Mia vita cara, cento poesie d’amore e silenzio di Antonia Pozzi, Internopoesia, 2019.
di Simone Principe
Desideroso di poesia, ho recuperato tra gli scaffali della mia libreria, un volumetto di cento poesie curato da Elisa Ruotolo ed edito nel 2019 da InternoPoesia. Iniziando a leggere, senza vedere chi fosse l’autore, ho subito compreso dalla prima poesia “Cencio” che la penna era quella di Antonia Pozzi.
“C’era uno straccetto celestino / sopra il muro / tutto sgualcito di ditate rosa / tenuto su da due borchie di stelle / ed io lì sotto / come un cencio cinerino / in cui la gente incespica / ma che non val la pena di raccogliere / – lo si stiracchia un po’ di qua e di là coi piedi / e poi / a calci / lo si butta via -“.
Versi che non necessitano di vocaboli ricercati, poiché è profonda e veemente la nudità del sentimento, che muta in semplicità attraverso un tessuto vecchio e logoro, similitudine d’una persona emarginata, inascoltata. Poesia che valica ogni tempo, che respira attraverso la pelle di chi vive l’emarginazione, per la sua “diversità” o per la troppa “vicinanza” a residui d’umanità.
Percepire come fa Antonia è una rarità, che la porta ad andare oltre il percepibile, come se ogni attimo vissuto, vivesse al contempo altri attimi di vita, che come un fiume in piena, straripano verso lontananze o prossimità, che solo lei sapeva cogliere.
Legare la natura al sentire umano è ciò che quasi ogni poeta compie nei propri versi, eppure Antonia andava ben oltre “l’armonizzare” poiché rendeva la natura umana e viceversa, seguendo l’etereo filamento della “convivenza” tra uomo e natura, su cui molti, particolarmente in quest’epoca, incespicano.
Nulla più della natura poteva rendere genuino il suo esprimersi, poiché in essa non vi sono finzioni di alcun genere, è pur sempre madre, alla nascita e alla morte di un fiore. E vi è dolcezza nel suo scorrere travolgente, come i giorni nella vita.
Un qualsiasi fiore potrebbe essere Antonia, come quelli nelle sue poesie. Una ninfea, che cela le sue radici nell’intimo dello specchio d’acqua, per mostrare in superficie i suoi colori più belli. Eppure la poetessa di quelle radici ne faceva ali, senza dimenticarne il peso, da rilegare a pagine che non riflettessero altro se non il proprio volo.
“Ninfee pallide lievi / coricate sul lago – / guanciale che una fata / risvegliata / lasciò / sull’acqua verdeazzurra – / ninfee – / con le radici lunghe / perdute / nella profondità che trascolora – / anch’io non ho radici / che leghino la mia / vita – alla terra – / anch’io cresco dal fondo / di un lago – colmo / di pianto”.
Questa sua sensibilità, rende la sua voce interiore un forte grido, non necessariamente di comprensione verso il suo vivere, ma anche il suo amare, come ogni donna vorrebbe, a volte scisso dall’esistere di tutti i giorni.
“(…) Sei ritornato in me / come un fedele / stormo di rondini / che riappendon nidi / al tetto oscuro del cuore. / Sei ritornato come uno sciame / d’api che cercano / i loro fiori – e indorano / l’orto nativo. (…)”
Quale tra tutte le mancanze, è quella più viva, più forte e più lancinante, se non quella dell’amore. Antonia non ci si abbandona, la vive a pieno, poiché sa che quando avrebbe fatto ritorno, tutto ciò che le era più mancato, sarebbe mutato in tutto ciò a cui non avrebbe più rinunciato.
Quanto sono carezzevoli i versi con cui abbraccia ciò che le rende un sorriso da mostrare, ma niente a che vedere con ciò che ha in serbo nel cuore. La poetessa ci mostra quanto sia lodevole essere fragili, sensibili e cortesi verso un sentimento e lo fa con la sua genuinità disarmante, mettendo dinanzi la realtà, la verità d’un mondo umano, coi suoi pregi e difetti, dove l’unica porzione di terra e cielo tersa, risiede negli occhi d’un animale. Antonia ne comprende la purezza e ne soffre, come solo chi ha potuto amare un cane, un gatto ecc…
“(…) Esitavi / sulla ghiaia timida: / sollevavi / una zampa – tremando. (…)”
Un’anima soave, frangibile, che si scompone in versi come questi, ricomponendosi nella sensibilità del lettore, che nella propria interpretazione, ha sicuramente da cogliere l’elevata moralità d’una giovane donna che non ha vissuto grazie alla poesia, ma di poesia, nella naturalezza dello scrivere, come si coglie un fiore o si dà un bacio all’amato.
Come una dama nella sua semplicità, velava una grazia regale. Antonia sentiva la vita più di quanto la vita stessa sapeva esprimersi.
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