Armageddon Time – Il tempo dell’Apocalisse
Regia: James Gray
Con: B. Repeta, J. Webb, A. Hathaway, A. Hopkins, J, Strong, T. Feldshuh, J. Diehl, J. Chastain
USA, Brasile, 2022. Durata, 115’
di Italo Spada
Non ci facciamo impressionare dal titolo. La profezia di San Giovanni sulla fine del mondo non c’entra affatto con quello che il regista americano ci vuole dire nel suo ottavo lungometraggio. Il tempo dell’Apocalisse va inteso come “il momento delle scelte” che, nella formazione dei giovani, coincide con quell’età in cui bisogna decidere da che parte stare e quale via intraprendere. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza è delicato e coinvolge genitori, psicologi, pediatri, insegnanti… e registi.
Argomento non nuovo nella storia del cinema. L’elenco dei registi che se ne sono occupati è interminabile anche perché nella scuola, a ben riflettere, si trovano ingredienti filmici in abbondanza: aula trasformabile in set ideale; docenti e alunni, genitori e figli come cast completo di protagonisti e comparse; copione già scritto nei programmi ministeriali e nelle quotidiane recite a soggetto; irresistibile comicità di alcune “battute” e suspense di situazioni impreviste e imprevedibili; minacce e premi; montaggio di volti e gesti e flashback di ricordi. A questa “fonte di idee” il cinema ha attinto con grande voracità, cogliendo storie già definite nei particolari e costruendone altre modificandole a proprio piacimento, con fedeltà realistica o con ispirazione surreale, scavando nella psicologia di grandi e adulti, sottolineando piccoli eroismi e denunciando situazioni assurde, portando in primo piano splendori e miserie di una istituzione che, pur avendo le radici all’interno di un’aula o tra quattro pareti, proietta la sua importanza nell’intera società. E non sembra, stando a quanto si continua a vedere sugli schermi, che l’argomento sia del tutto esaurito.
Nel saggio “Interno aula”, edito nel 1995 dal Comitato per la Cinematografia dei Ragazzi di Roma, scrivevo che «L’alunno normale, quello che non presenta alcun problema sotto l’aspetto disciplinare e che raggiunge la sufficienza in tutte le materie, nel cinema sembra non esistere, oppure è destinato a ricoprire ruoli secondari, di contorno. Gli alunni “cinematografici”, infatti, sono gli ultimi della classe o i primi, piccoli diavoli o teneri angioletti, asini o geni.»
Ne ero convinto allora e lo sono ancora oggi, allargando l’inquadratura a ciò che sembra cinema ma che è solo (e purtroppo) cronaca. Ci si sta riferendo a due recenti episodi: a quello di Rovigo, che ha visto una professoressa bersagliata da palline sparate da due alunni con una pistola ad aria compressa, e a quello di Abbiategrasso, dove un alunno di 16 anni estrae un coltello, intima ai compagni di uscire dall’aula, si scaglia contro l’insegnante di Italiano e la ferisce all’avambraccio.
Nei processi e nei verdetti emessi dai consigli di classe (promuovere i ragazzi di Rovigo, ma punirli con un nove in condotta; bocciare ed espellere il ragazzo di Abbiategrasso) e dal codice penale (assoluzione per la monelleria della pistola e carcere per il pugnalatore) non è apparsa la parola FINE e gli interventi di ispettori, ministro, genitori, giornalisti hanno alimentato discussioni, pareri, giudizi. Insomma, un Cineforum allargato.
Ci siamo trovati, come era facilmente prevedibile, con una serie di giudizi basati soprattutto su esperienze personali. Si va da astensioni in odio agli schieramenti, al “Bisogna conoscere che cosa c’è dietro comportamenti del genere”; dal “Non buttare la croce sulla scuola”, alla condanna del lassismo dei genitori; dal “Si può dare anche 10 in tutte le materie ma con 2 in condotta si boccia”, al pollice verso senza se e senza ma; dalla riesumazione del rispetto che c’era una volta nei confronti dei docenti, al “Diamo punizioni esemplari senza infierire”; dal “Datemi pure del fascista ma io li punirei a vita”, a “Com’erano educative le bacchettate del maestro sulle unghia sporche!”…
Una marea di materiale non per una semplice discussione tra amici, ma per la stesura di un trattato. Nessun dubbio che a scuola si va per apprendere, ma cosa? Solo nozioni o anche regole di vita? E ancora,: «Ma dove siamo arrivati? È la fine del mondo!»
Rieccoci al film di James Gray, ambientato nell’America reaganiana degli anni Ottanta: il tempo dell’Apocalisse è vicino perché si profila una guerra nucleare, perché stiamo assistendo all’implosione della famiglia e della scuola, perché siamo responsabili del fallimento della società?
Armageddon Time, ha come protagonista l’undicenne Paul, figlio di una coppia borghese del Queens, che sogna di diventare un artista, si atteggia a bullo, contesta e irride i docenti, fa amicizia con Johnny, un ragazzo di colore e di diversa estrazione che vorrebbe diventare un’astronauta, viene sorpreso mentre si fa una canna, è dirottato per punizione in un college privato, riallaccia in segreto i contatti con il compagno cattivo, diventa ladruncolo, capisce gli errori commessi, si redime e (come sembra dire la sequenza finale) si incammina sulla strada giusta.
Più Genesi che Apocalisse, quindi, ma solo perché Paul, a differenza di Johnny, non viene lasciato solo. Nel delicato percorso della sua formazione c’è soprattutto la famiglia: una madre (Anne Hathaway) intelligente e dolcissima, un padre (Jeremy Strong) severo e manesco ma perché vuole che suo figlio diventi migliore di lui, e un nonno (Anthony Hopkins) che, avendo subito sulla sua pelle di ebreo crimini ben più gravi dei bullismi e delle canzonature, ha una miniera di saggezza da lasciargli in eredità.
La fine del mondo? L’Apocalisse parla di un violento terremoto, del sole che diventa nero, della luna simile a sangue, delle stelle che cadono…ma addossa la colpa a “quelli che si dicono apostoli e non lo sono”, non a ragazzi che compiono gesti riprovevoli. Gli errori li commettiamo tutti (ricordiamoci che, se andiamo indietro nel tempo, troviamo nell’anno zero genitori disubbidienti e un fratello assassino), ma non è da tutti trovare gli appoggi giusti per risollevarsi. A scuola e nella vita, bocciamo e promoviamo, giudichiamo e comprendiamo, castighiamo e premiamo.
Il cinema resta cinema, ma qualche lezione su questo argomento, prima e meglio di James Gray, l’ha data e continua a darla. Per esempio? Per esempio ricordandoci che I bambini ci guardano, che la loro è un’Età acerba, che hanno Gli anni in tasca, che il loro Zero in condotta è anche colpa nostra…
Insomma, da una parte ci suggerisce di non essere superficiali, dall’altra di non drammatizzare. In una parola: Scialla!
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