Diego trascorre un weekend con l’amato nonno, che ha l’abitudine di narrargli intrecci della sua famiglia come se fossero fiabe, nelle quali il ragazzino si immerge e si identifica. Comincia così il racconto in prima persona di Theo, un giovane boemo che sogna di lavorare il vetro ed è un talento nel disegnare decori mai visti prima, eguagliati solo da quelli del suo avo Giovanni Zanco. Cosa scoprirà di se stesso Theo lungo il suo peregrinare e la sua crescita? E della sua famiglia? E Diego cosa imparerà di riflesso da questo racconto “orale”? Non svelo nulla della trama, incalzante sino alla fine, con un climax di emozioni ed elaborazione di affetti e consapevolezze. È un proficuo percorso sul come stare al mondo coltivando i propri punti di forza.
Il titolo trae spunto da un simpatico equivoco linguistico all’interno del romanzo, che la Mengoni costruisce con una struttura classica e convincente: presentazione dei personaggi, crisi degli stessi, punti di rottura, situazioni di crescita, ritorno a se stessi.
I dialoghi scorrevoli rendono fluente la lettura, con una sintassi semplice ma non piatta, che coinvolge tanto i ragazzi quanto gli adulti alla ricerca del proprio talento nascosto.