e monti i vostri piedi senza radici non si feriscono da grande distanza guardate i vostri dolori senz’anima scaturiti da voi il domani ormai alle vostre spalle le nostre mille speranze annuiscono in lacrime abbracciamoci veloci dalle vostre labbra immobili sale il fumo così triste delle canzoni morte frusciano bianchi gli alberi sul ciglio della strada e voi salutate con mani prive di luce finché vi sciogliete nella corsa di un treno mattutino frastornati dallo sferragliare delle ruote (Agota Kristof da “Chiodi”) Carla SARACINO Il tempo declina e la spiaggia nasce sulla pagina.
Vedo le dune approssimarsi al dito che sfoglia.
La pianta del ginepro
accasciata alla riva pungola il suono.
Non si tratta di una casa o dell’estate che affolla i pensieri.
Si tratta di una pena e del suo impossibile.
Del vedere prima di patire.
Si tratta dell’irredimibile. (Carla Saracino, da Quest’ora dell’estate) Tengo in mano un fiore, forse.
Strano.
Sembra che nella mia vita
sia passato un giardino, una volta. Nell’altra mano
tengo un sasso.
Con grazia e fierezza.
Nessun sospetto
che mi si avverta di mutamenti,
che stia saggiando difese.
Sembra che nella mia vita
sia passata l’ignoranza, una volta. Sorrido.
La curva del sorriso,
il cavo di questa inclinazione,
assomiglia a un arco ben teso,
pronto.
Sembra che nella mia vita
sia passato un bersaglio, una volta.
E l’inclinazione alla vittoria. Lo sguardo immerso
nel peccato originale:
assaggia il frutto
proibito dell’attesa.
Sembra che nella mia vita
sia passata la fede, una volta. La mia ombra, solo un gioco del sole.
Indossa una divisa d’esitazione.
Non ha ancora fatto in tempo a essere
mia compagna o mia delatrice.
Sembra che nella mia vita
sia passata l’abbondanza, una volta. Tu non appari.
Ma se c’è una forra nel paesaggio
se mi sono fermata sul suo bordo
tenendo un fiore in mano
e sorridendo,
significa che fra un po’ verrai.
Sembra che nella mia vita
sia passata la vita, una volta. (Kikí Dimulà da L’adolescenza dell’oblio) Alfredo TRAVERSA legge stralci della “Poesia in forma di rosa” di P. P. Pasolini.