La fontana della vergine –  Da un anonimo del XIV°secolo[1]  a Ingmar Bergman[2]

di Italo Spada

 

Trama

Uno tra i più antichi testi della letteratura norvegese (composto fra i secoli XI e XII) è la Ballata di Olaf e Karin, un canto popolare pieno di fascino, anch’esso di autore anonimo e di ambientazione religiosa. Narra la storia di un classico dramma di corte: la regina madre accusa falsamente di adulterio la nuora Karin, e il re Olaf, credendo a quella calunnia, condanna alla morte la moglie Karin. Karin, giunta in paradiso alla presenza di Maria, intercede con commovente umiltà per il marito e la suocera. Karin arriva alle porte del Cielo.  La Vergine Maria la fa entrare e porgendole un sedile le dice:

«Siediti, piccola Karin, fa’ riposare i tuoi piedi».

«Non c’è bisogno di collocare questo sedile per me davanti a voi,

io non sono così grande da non poter rimanere in piedi.

Non sono stanca e posso bene rimanere in piedi.

Ma fa’ che Olaf possa entrare in Cielo»

«Siediti, piccola Karin, fa’ riposare i tuoi piedi.  Olaf verrà in Cielo».

«Stanca non sono, posso ben restare in piedi.

Ma fa’ che la madre di Olaf possa andare in cielo!».

Allora la Vergine Maria le risponde così:

«Non mi fare pressione così fortemente: la madre di Olaf non può essere accolta in cielo».

 

Rileggendo la trama della ballata de La figlia di Tore a Vange (Karin, una ragazza ancora vergine, è violentata e uccisa da tre pastori mentre si reca in chiesa a sciogliere un voto; i suoi uccisori, per fatalità, capitano nella stessa casa del padre – Tore – e, ignari, tentano di rivendersi le vesti di Karin;  Tore vendica la morte della figlia uccidendo i tre pastori, poi, per espiare il suo peccato, edifica una chiesa a Dio), non si può fare a meno di notare, sotto l’aspetto contenutistico, analogo intreccio di tradimento e di morte e, sotto l’aspetto formale, oltre alla sorprendente ripetizione del nome dell’innocente vittima sacrificata (Karin), la predilezione per il discorso diretto e il ricorso al dialogo tra i personaggi.

 

Due testi a confronto

 

La figlia di Tore a Vange La fontana della vergine
la ballata il film
  Inger invoca Odino

Mareta e Tore pregano Dio

Parallelo tra

Inger:- che lavora

– è brutta

– è impura

– è cattiva

– è disprezzata
La figlia di Tore di Vange

nel letto s’indugia a dormire;

mattutino è già suonato

ma Dio non la vuole punire.

 
e Karin: – che riposa

– è bella

– è vergine

– è buona

– è vezzeggiata

La madre sale a destarla

– fresca è ancora la foresta –

Figlia mia, alzati, è l’ora

 in chiesa di andare“.

 

 
Bisogna andare in chiesa a sciogliere un voto.

Solo una vergine può portare le candele alla Madon­na.

 
Fiera, Karin nel letto seduta

intreccia i suoi lunghi capelli dorati

e mette la veste di seta

che quindici vergini hanno tessuto.

Fiera Karin indossa la cotta

di fili d’oro fiammeggiante,

e sopra l’azzurro mantello.

Così per la chiesa è abbigliata.
La preparazione:

in positivo: – la veste

– il pane

– le raccomandazioni

– i baci

 

 

 
  in negativo:

– il rospo
  Altri personaggi e loro commenti:

la credente

lo scettico
  Il viaggio di Karin e Inger:

1° incontro:

– l’uomo del ballo (che aveva sedotta e abbandonata Inger) tenta Karin inutilmente.

 
  2° incontro: prima di inoltrarsi nella foresta e prima di guadare il fiume, incontro con lo stregone (è l’incarnazione di Odino?)

Karin procede; Inger ha paura.
Nel cuore della profonda foresta

tre pastori vede venire

Diventerai la nostra donna:

 la tua giovane vita ne risponde!”

Non sarò la vostra donna

 e lo dirò a mio padre.”

La sua collera non ci fa paura:

 tu sarai la nostra donna!”
3° incontro: i pastori

la falsa apparenza

la seduzione con inganno

 

 
Essi violentano Karin, la fiera

e la uccidono.

Per i capelli d’oro la trascinano

in un cespuglio di bianca betulla

tenendola per le trecce, le sbattono

la testa su un grosso ramo.

Dal corpo il capo separano:

dal suolo zampilla un limpido ruscello.
La violenza su Karin.

Il delitto.

 

Ne afferrano le vesti d’oro

riempiendo le sacche di pelle.

Il corpo nel fango interrato

il bottino portano al villaggio.
Il furto della veste.

La fuga del pastorello.
Accade che avendo scelto

lo stesso sentiero di passaggio

dopo un lunghissimo errare

giungono infine a Vange.
Il viaggio (fuga) dei pastori.

Il loro incontro con Tore, a Vange:

 
Alla sua fattoria, scorto

mastro Tore davanti la porta:

Mastro Tore, vestito di pelli

 dateci sale e pane!”
I tre pastori ingannano Tore.

 
Appena entrati portano loro

idromele e buon vino.
Tore invita i pastori a cena.

 
  Il malessere del pastorello.
  Gli avvenimenti della notte:

– lo scettico e il pastorello (“Vedi il fumo? Rimane acquattato, serpeggia, striscia e potrebbe invece slanciarsi nell’alto, nell’azzurro del cielo: ma non lo sa, non osa… Così l’uomo“.)

– l’urlo del pastorello

 
Mastro Tore comincia a lamentarsi:

Come tarda mia figlia a rientrare!”
             – la paura di Mareta
Sua moglie lo porta a dormire

poi i pastori la raggiungono.

Comprateci questa camicia di seta

 lavoro di nove pulzelle“.

Quando Mareta vede la camicia

gran pena le serra il cuore.
 

 

– i pastori tentano di vendere la veste di Karin

– Mareta scopre la verità
Ella sale nella camera alta

dove il marito ancora veglia.

Svegliati, caro marito

 vostra figlia è morta, senza dubbio,

 i pastori hanno la camicia tra le mani:

Il mio cuore è annien­tato!”
           – Mareta informa Tore

 
             – Inger racconta la verità a Tore
Brandisce la spada nuda in mano

 

 

uccide un pastore, un secondo,

poi uccide il terzo.

Getta allora la sua spada a terra:
la vendetta di Tore:

– preparazione rituale pagana

– l’attesa del risveglio dei pastori

– la vendetta: spietata per i fratelli maggiori; accidentale per il piccolo.

 
  Tore cerca il corpo di Karin.

Tore trova il cadavere di Karin:
Dio mi perdoni la vendetta!”

 

 

 

 

 

Che cosa dobbiamo fare per peni­tenza?

Erigere una chiesa in pietra?

La farò con le mie stesse mani, subito.

Fresca è ancora la foresta.

La chiameremo “Castelletto”.
– il suo dolore

– la sua protesta per il “silenzio di Dio” (“Tu vedi? Dio! Tu vedi? Vedi la morte di un’innocente, la mia vendetta? E non l’hai impedito. Io non ti capisco. Eppure adesso chiedo il tuo perdono. Non conosco altro mezzo per conciliarmi con queste mie mani… Ti faccio voto in penitenza del mio pecca­to di edificare una chiesa. Qui… di calce e di pietra e con queste mie mani“)

La riparazione e il voto di Tore.
Sugli alberi si schiudono le foglie. Il miracolo: Inger si lava.

Mareta lava la testa della figlia.

Lo scettico guarda in alto.
 

Riflessioni

Non è frequente, nella storia del cinema, la trasposizione di un testo poetico in film. Bergman ci ha dato, ne La fontana della vergine, un ulteriore saggio della sua maestria. Egli non ha soltanto dato immagine al verso, ma è entrato all’interno del testo poetico, lo ha fatto suo e ne ha tirato fuori una seconda poesia.

Perché lo ha fatto è un altro discorso che non può prescindere dalla sua personale ricerca sull’esistenza di Dio e sul suo silenzio.

Tentiamo una lettura più approfondita di questo film e, di conseguenza, della ballata.

Che cosa ha voluto dire Bergman?”. Per rispondere a questa domanda, come si sa, non si può prescindere dall’individuazione del protagonista, ossia di colui che “è sempre pre­sente, direttamente o indirettamente, nella storia”. E’ come se ci chiedessimo: a chi appartiene questa storia? è la sto­ria di chi?

Lasciando da parte i personaggi secondari che si escludono da soli, indirizziamoci su quattro ipotesi:

1) è la storia di Karin, violentata e uccisa da tre pastori, vendicata dal padre e beatificata da Dio;

2) è la storia di alcuni pastori che violentano e uccidono una ragazza, ma incappano nella vendetta del padre della loro vittima;

3) è la storia di un padre che, venuto a conoscenza della terribile morte della propria figlia, imbestialisce, si vendica uccidendo gli assassini, sente rimorso;

4) è la storia di un luogo dove sorge una fontana chiamata “della vergine” e, per diletto e conoscenza dei visitatori, se ne ricostruiscono gli eventi (= calembour).

 

Si capisce che, a seconda della scelta che si opera, cambiano sia lo scioglimento che il significato del film. Infatti:

– nell’ipotesi 1: siamo di fronte a un film catechistico – moraleggiante – favolistico (Karin = una specie di Cappuccetto Rosso). Morale: “Fatevi violentare e uccidere, ma non cedete!” Oppure: “Attenzione, ragazze, a non entrare da sole nei boschi!”

– nell’ipotesi 2: siamo di fronte a un film etico – didattico. Morale: “Guai a voi, ladroni e violenti, perché i vostri delitti non resteranno impuniti!”

– nell’ipotesi 3: siamo di fronte a un film di giustizia sociale; o, se si vuole, di fronte ad una parabola sulla giusti­zia di Dio.  Morale: “In certi casi la pena di morte è giusta” “Guai a voi, operatori di iniquità! Andate al fuoco eterno!”

– nell’ipotesi 4: siamo di fronte a un film di ricerca storica. Morale: Anche i posti più remoti hanno una loro storia e i nomi delle località non sono stati messi a caso.

Qual è l’interpretazione giusta?

Se fosse la prima, la seconda parte del film (l’arrivo dei pastori a Vange e la vendetta di Tore) sarebbe troppo lunga e dovremmo dedurne che Bergman si è dilungato in inutili descrizioni, lasciandosi prendere la mano dalla cinepresa.

Se fosse la seconda, la prima parte (la preparazione e il viaggio di Karin) sarebbe troppo lunga e non funzionale al ritmo dell’intero film.

Lo stesso si dovrebbe dire se l’interpretazione giusta fosse la terza.

Se fosse la quarta, invece, tutto sarebbe spiegato e comprensibile, ma bisognerebbe dedurne, logicamente, che Bergman, in questo caso, si è trasformato in ricercatore e ha preso la vicenda della ballata solo come un pretesto per la sua ricerca.

Ma “ricerca” di che genere? Non certamente ricerca storica. In assoluto, niente ci impedisce di pensarlo; ma, siccome un film va visto anche alla luce della filmologia del suo autore, è certo che per Bergman sarebbe un’ec­cezione. Più convincente l’ipotesi della ricerca religiosa, confermata dal confronto con le sue opere precedenti e con quelle seguenti.

Alla luce di questa intuizione, chiediamoci ancora: “ricerca religiosa” di che tipo?

Rileggiamo il film e scopriamo, allora, non solo dove il regista si è allontanato dal testo, ma anche perché lo ha fatto.

Il Male (Inger) e il Bene (Karin) abitano sotto lo stesso tetto: tutti e due pregano le loro divinità, agiscono di conseguenza, hanno alleati e nemici, agiscono secondo un loro stile. Il Male e il Bene viaggiano insieme. Lungo il cammino, un primo scontro, alla fine del quale vince il Male.

Il Male compie il viaggio inverso. Il Male e il Bene si ritrovano ancora una volta sotto lo stesso tetto e compiono differenti azioni (inganno/verità; cattiveria/bontà), hanno alleati e nemici, vivono con diversi stati d’animo (paura/fiducia).

C’è un secondo scontro – fatto di vendetta e di pentimento – alla fine del quale vince il Bene. A Vange come in qualsiasi altra parte della terra.

Insomma: La fontana della vergine è la storia del Bene e del Male che si danno lotta nel mondo. La vittoria del secondo è solo provvisoria. Alla fine trionferà il Bene. Tuttavia, nell’uomo resta il desiderio di conoscere la volontà di Dio, i suoi piani. Il Suo silenzio lo tormenta. Che fare? Avere fede nonostante tutto (la cattedrale) e continuare a vivere? Guardare in alto e rimanere scettici?

Un’ultima domanda (a proposito di autori anonimi): perché anche Dio resta nell’anonimato?

 

[1] Un autore Anonimo è pur sempre un autore. E’ vero che di lui non conosciamo nemmeno le cose più elementari (nome, città, data di nascita e di morte), ma l’esame del testo, spesso, ci rivela alcune cose essenziali sul suo modo di vedere la realtà e la società del tempo, sulle tradizioni, sulle credenze popolari. Poco importa se, nel loro formarsi, i canti popolari e le ballate hanno avuto più di un autore e se il testo a noi giunto non è altro che il frutto di un’idea originale che ha subito modifiche e trasformazioni nel tempo; alla fine “quella” ballata è stata di certo compilata nella sua edizione definitiva da “Qualcuno”. E non è detto che il mistero della paternità ne sminuisca il fascino e la popolarità.

[2] Uppsala, Svezia, 1918 – Fårö, Svezia, 2007.

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