Un vuoto nella pancia di Francesca Sivo, Progedit
di Gianni Antonio Palumbo
È un lavoro delicato e intenso quest’albo illustrato edito da Progedit nel 2018, Un vuoto nella pancia. Lettera a una maestra, scritto da Francesca Sivo, con le illustrazioni di Aurelia Leone. Un agile volume a raccontare “la poesia dell’adozione”, con un linguaggio e una grafica tali da catturare l’attenzione dei giovanissimi lettori (a partire dai sette anni) e non solo.
L’albo si presenta nella forma di lettera poetica a una maestra; l’occasione che dà avvio al fluire della narrazione di sé da parte della giovanissima protagonista è il ritrovamento di due gattini nel cortile della scuola. Un miagolio attira l’attenzione dei bambini: “All’improvviso, due testoline bianche e nere / sono spuntate dal bordo del vaso. / Miao, miao, miao. / Erano due i gattini. Piccolissimi. / Dovevano essere nati da pochi giorni. / Ed erano soli.” I gattini vengono accolti e vezzeggiati dai piccoli alunni dell’istituto, ma l’immagine della loro solitudine induce la protagonista a riflettere sul vuoto che percepisce nel proprio stomaco. “Maestra, devi sapere che io non sono come i miei amici. / No, non sono come loro. / La mia vita non è come la loro. / Io di vite credo di averne già vissute almeno tre.”
Comincia l’accorata confessione della bambina, che rievoca istantanee di un’infanzia trascorsa peregrinando d’istituto in istituto, sino all’incontro con la madre adottiva e alla nascita di quella famiglia di cui annualmente il nuovo nucleo festeggerà la nascita. Molti sono gli spunti di riflessione; tra questi la rammemorazione della condizione di incuria e trasandatezza esperita nel contesto degli istituti, che la bambina rievoca attraverso sensazioni visive, tattili e olfattive (“Case diverse, ma sempre vecchie e malandate”; “Pezzi di vetro sparsi sul pavimento, / davanti alla porta d’ingresso, / nell’atrio. / Dappertutto. / Materassi senza lenzuola, maleodoranti, impregnati di pipì”). Per la protagonista, un vero e proprio vulnus è costituito dal fatto che nessuno possa rammentarle i suoi primi istanti di vita, parlarle magari del suo primo giocattolo e di tante altre piccole grandi cose, che permangono per lei avvolte nella nebbia.
Emerge così l’importanza della famiglia anche quale custode delle memorie dell’individuo; ne consegue un senso di sradicamento che si esprime nitidamente nell’icona dell’albero. Presente nel testo, esso diviene il vero e proprio Leitmotiv delle raffinate illustrazioni di Leone. I personaggi – giocando abilmente sul motivo dei “i capelli lunghi delle bambine” (e delle donne) – hanno chiome che ammiccano a quelle arboree, come del resto emerge chiaramente da una delle figurazioni più belle, quella di p. 40. La percezione di uno sradicamento, accentuata anche dal fattore linguistico e climatico (la storia narrata è riferita a un’adozione internazionale, come appare evidente da alcuni dettagli), conduce la protagonista a una maturazione precoce. “Sono piccola, lo so. / Eppure mi sento grande. / E diversa.” Questo aspetto è ancora una volta ben sottolineato dalle illustrazioni. Se tutti i personaggi, a cominciare dal delizioso micio di p. 4, hanno dimensioni in proporzione superiori al reale, la protagonista sembra aver la medesima statura della madre e altezza leggermente inferiore alla maestra nelle immagini di p. 49; nella loro costruzione, tra l’altro, le figure sembrano scaturire dalla terra quasi fossero alberi. Non è da escludere che tale scelta alluda alla particolare maniera dei bambini di percepire oggetti e forme, operando per visione e non per mero riconoscimento con conseguente incasellamento in categorie. Ecco, dunque, che tutto si staglia con una sua maestosa importanza; si pensi, per esempio, alla torta gigantesca di p. 46.
Un vuoto nella pancia è un inno alla cura e all’accoglienza dell’altro, a muovere dalla morsa raggelante del dolore al fremito salvifico della speranza (“La mamma mi dice sempre che dalle nostre cicatrici / possono nascere ricami, se solo lo vogliamo”). Un’esortazione a manifestare, attraverso il linguaggio dell’affettività, il disagio ma anche l’emozione gioiosa. Sivo è attenta nell’innestare continui rimandi da una sezione all’altra del testo; l’immagine del gatto in apertura, per esempio, è ripresa in Smarrimento nel gioco della protagonista, indicativo del suo timore dell’abbandono ma anche del desiderio di essere cercata e abbracciata. Ricorrenti, quasi ossessive, le domande dell’io lirico, così come la percezione di una diversità, che però deve tradursi in consapevolezza della propria ricchezza e non in segno di deprivazione.
Un libro che piacerà ai lettori, piccoli e adulti, per l’equilibrio e la sensibilità con cui l’autrice aiuta a cogliere la forza di un atto d’amore quale l’adozione. Un’opera che ha il pregio di una scrittura curata, quasi un ricamo, e che, senza cadere in facili sentimentalismi, schiude con garbo al lettore una finestrella sui tesori di un’anima.
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