Nello spazio lunare
pesa il silenzio dei morti.
Ai carri eternamente remoti
il cigolio dei lumi
improvvisa perduti e beati
villaggi di sonno.
Come un tepore troveranno l’alba
gli zingari di neve,
come un tepore sotto l’ala i nidi.
Così lontano a trasparire
il mondo ricorda che fu d’erba, una pianura.
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“Poco lontano un cane scheletrico mugola strisciando verso il suo padrone, che dorme seduto sotto il sole rovente. Intorno alla testa e alle spalle gli ronza una nube di mosche. Il misero cane guaisce senza posa, strisciando sulla pancia e dimenando la coda. Jons smonta e si avvicina all’uomo addormentato. Gli rivolge cortesemente la parola. Poiché non riceve risposta, gli si avvicina per scuoterlo e svegliarlo. Si china sull’uomo addormentato, fa per mettergli una mano sulla spalla, ma la ritrae in fretta. L’uomo guarda Jons con le vuote occhiaie e i denti scoperti. Lo scudiero rimonta a cavallo e raggiunge il padrone. Beve un sorso del suo otre, quindi lo porge al cavaliere.
Cavaliere: Dunque, ti ha indicato la strada?
Jons: Non esattamente.
Cavaliere: Che cosa ha detto?
Jons: Niente.
Cavaliere: Era muto?
Jons: No, signore, non direi. Anzi, in realtà, era molto eloquente.
Cavaliere: Ah, sì?
Jons: Era eloquente, eccome! Il guaio era che ciò che aveva da dire era molto deprimente.[2]
Jof e Mia sono distesi, stringendosi l’uno all’altro, e ascoltano la pioggia tamburellante leggermente sulla tenda del carrozzone, il rumore diminuisce a poco a poco e infine vi è solo più qualche goccia isolata. I due si trascinano fuori dal loro riparo. Il carrozzone è fermo su un’altura, in cima a un pendio, protetto da un enorme albero. Al di là delle colline e le foreste si scorgono ampie pianure, e il mare, che riluce ai raggi solari che spuntano attraverso le nubi. [3]
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