I monaci “vitelloni”

di Italo Spada

 

I giovani frati che, nel XII e nel XIII secolo, si spostavano da un paese all’altro dell’Europa per frequentare scuole e università, non sempre riuscivano a completare i loro studi di teologia e di filosofia. Li chiamavano “clerici vagantes”, ma se in quei secoli ci fosse stato Federico Fellini avrebbe sicuramente dato loro l’appellativo di “Vitelloni”. E questo perché, una volta “saltato il fosso”, attratti dai piaceri del mondo, questi religiosi cambiavano idea e finivano con il vagabondare da una taverna all’altra, ubriacandosi, sperperando denaro nel gioco dei dadi e dandosi a sfrenati divertimenti. Inoltre, come se si volessero rivalere degli inutili sacrifici fatti fino a quel momento, essi erano soliti scagliarsi contro le rigide norme monastiche e contro i loro superiori componendo testi goliardici e licenziosi, destinati per lo più ad essere musicati e cantati.

La raccolta più celebre di questi componimenti è quella scoperta in un codice risalente al 1225 circa, nell’abbazia di Benediktbeuren (Bura Sancti Benedicti), in Baviera, e chiamata dal suo primo editore1 “Carmina Burana”. Si tratta di circa 250 componimenti, la maggior parte dei quali anonimi e scritti in latino medievale.

Nei versi appresso riportati – e tradotti – appare  evidente come questi studenti, a dispetto di ciò che erano costretti a sentire nelle sedi della scienza e della cultura,    avessero una gran voglia di divertirsi e di “cogliere le dolcezze della gioventù”. La teoria del “carpe diem” è giustificata dal ritornello che ricorda il veloce trascorrere del tempo e gioca sull’antitesi gioventù – vecchiaia. Alla gioventù si addicono l’ozio, la spensieratezza, la lascivia, l’amore, la danza, la seduzione; alla vecchiaia, che arriva quando il sangue si raffredda e l’animo si indurisce, sono riservati gli acciacchi e i pensieri seri.

Il tono di commiserazione, tutto sommato blando, attutisce le frecciate degli anonimi autori medievali nei confronti della vecchiaia e maschera la cattiveria del gruppo e dell’allegra compagnia. “I vitelloni” di Fellini avranno meno scrupoli e, noncuranti del ritmo poetico, utilizzeranno gli espedienti filmici della colonna sonora e della mimica: pernacchie e il pesante gesto di scherno dell’ombrello.

 

 

Dai “Carmina Burana

 

Lasciamo stare gli studi,

è dolce stare in ozio,

e cogliamo le dolcezze

di gioventù, con abbandono!

è cosa adatta alla vecchiaia

pensare alle cose serie.

[…]

Veloce passa il tempo

dedicato agli studi,

ci spinge alla lascivia

la debole gioventù.

Passa la primavera della vita,

incalza il nostro inverno,

la vita ne soffre i danni,

gli affanni macerano il corpo.

Il sangue si raffredda, l’animo si indurisce,

le gioie diminuiscono, già ci atterrisce la vecchiaia

col suo seguito di mali.

Veloce passa il tempo…

 

Imitiamo gli dèi!

è una massima saggia,

e già le reti d’amore

catturano i giovani.

Serviamo il nostro desiderio!

questo è costume degli dèi.

Scendiamo nelle piazze

tra le danze delle fanciulle.

Veloce passa il tempo…

 

Là, è cosa facile,

se ne vedono in abbondanza,

là splende nei movimenti

la seduzione dei corpi.

Mentre le fanciulle muovendosi

fanno gesti seducenti,

sto a vedere, e nel vederle

mi rapiscono a me stesso.

Veloce passa il tempo…

 

1 J. A. Schmeller, nel 1847.

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