Riprese sportive in Goal di Umberto Saba

di Italo Spada

 

Tra le molte emozioni che un incontro di calcio procura agli spettatori, quella più forte è senz’altro la realizzazione del goal, in funzione del quale si regge l’intero spettacolo, dal fischio d’inizio alla conclusione dell’incontro.

Al gioco del calcio Umberto Saba dedica 5 poesie[1], nelle quali analizza vari stati d’animo degli spettatori e dei calciatori. In “Goal”, la più nota tra le cinque, la ripresa

filmica inizia un attimo dopo la realizzazione della rete, come se il titolo costituisse l’improvviso inserimento di un cronista in trasmissioni televisive, o radiofoniche: “Qui Torino: la Juventus è passata in vantaggio!”, “Goal! Ha segnato il Milan!”, “Scusate l’interruzione, ma la Roma ha segnato!”…

Si entra, in tal modo, nel vivo della competizione sportiva “ex abrupto”, attirati da un titolo che è anche un grido. Non sappiamo come è stato realizzato il goal, ma viviamo, grazie al poeta, altre cose ugualmente affascinanti: le immagini di disperazione e di gioia che seguono e che fanno parte integrante dello spettacolo.

Il modo di festeggiare in campo la realizzazione di un goal è talmente vario e pittoresco da costituire un’appendice a volte più divertente dell’intera azione di gioco[2]. Analogamente, i gesti di disperazione degli sconfitti risultano, a volte, più tristi e malinconici della sconfitta stessa.

Ed è proprio dallo sconfitto numero uno – il portiere battuto – che parte la prima inquadratura della poesia di Saba. La legge del calcio è impietosa per i portieri, perché i loro errori, a differenza di quelli degli altri compagni, sono determinanti per il risultato finale. Il portiere è l’unico giocatore che non può permettersi di sbagliare, giacché la sua è l’ultima difesa.  Di questo portiere battuto, Saba coglie la reazione di vergogna e di disperazione: in ginocchio, con la faccia che vorrebbe sotterrare, egli non ha il coraggio di alzarsi e di guardare il cielo. Un suo compagno di squadra accorre a consolarlo, ricordandogli che la colpa non è tutta e solo sua, ma anche dei difensori e dell’intera squadra, perché “si vince e si perde in undici”.

Il primissimo piano del volto del portiere rigato di lacrime ci dice, tuttavia, che a poco servono le parole di conforto. La realtà è che quella dannata palla si è insaccata alle sue spalle e che dagli spalti gli sta impietosamente piovendo addosso l’urlo dei tifosi avversari ubriachi di gioia.

Qualcosa di diametralmente opposto si svolge, invece, a qualche metro di distanza da lui, dove Saba “carrella”: il giocatore che ha realizzato la rete è letteralmente sommerso dall’abbraccio dei suoi compagni.

Per un attimo – lo spazio di tre versi – la voce fuori campo del cronista commenta la scena. Non è un commento sportivo, ma la riflessione di un poeta che vede “altro” e “oltre”. Dolore e gioia provocati da uno stesso evento, eccessiva allegria ed eccessiva  tristezza espressi da gesti plateali ed esagerati, ma comprensibili. Così come, probabilmente, è esagerato anche il suo considerare questi momenti di gioia e di dolore, belli come pochi altri.

Dalla gioia collettiva, con uno stacco-attacco di richiamo, a quella individuale.  Nelle due strofe conclusive, Saba sposta l’obiettivo verso una parte del campo lontana dalla precedente azione di gioco; esattamente dove si trova il portiere della squadra vincente. La distanza gli impedisce di unirsi ai suoi compagni e di saltare al collo del marcatore, ma ciò che il suo corpo non può fare lo fa il suo spirito. Segue in soggettiva la scena ed esulta anche lui come può: facendo capriole, mandando baci, alzando le braccia al cielo.

Che s’era detto? Nel calcio, si perde e si vince in undici.

 

Goal

Il portiere caduto alla difesa

ultima vana, contro terra cela

la faccia, a non vedere l’azzurra luce.

 

Il compagno in ginocchio che l’induce,

con parole e con mano, a sollevarsi,

scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

 

La folla – unita ebrezza[3] – par trabocchi 

nel campo. Intorno al vincitore stanno,

al suo collo si gettano i fratelli.

 

Pochi momenti come quello belli,

a quanti l’odio consuma e l’amore,

è dato, sotto il cielo, di vedere.

 

Presso la rete inviolata il portiere,

– l’altro – è rimasto; ma non la sua anima,

con la persona vi è rimasto sola.

 

La sua gioia si fa una capriola,

si fa baci che manda di lontano.

Della festa – egli dice – anch’io son parte.
 

Campo Lungo

 

Primo Piano

 

 

 

Particolare

 

Campo Lunghissimo

Campo Lungo

 

 

Voce Fuori Campo

 

 

 

Campo Lungo

 

 

 

Soggettiva

 

 

 
 

 

[1] Le “Cinque poesie per il gioco del calcio” sono contenute nella raccolta “Parole” del 1933-34

[2] Tento – in nota, per non disorientare il lettore, e a  mo’ d’esempio per quanti non seguono il calcio – di citarne qualcuno: la danza intorno alla bandierina del calcio d’angolo, la maglietta sfilata e lanciata in aria, la maglietta sollevata a coprire il volto, l’aeroplanino, il salto mortale, il tuffo a terra, la pulizia della scarpa da parte di un compagno, il trenino a quattro zampe, l’accenno al passo di samba, il bacio lanciato al cielo, gli inchini, il gesto della sventagliata di mitra, le mani alle orecchie quasi a voler sentire meglio l’urlo dei tifosi…

[3]“ebrezza” con una b in originale

Lascia un commento