Uru di Fabio Carbone, Fernandel editore, 2023

di Cosimo Rodia

 

Uru è un romanzo tragico, surreale, un crossover che intreccia antico, moderno, libro memoriale, in cui le parole, le situazioni, le scene del passato tornano come fantasmi che si affacciano occasionalmente a visitare il protagonista.

Un romanzo ibrido, allora, che mostra un mondo alla deriva, pur col suo apparente efficientismo e con una civiltà contadina che sopravvive a scampoli, appannaggio di qualche vecchio, come nella fattispecie, Pompilio le cui “mani rugose e sapienti[…] accarezzavano dolcemente la chioma della vite, andando a staccare i germogli e le foglie in eccesso[…] come un maestro d’arpa che sa quali corde toccare”.

Uru inoltre contiene venature di genere giallo per la morte del protagonista e della dirigente del call center, su cui indaga il Commissario, che nella ricerca scoperchia un vaso di Pandora, ovvero una serie di fatti e situazioni, metafore delle tante maschere indossate dall’uomo moderno.

Un romanzo che si apre e si chiude col vecchio Pompilio, in modo surreale (nel capitolo iniziale sembra che muoia in un vigneto a primavera, in realtà lo ritroviamo in coda al romanzo, risvegliato al tempo della vendemmia); una figura non funzionale alla fabula se non fosse un gancio tra antico e moderno, tra una civiltà passata e quella presente.

Poi abbiamo Paolo, il protagonista, un giovane problematico, impiegato in un call center, depresso non già per un lavoro alienante ma per traumi insoluti, che vengono a galla nel corso della narrazione. Inoltre, abbiamo un epilogo tragico, un Uru (folletto salentino) sanguinario, ambienti foschi, personaggi perdenti e rinunciatari; quando il Commissario indaga sulla prima morte sospetta, tocca realtà laide e promiscue e ne rimane pure coinvolto; alla fine, la bestia vince, col buon gioco dell’ignoto sul razionale.

La scrittura, con preziosismi lessicali (forse anche leziosi, com’è nel primo capitolo), non nasconde l’affiorare di un senso di angoscia; il richiamo ad una realtà mitica prende tragicamente il sopravvento sul quotidiano veloce e tecnologico; quasi come se il sovrastante sia un indistinto magmatico che sfugge al razionale e condiziona la vita degli uomini, interferendo concretamente nei progetti di vita (com’è con Paolo e con la direttrice).

Anzi a conclusione della lettura di questo romanzo intrigante, si codifica la soccombenza della volontà individuale nel movimento fatale della Storia, nell’ambito del quale le soggettività non sono che tante forme eteronome.

I vari personaggi sono dei lavoratori rassegnati alla precarietà e allo sfruttamento, maciullati da un sistema che li frantuma senza orpelli morali, secondo l’adagio del “così è se vi pare”, con l’evidente consapevolezza che a nessuno è dato evadere o emanciparsi.

Una delle reazioni possibili a questa deriva socio-antropologica è la totale apatia di Paolo; anche se il personaggio è chiaramente fragile con un complesso, intricato groviglio di istinti, ricordi e desideri, confusi nelle regioni oscure della sua coscienza. Paolo è un soggetto problematico con irrisolti sensi di colpa per la malattia e la morte della madre, con un rapporto disamorato col padre, col timore dell’acqua, della folla…; così su un soggetto apertamente vulnerabile, si affaccia l’Uru, la cui natura è chiarita dalla ‘masciara’, signora Teresa, con la quale parla Paolo: “È l’incarnazione delle nostre ansie, timori, paure, e dei sensi di colpa. A volte queste angosce assumono la forma di un animale”.

Insomma, esiste una parte irrazionale dentro di noi generalmente rimossa, che a volte riemerge, e se si scava sino in fondo, si può non reggere di fronte al profondo. Ecco, quel senso di mistero che sembrava essere stato bandito nella società tecnologica, è invece presente in modo serpeggiante.

Caratteristica del romanzo, infine, è il plurilinguismo che si snoda con un registro ora colto, ora medio, ora colloquiale e con toni espressivi ora drammatici, ora oggettivi; è accattivante lo spazio, il luogo della vicenda, ovvero, il Salento, che si deduce dai lemmi utilizzati (pignata, masciara, cupeta, scapece, mustazzoli…), dalle feste patronali richiamate, dalla statua dei santi, dalle spiagge assolate…; questo aggancio al territorio che è una dimensione reale ma anche dello spirito, mostra quanto l’appartenenza stia nella carne viva dell’Autore.

Con uno stile unico ed evocativo, Fabio Carbone è capace di trasportare il lettore nel cuore di una terra che conserva ancora echi di antiche tradizioni.

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