Il chimismo lirico di Apollinaire

di Sandro Marano

 

«E quando il giorno muore

Quando ci prende il sonno

Nei nostri letti diversi

I nostri sogni ci avvicinano […]

Io penso al sapore del tuo corpo e penso alle tue anche»

 

Questi versi sono tratti da una delle poesie di Lettere a Lou. Si tratta di una raccolta di lettere e poesie, pubblicata postuma nel 1970 dopo che venne meno il divieto alla pubblicazione, che furono scritte da Guillaume Apollinaire (1880 – 1918) alla contessa Louise de Coligny Châtillon (da lui ribattezzata Lou), donna disinibita e sensuale con cui ebbe una breve e appassionata storia d’amore nel 1915 poco prima di partire volontario al fronte. A questa relazione ne seguì un’altra egualmente passionale e impetuosa, durata all’incirca un anno, con una ragazza della piccola borghesia, la pudica Madeleine Pagès, cui scrisse lettere e poesie pubblicate postume nel 1952 col titolo tratto da un suo verso Tendre comme le souvenir (Tenero come il ricordo).

Le poesie a Lou e le poesie a Madeleine costituiscono una sorta di canzoniere d’amore nel quale l’eros viene cantato in tutte le sue cento e cento sfumature, dalla tenerezza al furore, dalla liricità alla scurrilità, e fanno di Apollinaire uno dei grandi poeti d’amore di tutti i tempi da Saffo, Catullo e Ovidio a Neruda e Hikmet.

C’è nelle poesie a Lou la sottile allusione:

«oh fico oh fico desiderato

bocca che voglio cogliere ferita di cui voglio morire»;

il crudo realismo:

«corpo deliziosamente elastico t’amo

vulva che stringe come uno schiaccianoci t’amo»;

c’è la nostalgia:

«Profumo marino profumo d’amore sotto le finestre moriva il mare

e il profumo degli aranci t’avvolgeva d’amore

mentre ti raggomitolavi tra le mie braccia

quatta quatta».

E in quelle a Madeleine non mancano maliziosi e scoperti riferimenti: «Adoro il tuo vello che è il triangolo perfetto

della Divinità».

Sul carattere estroverso e avventuroso del poeta probabilmente influì la sua condizione di figlio naturale, nato da una relazione tra la  madre polacca, donna coraggiosa e spregiudicata, e il padre italiano, ufficiale borbonico, scialacquatore e dongiovanni, che inseguito dai creditori, dopo quattro anni dalla nascita di Guillaume, fuggì in America facendo perdere le sue tracce. Apollinaire si dedicò a lavori saltuari, in banca e nel giornalismo, senza disdegnare per sopravvivere la stesura di romanzi licenziosi come Le undicimila verghe (1907). Visse amori turbolenti. Accusato innocentemente di complicità nel furto della Gioconda nel 1911 al Louvre conobbe i rigori del carcere. Strinse legami d’amicizia con Picasso, Soffici, Modigliani ed altri artisti, che a Parigi vivevano la sua stessa condizione di sradicati rispetto alle correnti culturali dominanti e frequentò anche i Futuristi e i Surrealisti senza mai esserne davvero attratto, stante il suo disinteresse per la politica e la sua riluttanza ad accettare il nuovo disconoscendo completamente il vecchio.

Apollinaire è considerato dalla critica più autorevole il capofila della moderna poesia del Novecento. Nel 1913 pubblicò la sua prima importante raccolta di poesie Alcools, che raccoglie poesie scritte tra il 1898 e il 1913, già apparse in varie riviste. Nel novembre 1918, all’età di trentotto anni, la sua parabola poetica ed esistenziale si chiuse prematuramente a causa dell’epidemia di “spagnola”, poco dopo aver pubblicato Calligrammes, che raccoglie le poesie scritte tra il 1913 e il 1918, e aver sposato Jacqueline Kolb, l’infermiera americana dai capelli rossi che l’aveva curato in seguito alle gravi ferite riportate al fronte, La bella rossa, della poesia che chiude i Calligrammes.

Muovendo da un iniziale simbolismo Apollinaire giunge ad una poetica affatto originale, ad una sorta di poesia-evento o, per riprendere una felice espressione di Soffici, ad un chimismo lirico, dove si mescolano e trovano un difficile equilibrio innovazione e tradizione, ordine e avventura, realtà quotidiana e ricordi, «leggerezza espressiva e piacere della forma» (Enrico Guaraldo).

Emblematica è la lunga poesia Zona che diede con i suoi versi finali il titolo alla raccolta Alcools:

 

«Sei solo sta per arrivare il mattino

I bidoni del latte tintinnano nelle vie

La notte s’allontana come una bella meticcia

È Ferdine la falsa o  Lèa la premurosa

E tu bevi quest’alcool che brucia come la tua vita

La tua vita che bevi come un’acquavite».

 

Composta cronologicamente per ultima, ma collocata all’inizio, Zona rappresenta lo smarrimento dell’uomo contemporaneo, che non ha più certezze, ha nostalgia per la fede perduta, come per la propria infanzia, ma non crede più nella religione, accetta la modernità, ma non sai se questa accettazione è gioiosa o è frutto di angoscia o di rassegnazione. I suoi versi rappresentano, in fondo, il trionfo della contingenza. «La vita ha fretta di scomparire: e Apollinaire ne riproduce quasi per istinto il rapidissimo corso» (Enrico Guaraldo). I versi si susseguono in un caleidoscopio di immagini accostate ora per analogia ora con bruschi salti logici. Ecco i versi iniziali:

 

«Alla fine sei stanco di questo mondo antico

Pastorella o torre Eiffel stamani i tuoi ponti belano

Ne hai abbastanza di vivere nell’età greca e romana

Nuova nuova è rimasta soltanto la religione […]

E tu se non entri in chiesa stamani a confessarti

È perché le finestre ti osservano e ti vergogni

Leggi i volantini i cataloghi i manifesti che cantano a voce alta

ecco la poesia stamani e per la prosa ci sono i giornali […]

Ho visto stamani una simpatica via il nome non lo ricordo

Nuova e pulita era la tromba del sole

I dirigenti e gli operai e le belle dattilografe

dal lunedì al sabato sera quattro volte al giorno ci passano».

 

Nei Calligrammes i motivi già trattati in Alcools si accentuano. Così spezzoni di conversazioni colte in un caffè diventano in Lunedì in rue Christine una suggestiva poesia senza ordine logico. Ma altri se ne aggiungono in modo preponderante: l’esperienza bellica e gli amori per Lou e  Madeleine. Il poeta rievoca i commilitoni caduti:

 

«Rieccovi accanto a me

Compagni miei morti in guerra

Oliva del tempo

Ricordi che ormai fate un ricordo solo

Come cento pelli fanno una sola pelliccia

Come queste migliaia di ferite fanno un solo articolo di giornale» (Ombra).

 

E così descrive una notte passata sotto il fuoco delle artiglierie:

«Notte violenta e violetta e buia e colma d’oro a tratti» (Desiderio).

Ma è lo stesso desiderio d’amore a confondersi con la guerra: nel suo «canto sinfonico dell’amore» si sommano «gli strilli d’amore delle mortali violate dagli déi / le virilità dei mitici eroi drizzate come pezzi antiaerei»

e «Il tuono delle artiglierie che attuano il terribile amore dei popoli» (Il canto d’amore).

Il titolo Calligrammes si riferisce a componimenti poetici caratterizzati dalla fantasiosa disposizione tipografica delle parole, in modo da formare non di rado disegni o figure. In essi Apollinaire cerca di risolvere sotto l’influenza del cubismo  «il problema della spazialità della scrittura» (Enrico Guaraldo).

Eccone un esempio tratto dalle Poesie a Lou:

 

«Riconosciti

Sei tu questa adorabile persona sotto il gran cappello di paglia

Ecco l’ovale del tuo viso Occhio Naso Bocca

Il tuo collo delizioso un po’ più in basso il tuo cuore che batte

Ecco infine l’imperfetta immagine del tuo busto adorato visto 

                                 [come attraverso una nuvola».

 

Il tema dominante della poesia di Apollinaire resta l’amore e la sua fugacità:

 

«L’amore va come questa corrente

L’amore se ne va

Come la vita è lenta

E come la Speranza è violenta»

(Il ponte Mirabeau).

 

Gli amori  che si perdono nel lento fluire dell’acqua sotto il ponte Mirabeau mutano in stelle tutte le parole che il poeta aveva da dire. E come le stelle restano splendenti e lontani.

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