L’autore percorre una strada perigliosa, quella del dubbio attributivo, peraltro su di un’opera quanto mai famosa: il gruppo scultoreo del Laocoonte. Con dei rimandi artistici e degli azzardi comparativi ci si chiede se tale perfezione antica sia realmente antica o non sia stato un falso storico creato ad arte. In un mondo seicentesco che inseguiva la collezione di opere classiche da esporre, chi ha potuto gabbare il Papa Giulio II con una reinterpretazione del mito di Laocoonte? Sicuramente un artista che ha potuto approcciarsi alla storia del sacerdote greco con i suoi simbolismi, cogliendolo nella sua forma più plastica e dolorosa. Ed ecco l’accostamento con Michelangelo, che certo era avvezzo ai falsi storici.
Colafemmina costruisce un’indagine su accurate basi culturali, lasciando la strada aperta al dubbio, così come dovrebbe essere per ogni attribuzione artistica.
È stato convincente? Non saprei. Il quesito posto ad ogni modo mi è parso lecito.
Con una scrittura elaborata nella giusta misura, Colafemmina ci prende per mano in un viaggio storico affascinante.
In calce al libro viene inserita una delle più importanti fonti di indagine, nonché un corredo di immagini pertinenti al racconto.
Non anticipo altro per esteso per non guastare il piacere della lettura.