Per chi suona la ‘pensione’!

di Giuseppe Capozza

 

Cara Linda,

la cosa che più mi è piaciuta di ieri è stato non l’aver chiesto un discorso finale ai pensionandi. In certe occasioni rischi di essere retorico e scontato. Ricordo anni fa un saggio di Daniel Pennac che contestava i ringraziamenti agli incontri ufficiali; una osa simile potrebbe applicarsi ai saluti di fine carriera.

E’ difficile in certi momenti, davanti a tante persone, evitare di dire frasi di circostanza, essere originali, lasciare un messaggio importante, utilizzare citazioni pertinenti (magari curiose o divertenti).

Quello che posso dire, riferibile a me, alla mia carriera, alla mia esperienza professionale personale, è che ieri ho avuto la netta sensazione non di finire un lavoro, bensì di doverlo interrompere, forse sul più bello…

Ci ho pensato tutta la notte, e quelle che seguono sono le riflessioni che, senza l’incontro di ieri, forse non avrei mai fatto.

 

Io mi senso come Mosè

In quel tempo, JHW ordinò (come Suo solito, Lui ordina, non chiede né consiglia né suggerisce) a Mosè di recarsi sul Monte Nebo; zitto e mosca (come suo solito, lui esegue senza chiedere spiegazioni: sa benissimo che JHW non gliele darebbe), l’anziano profeta esegue l’ennesima scarpinata: per uno che ha percorso il deserto per quarant’anni cosa volete che sia un monte in più o uno in meno…!

Giunto in cima, Mosè pone una mano sulla fronte e guarda l’orizzonte: davanti a lui, in basso, scorge una verde vallata che termina con una leggera striscia azzurra: il mare. All’interno, si estendono boschi, fiumi, pianure erbose. Giustamente il profeta commenta tra sé e sé: “Azz, che bel panorama! Valeva la pena inerpicarsi come una capra per vedere tutto questo ben di JHW!! Vuoi vedere che sono giunto finalmente a destinazione?”. Poi, a voce alta, tutto emozionato, chiede: “Signore, quella che vedono i miei stanchi occhi è forse la Terra Promessa?”: E dentro di sé si accende la speranza: “Dimmi di sì, JHW, dimmi di sì!”.

E così JHW disse (come Suo solito, Lui non risponde, bensì afferma): “Mi fa piacere, Mosè, constatare che quarant’anni di deserto non ti hanno rincitrullito il cervello né annebbiato la vista: quella che vedi è la Terra che ho promosso a te e al mio popolo, il Paese dove nei fiumi scorrono latte e miele, senza che ciò procuri intasamenti nelle condutture. Però ti avverto: Tu non vi entrerai. Il mio popolo sarà guidato da Giosuè. Tu morirai tra poco”.

 

Il capitolo 34 del Deuteronomio non precisa la reazione del profeta, un breve risentimento è accennato nel Midrash, ma io credo, con tutta l’ammirazione che ho per l’obbediente Mosè, che la cosa non gli sia andata proprio giù. Io credo che abbia reagito più o meno così, anche in assenza di testimoni (furbo JHW, ancora una volta!):

“Ecchecculo! Ma come, ho lasciato la corte del Faraone (dico Faraone, mica la catapecchia di un pecoraio), quarant’anni di passeggiata sulla sabbia, attraversato il Mar Rosso mentre si stava richiudendo da un momento all’altro, aver mangiato quella cosa insipida che non ha nome (infatti, “ma nah” significa proprio “cos’è?”), che ha causato diarrea a due terzi della popolazione mentre l’ultimo terzo  ha sofferto di stitichezza, mazzate giorno e notte da tribù ostili, rotto il mio fedele bastone per trovare una misera sorgente d’acqua, scolpire due volte le Tavole della Legge perché degli imbecilli che volevano adorare un bue di metallo (pregiato, ma sempre metallo è!) mi avevano costretto a rompere le prime, passi il comando a quel guerrafondaio di Giosuè invece che ad uno dei miei figli (dopo quarant’anni di onorato servizio una raccomandazioncina mi è concessa o no?)…. E no, eh! Stavolta non ci sto, sono stato buono e caro ma ora non ne posso più. E poi, farmi morire qui, da solo, sul cucuzzolo di una montagna sconosciuta, senza che nessuno possa darmi degna sepoltura, sarò pastura di belve selvatiche e avvoltoi affamati! Sei…sei…crudele, ecco sì, crudele: manco Ammòn, il dio degli Egizi, è così cattivo e ingrato…”.

 

Io mi sento come Mosè: interrotto proprio mentre stavo per raccogliere, dopo anni di impegno sottratto alla famiglia e agli interessi personali, risultati lusinghieri per la mia scuola, per i miei bambini, per i miei insegnanti, con il Dsga,  gli assistenti amministrativi e i collaboratori scolastici, arriva il pensionamento! Non è mancanza di fiducia in chi proseguirà la conduzione della scuola (del quale sono certo, parafrasando una famosa espressione evangelica, non sono degno di sciogliere i legacci dei faldoni), ma togliermi il gusto di vedere come si concludono processi avviati da me, mi procura un po’ di dispiacere. Per fortuna, pur offrendo di una sorta di “sindrome di Mosè”, mi consola sapere come, sempre secondo me, finisce il dialogo tra l’anziano profeta e JHW…

“Amico mio – disse JHW con tono calmo e perentorio, oggi si direbbe assertivo – quanti altri uomini ho chiamato amico? Tu avevi una missione e l’hai svolta in modo egregio, lo riconosco. Nessuno poteva guidare il mio popolo tra i pericoli del deserto se non te: è giusto che il comando passi ad altri, altrettanto validi: come io ho scelto te, così scelgo il tuo successore. E chiacchiere non ce ne vogliono. Ti ho condotto su questo monte per farti vedere il risultato del tuo lavoro: un paese bellissimo, mica una contrada circondata dalle rocce! Per quanto riguarda la tua morte, non tenere per il tuo corpo mortale: sarai assunto in Cielo e siederai accanto a me, non appollaiato su una nuvoletta. Amen”.

Sono sicuro che Mosè, dopo aver ascoltato le parole di JHW, si sia addormentato col sorriso sulle labbra, accompagnato da una dolce ninna nanna: “Buonanotte, angelo mio, chiudi i tuoi occhi e dimentica le fatiche del giorno”(1). Per quanto mi riguarda, come dice San Paolo (Tm 4, 7-9), mi sono dato da fare, ho combattuto la mia battaglia mettendoci tutte le forze e l’impegno che potevo, ho terminato la carriera nel riconoscimento di chi ha condiviso il lavoro con me, ho conservato i miei ideali pedagogici ispirati a Don Milani e Paulo Freire, Edgar Morin, ho organizzato il servizio seguendo i suggerimenti di Maestri quali Piero Romei, Antonio Valentino, Giancarlo Cerini, Maurizio Tiriticco, Angelo Paletta.

…e, come dicono a Bari, “Storia mè non è chiù”.

 

 

(1)”Lullaby” di Billy Joel. Tra le tante versioni di questa famosa canzone, mi piace pensare che Mosè sia salito ascoltando quella dei Voces8+The King’s Singers, che si può ascoltare al seguente link:

 

(Giuseppe Capozza, cultore di letteratura per l’infanzia, DS in pensione dal 1 settembre 2022).

Lascia un commento