Itinerario della mente verso Thomas Bernhard di Martino Ciano, A&B editrice, 2022

di Anna Rita Merico

 

È itinerario lento, ricco di affondi e di emersioni. Movimento carsico di un andare del pensiero che registra, puntuale, ogni respiro, ogni caduta, ogni respiro del pensiero. In “Avvertire per sovvertire”[1] è delineato il metodo di indagine che lega a filo stretto lettore ed Autore mostrando immediatamente il piano di scavo: un dentro rimestato dal pensiero di una mente per la quale il dentro e il fuori ha a che fare con un affondo che gioca ai fianchi del limite e travasa ogni fuori nel dentro e ogni dentro nel fuori.

L’apertura: un setting teatrale. Del setting, la confessione, il rimestìo. Del teatrale la scena visionaria e ondivaga, tutta sospesa tra memoria e presente, una sospensione potente che sottrae tempo reale ed immerge, immerge, immerge calamitando nella profondità me che leggo. Sto al gioco dell’Autore, faccio mio il Suo metodo, complice un amore condiviso per Bernhard e la Sua scrittura intramata di viscere di vita, il gioco è di specchi che rimandano. Il minotauro è nel caleidoscopio, le immagini si rifrangono e si ricompongono, i nomi si dileguano, la realtà si striminzisce, le pagine portano nel gonfio del loro ventre fatto di dolore, distorsioni, desiderio di venire a capo dell’ultima goccia di Vita.

La casa è buia, umbratile, poco attraversata, per sua storia, all’aria, alla luce. L’io narrante si mostra, immediatamente. È stanza in cui la morte è sfilata. Stanza divenuta per tre volte camera ardente. Il rosso ferrigno è scenario completo per una poltrona che accoglieva bestemmie, sonni, sogni del padre. Nulla se non la maledizione di legami potenti perché tossici con una madre, una sorella. Un io oscillante tra un femminile ripudiato perché muto o fuori misura ed un maschile schiacciante, di virilità malata per un asfissiante senso del possesso che non ammette l’alterità.

La morte stesa a terra come tappeto sfilacciato, tra camino e poltrona, ritma il tamburo del pensiero che analizza i movimenti e le fenomenologie dell’autodistruzione. Nel vortice frullante di vite mancanti di senso, l’autodistruzione diviene termometro di un sapore che bagna ogni attimo dell’esistenza. Nei ricordi affettati da un coltello con un manico rosso si snoda la vicenda, la messa a fuoco di una famiglia in cui ruoli e volti sono assorbiti dalla fretta schiacciante della ripetizione assurda. È fretta dietro cui i personaggi giocano a dadi con la vita relegandola alla imprecazione, al disgusto, alla rivincita cieca, alla sottrazione, al mefitico delle emozioni guidate dall’odio verso sé, verso il mondo di riferimento. Le tre personalità si rivelano grazie alle loro azioni: azioni che parlano di aborti dell’azione libera. L’azione libera si presenta come una confessione a cui viene richiesta la capacità di purificare grazie alla distanza dagli eventi ed alle morti avvenute.

“Ed è proprio grazie  a questa confessione che, adesso, io posso bere, in cucina e non nella stanza con il camino, il miglior bicchiere d’acqua che l’umanità abbia mai bevuto.”[2]

Pensieri frutto di dramma, dolori, insonnie… tra essi fa la sua comparsa un doppio, voce e intento traghettante verso il mondo esterno, quello della comunicazione, della scrittura. La lotta tra il tener dentro e il doppio che vuole far uscire fuori testimonia il lungo gioco dell’invasione: nulla è più invadente, distruggente, allarmante di una realtà dura che – malgrado la nostra volontà – siamo costretti a subire. È l’attacco al nostro progetto e al nostro sentire. Un libro che contiene i miei pensieri, questi, dice l’Io narrante ponendosi nello spazio di una frattura del Sé che crea crepaccio scindendo pensieri e corpo. Si muove, nello spazio della scena, il furto originario da cui l’Io narrante ha preso forma archetipa. A Lui è stato sottratto progetto di Vita e il Suo convivere con la dimensione del furto lo colloca in posizione di difesa: ogni pensiero che prende forma e materia vitale che si dissipa e verso la quale non c’è contenimento possibile. Fantasmatiche le figure femminili, brandelli d’essere ridotte al nulla di se stesse, quadri di evanescenza del proprio corpo. Il rimando continuo alla menzogna, allo smascheramento sono le uniche tonalità possibili della narrazione. È narrazione che chiama in causa la figura dello scrittore e del gioco lettore-scrittore, l’uno consustanziale all’altro nell’alveo di una complicità che vuol far dissolvere la colpa e la responsabilità dell’esser-ci.

Potente il lavoro delle proiezioni che Martino maneggia con maestrìa mostrando le pieghe del farsi di un pensiero che prende vita tra odi e rancori non elaborati. Di densità estrema i passaggi all’interno dei quali l’Io narrante sente i Veleni esistenziali come elementi-motore di esistenze che anelano solo alla soppressione della vita dell’altro come se la sparizione dell’altro contenesse l’intera possibile liberazione di sé. E Thomas Bernhard compare quasi a redimere la possibilità di mettere ordine nell’incavo di un tempo intessuto di follia nella quale avviene la trasmutazione: quello che sembrava essere un furto di pensieri diviene un affidamento di pensieri a Thomas Bernhard a cui viene riconosciuta l’alta arte di dialogare con l’anima e di riscattare le parti più oscure dei nostri pensieri reconditi. Man mano che avviene il processo di affidamento-ascesi è possibile vedere i persecutori, gli inquisitori, gli ingombranti simbolici della distruzione. E, man mano che affidarsi diviene possibile e prende forma, diviene possibile –anche- uscire dalla stanza, allontanarsi dal camino, alzarsi dalla poltrona, andare.

Il cuore dell’itinerario diviene il camminare e il pensare. È nascita di sé a sé. E bruciare indica il far largo ad una dimensione nuova, dimensione intima che è punto di non-ritorno, punto di inizio della rammemorazione di sé. È rammemorazione che catarticamente trascende secoli di conoscenza e congiunge al punto zero abbeverandosi alle illogicità che legano esistenza individuale e storia dell’umanità.

“Te ne sei stato chiuso in una stanza con la speranza che la vita cambiasse e invece lei ti ha cambiato, ti ha corroso. Io non so se tu hai ucciso davvero, ma riconosco che sei un assassino nell’anima perché nessuno riuscirebbe a giustificarsi come te… non della Terra abbiamo bisogno ma di un’isola dalla quale governare i nostri pensieri malvagi, e da cui possiamo ammirare le opere della nostra follia.”[3]

La chiusa dell’Opera di Martino muove impietosa e lucidamente veritiera nella realtà del nostro Sud lì dove quiete, distruzione, abbandono fanno da padroni di tanto DNA rendendo apparentemente illeggibili le ragioni d’ogni pensiero. L’itinerario chiude nell’immersione in un sonno d’intenti capace di trasportare da una dimensione all’altra. È Atena che accompagna Odisseo da Scheria ad Itaca su una nave carica di tesori che vola sulle onde proprio mentre odisseo è posto tra le pieghe di un sonno fondo che trasporta da dimensione iniziatica all’altra. È itinerario di nascita. È itinerario di scelta di Vita.

“…vedo Thomas Bernhard che applaude e mi dice Complimenti, finalmente hai deciso. Hai deciso di essere un Santo. E si allontana con il suo passo lento…io sono altrove. Qui, tra gli uomini non esisto. Io vivo nella follia di Dio.”[4]

L’ultima pagina dell’0pera di Ciano obbliga, automaticamente alla rilettura dell’intero volume. Dopo che la narrazione ha elegantemente dipanato i piani di realtà e riportato su di un filo di riparazione l’interno e l’esterno, ci giungono le parole di questo Io narrante che nella redenzione di sé mostra vita scaturita dall’uccisione della morte. La sfida ad una nuova soggettività che l’Itinerario indica è lo schiudersi di aperture possibili dopo che le morti di dentro sono state debellate. L’Itinerario che Ciano ci indica è un’ascesi compiuta nella gratitudine esistenziale.

Riconoscenza Martino per questo Itinerario, è itinerario che gronda contemporaneità e flusso di pensiero forte. È risalita dal fondo di una realtà banale trascesa con dovizia e impeccabile costruzione narrativa. È filosofia pratica abbordata alla vita di ognuno, ad una riflessione che rosica il nuovo di un mutamento antropologico in cui tutti siamo immersi. È riconoscimento forte e sentito ad un Maestro della letteratura del ‘900: Thomas Bernhard.

 

 

[1] Martino Ciano, Itinerario della mente verso Thomas Bernhard, A&B. 2022, p. 5.

[2] Ivi, p. 21.

[3] Ivi, pp. 59-60

[4] Ivi, pp. 66-67

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