Il Maestro della Banda di Giuseppe Pascali, Amazon Logistica, 2022

di Anna Rita Merico

 

Seconda metà del XIX sec. In Europa impazza una situazione che è risvolto di processi economici legati al processo di industrializzazione e al cambiamento delle forme di accesso alla ricchezza. Per le classi abbienti i livelli di povertà divengono maggiormente acuiti dalle trasformazioni sociali e dalle conseguenti mutate forme di accesso a redditi una volta assottigliatesi le possibilità di ingrossare le schiere dei lavoratori nei latifondi.

L’intera Europa è attraversata dal fenomeno e un aspetto particolare del fenomeno stesso è dato da quanto avviene all’interno dell’universo infantile. Charles Dickens e Victor Hugo contribuiranno molto a porre le radici di quel concetto che intorno alla fine del XIX sec. prenderà corpo e sostanza: il concetto di infanzia. Questi grandi della letteratura parleranno dell’infanzia abbandonata e ciò consentirà di dare corpo e spessore allo status della parola “infanzia” e del mondo che la circonda. Grazie a questo passaggio epocale potranno, poi, prendere corpo e sostanza pagine di ricerca fondamentali all’interno della nascente psicoanalisi. Pagine che sveleranno la presenza di una nuova soggettività (il bambino), soggettività invisibilizzata, sino ad allora, dall’idea che il bambino fosse una latenza di cui occorreva solo attendere la crescita.

Moltissime le città europee ed italiane che, a partire da spirito riformista fondano, sin dal XVII sec., architetture di ricovero finalizzate ad offrire riparo all’aumento di povertà e abbandoni; un aumento di povertà che aveva ricaduta all’interno dei mutanti tessuti urbani. Nel Sud Italia l’edificio più imponente viene costruito a Napoli: è il Reale Albergo dei Poveri, edificio progettato nel 1749 dall’ Architetto Ferdinando Fuga su commissione di Carlo III di Borbone. Molte le città meridionali che vedranno la nascita, in varie forme, di istituzioni caritatevoli finalizzate alla reintegrazione attraverso il lavoro e, in seguito, all’istruzione di un numero crescente di emarginati dai tessuti urbani. Da nominare, a Londra, la nascita agli inizi del XX sec., dello scoutismo da parte di Robert Baden-Powell che mise a servizio la sua formazione militare per istruire, creare spirito di corpo ed educazione alla responsabilità per ragazzi e ragazze bisognosi.

Gli Archivi di Stato, in Italia, ci rendono conto di questa pagina della storia moderna e contemporanea.

All’interno di tale contesto si colloca il romanzo di Giuseppe Pascali “Il Maestro della banda”. Siamo a Lecce. Il 30 maggio 1852 si inaugurava in città il Reale Ospizio San Ferdinando che, in seguito, diventerà Ospizio Garibaldi con la sua Scuola di Musica. E’ un ospizio che –in città- accoglierà per un arco di oltre 100 anni, ragazzi orfani senza dimora. All’interno della struttura prende forma romanzata la vicenda di Carlo Di Dio. La narrazione prende corpo da ambientazioni storiche e, all’interno di questa cornice, Pascali dipana il racconto di vita di Carlo. E’ un personaggio di finzione che prende forma da riverberi leggibili tra le righe di corrispondenze e ricerche d’archivio. Traspare l’intero di percorsi di vita segnati, uguali e –dunque- da tracciare come tratto comune di molti bambini ed adolescenti dell’epoca.

Siamo nella Lecce di metà Ottocento e il focus dell’opera ha il proprio incipit a partire dalla decisione di Teresa, una donna corpulenta che accompagna Carlo nella struttura affinchè vi possa trovare ospitalità. Teresa è la zia di Carlo che, due mesi prima, aveva preso il bambino in seguito alla morte di sua sorella, Assunta, madre del bambino stesso.

La figura di Assunta ci offre il senso dell’ esistenza di molte donne che mantengono in campagna la loro magra sussistenza in condizioni di lavoro pessime soggette a desiderio maschile ed a tagli dolorosi e solitari della propria esistenza. Assunta, con un bambino non riconosciuto, si reca a Lecce per tentare un nuovo inizio per sé e Carlo, suo figlio.

La ricostruzione che l’Autore ci fornisce della Lecce di quegli anni è uno scorrere incisivo sulle strade, gli umori, l’andirivieni di una città non sfiorata da processi di industrializzazione, una città avvolta da tempi e ritmi lenti che ruotano tra “magazzini” del tabacco con il rimbombo del lavoro duro delle donne e i tempi del sacro che abitano le piazze del Centro immerse nei gialli tufacei di movimenti, attese, fatiche di una popolazione a lato dei movimenti politici, sociali, economici che stavano, in quell’epoca, investendo il resto d’Europa.

Carlo di sé palesa subito un dono innato: l’amore per la musica. Un arcano che lo incanta rapendolo in una universo percettivo di “imbambolamento” all’interno del quale tocca il proprio desiderio: voler diventare un musicista. La figura del Maestro Carlo Cesi, la frequentazione della casa De Paolis e la conoscenza di Elena, i ragazzi in camerata… Un accavallarsi di eventi, il trauma di un’accusa, la solitudine. Tutti elementi narrativi che spingono le pagine di Il maestro della banda in una dimensione da romanzo ottocentesco, una dimensione dipanata con freschezza narrativa e svolgimento puntuale di ogni passaggio della trama stessa. La carrellata dei sentimenti e delle emozioni sfila tra le pagine contornando ruoli e posizioni dei personaggi in una carrellata che ci mostra un bell’affresco dell’epoca. Il romanzo di Giuseppe Pascali, nella tipica struttura canonizzata del testo ottocentesco, giunge ad un punto che sembra di chiusura della vicenda per poi aprirsi con un fatto inaspettato e scorrere, dipanato, verso esiti conclusivi.

La Fanfara dell’Ospizio e le vicende di Carlo Di Dio si sovrappongono. Il vissuto con Elena emerge da una dimensione favolistica che narra di valori oggi non scontati. Gli intrecci intorno alle descrizioni del Conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli in una Napoli che Carlo guadagna a dure unghiate di caparbia e determinazione sino ad entrare come effettivo nel Teatro San Carlo. Il gioco della finzione narrativa tiene lasciando sovrapporre luoghi reali a fatti di vita di finzione ma colpisce l’amalgama tra finzione e realtà.

Un testo di immediata lettura, costruito con una capacità di tenere trama, un immedesimarsi prima ancora che ne luoghi e nelle vicende, nella scrittura storica dell’epoca. Un esito immediato: la resa di una pagina di storia immateriale in cui la musica fa da personaggio principale per indicarci come i percorsi di riscatto esistenziali siano tante volte legati all’arte, alla conoscenza e -ancora- come la storia di tanti orfanotrofi del XIX sec. abbiano contribuito a scrivere la storia della nascita di uno sguardo altro sul concetto di infanzia.

 

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