A Berlino con Ingeborg Bachmann – Nella città divisa di Ilaria Gaspari, Giulio Perrone, 2022
di Anna Rita Merico
Tre personaggi tessono storia a Berlino. Storia puntuale. Storia vissuta in un angolo stretto e veloce di tempo inseguito, scovato nella città del Muro. Non sono rive quelle delimitate dal Muro, ma ferita della Storia in cui fermarsi ancora. Nelle strade, tra le frette si muove il fantasma, il passo, il pensiero di e per Ingeborg Bachmann (1926-1973). Poeta con l’Austria nelle tasche, una penna nel cuore, un desiderio di “trovar luogo” nella mente.
Ilaria Gaspari insegue Ingeborg accompagnata da un’amica di vecchia data: tre personaggi a dirci di una cartografia scovata dentro il cuore di un’esistenza in cui abitare il giorno è fatica lenta. Ilaria Gaspari interroga ogni parola dell’opera di Bachmann, ogni foto raggiungibile, ogni appunto. Ilaria s’inserisce nelle intermittenze del passo di Ingeborg e ci trascina in pagine avvincenti in cui il fantasma della scrittrice rapisce e tiene sovrapponendosi a timori superati. Quali timori? I timori di collocarsi nell’universo della creazione letteraria con la consapevolezza di star fondando un “nuovo”, un imprevisto tutto da attraversare con ferite ai piedi e sulle mani. Bachman con il suo amore per Celan in una Germania accecata. Bachman e la sua amicizia per Fleur Jaeggy, per Maria Teofili. Bachman e la sua finestra nell’appartamento di Roma. Ilaria Gaspari, con acuta delicatezza ci introduce in angoli che ci rendono vivo il passo pensato della poetessa: inavvicinabile, schiva, occhio di mosca nella realtà, sigarette impastate di dolore, Ingeborg albe acute.
Sotto un cielo straniero
ombre rose
ombre
su una terra straniera
tra rose e ombre
in un’acqua straniera
la mia ombra[1].
Ingeborg Bachmann come Clarice Lispector, menti belle che dicono dall’etere, che amano la radio. Bachman involtolata nella sua idea del primato dell’esperienza estetica: passo dopo passo il fantasma prende corpo, un tu per tu che si trasforma in un tra sé e sé di ragionamento, riflessioni, passi da compiere.
Anche Berlino viene inseguita. Tratteggiata nei suoi mutamenti, nei suoi riti odierni come quello della proposta ai turisti della vendita di “pezzi di muro” incellophanati. Nei precisi luoghi della Storia del Novecento, la città mostra i suoi precisi rigurgiti di morte, i ceckpoint intorno alle cui linee sono state giocate vite e morti di chi ha tentato lo “sconfinamento”, il passaggio da una zona all’altra della città.
L’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, il girovagare, l’odore “tostato” della metropolitana, Charlottenburg con la sua torre e i sentori dei passi degl’intellettuali ebrei fuggiti dalla Russia della Rivoluzione d’Ottobre, la distruzione operata dal Nazismo… È una Berlino nella nebbia in cui presente e passato, esistente e ricordo si tengono riscrivendo tutto tra architetture e pensiero.
A Berlino la ricerca si snoda nell’individuazione delle tracce di Villa Hecht in una zona di Berlino travolta dagli eventi degli Storia, una zona abitata da intellettuali di origine ebrea giunti lì da più dove. L’abitazione sembra svanire nel nulla e le fattezze del fantasma di Bachman s’impastano con il personaggio di Malina, romanzo dell’Autrice e ricerca divengono un’unica trasparenza. Ma, al termine del cercare, all’interno di una Berlino di mutati intenti, cosa cerca Ilaria Gaspari?
“Capisco che forse quel che sto cercando in quest’angolo lontano di Berlino è questa fiducia nella letteratura come mezzo di trasmissione di uno sguardo, di una comprensione reciproca che annulli i dolori dell’oggi…”[2].
Al termine della cartografia tracciata, compare Villa Hecht: tracce di vita, una moto all’esterno, qualcuno che coltiva orchidee. Villa Hecht, l’abitazione di Bachmann a Berlino, nascosta eppure parlante come l’io della Poeta. Un bellissimo viaggio quello che Gaspari ci offre, un viaggio tra pieghe d’anima e farsi della scrittura. Scrittura frustata dal tempo tragico della Storia del Novecento eppure scrittura colma di visione per una parola che possa dirsi speranza di incontro e di futuro.
Questa la Bachmann che Ilaria Gaspari ci consegna, una Bachmann in cui il filo tra esistenza e scrittura non s’interrompe mai, una Bachmann di grande e forte fragilità, quella particolare fragilità di cui solo la scrittura sa essere Maestra e di cui Ilaria Gaspari, in questo bellissimo volume, rende presenza e traccia d’anima.
[1] Ingeborg Bachmann, Ombre rose ombre in Invocazione all’Orsa Maggiore, trad. L. Reitani, Mondadori, 1999
[2] Ilaria Gaspari, A Berlino, Giulio Perrone ed., 2022, p. 169
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