La ragazza dell’Est di Fulvia Degl’Innocenti, San Paolo

di Cosimo Rodia

 

È un libro che alimenta speranza nel futuro e porta con sé una visione provvidenziale delle cose, secondo cui chi si trova in un vicolo cieco, convinto di rimanere intrappolato, senza vie d’uscita, potrebbe vedere inaspettata una possibilità di salvezza, uno squarcio di luce. E non che la via di fuga venga sic et simpliciter dall’alto, perché bisogna lottare e volerla con determinazione.

La Ragazza dell’Est è un romanzo positivo, luminoso, salvifico, importante, se si pensa che i drammi contemporanei ci scivolano addosso lasciandoci spesso indifferenti. Tutti sanno, ad esempio, della nuova tratta degli schiavi, delle minorenni vendute sulle nostre strade, violentate, maltrattate e ridotte ad un’esistenza abbrutita, del degrado delle metropoli; notizie che tanti reportages confermano con testimonianze dirette, eppure, ogni notizia scivola sulla pelle come una goccia sul vetro.

Ebbene Degl’Innocenti ha avuto la forza d’imbastire una storia avvincente che a leggerla non si rimane più gli stessi. Quando il mondo brucia non si può rimanere inerti. La scrittrice, nella nota finale, spiega che dopo aver visto il film Lilja 4ever in cui un’adolescente lituana, invece del principe azzurro trova un orco e per liberarsi salta giù da un ponte, conclude: «Io ho voluto dare a quella Lilia, reale o immaginaria che fosse, e alle tante ragazze in Europa ancora preda degli orchi, una possibilità di riscatto, e l’ho fatto nel modo che conosco meglio: la scrittura».

In queste parole c’è un programma che adulti e ragazzi potrebbero seguire, solo volendolo. Il romanzo ha un chiaro progetto formativo: abituare i giovani a comprendere e condannare il male e possibilmente adoperarsi a snidarlo. Non tutti sono coraggiosi e determinati come il protagonista Roberto; per quanto preziosi, i suoi quattro amici presto si eclissano; ma il romanzo rimane una seminagione. L’autrice con un profondo amore verso il prossimo procede piantumando sensibilità umana, sociale e civile, sperando che una volta attecchita, crescano tanti Roberto, tanti angeli pronti a soccorrere chi ha bisogno. Se la protagonista per lui è l’angelo della luce, una favilla staccatasi dall’anfiteatro celeste, lui per lei è un angelo reale di salvezza, quasi la concretizzazione di un disegno secondo il quale nessuno rimane all’inferno se non voluto.

Veniamo al plot. Roberto è figlio di Carola, una professoressa del sud, e di Lorenzo, un giornalista milanese inviato di guerra; è una coppia separata. In prossimità del Natale, Roberto quattordicenne parte da solo per Milano. In treno incontra un’angelica ragazza: è Lilia: «Dell’angelo aveva il colore dei capelli, biondi, lunghi, tirati all’indietro in una coda, con qualche ciocca ribelle che le incorniciava il viso, disegnando timidi riccioli dorati. Aveva il colore degli occhi, un azzurro limpido e acquoso; della pelle, pallidissima, quasi trasparente, come il velo dei sacchetti dei confetti».

Si parlano e tra detto e non detto, lei gli regala un libro per poi sparire nella Stazione di Milano. Nel libro il ragazzo trova un biglietto della lotteria e questo diventa il pretesto per cercarla. Nel frattempo Lorenzo è rimasto a Kabul, dunque Roberto viene ospitato da un collega del padre, che ha un figlio coetaneo, Gianluca. È proprio con questi e con altri amici: Giovanni, Matteo e Pietro che inizia la ricerca della ragazza e parte un vero e proprio giallo a suspence. Mettendo insieme i particolari deducono che Lilia è moldava e la cercano tra le connazionali che si prostituiscono in città; dal comportamento di alcune giovani, comprendono che il gioco è pericoloso. Una di esse fa sapere a Roberto che Lilia è viva ma per la sua incolumità non deve cercarla. Nel frattempo arriva Natale, Roberto monta una grande bugia per evitare che la madre lo vada a prendere, dunque continuano le ricerche tra le strade di Milano; Roberto e Pietro trovano la ragazza ma rischiano d’essere ammazzati dai protettori.

Arriva finalmente il papà dall’Afghanistan e Roberto gli chiede aiuto. Questi coinvolge l’amica Federica che lavora in un’organizzazione umanitaria in sostegno di ragazze “trafficate”. Individuano Lilia e Federica fa il resto: la protegge, arrestano il protettore in Italia e i basisti in Moldavia. Si avvicina l’Epifania, Roberto dovrebbe tornare a casa, ma non può perché deve essere sentito dai giudici. La madre si precipita a Milano e tra i timori per il figlio e la giustezza dell’azione, accetta che rimanga. Lilia è salva e pronta a ripartire dopo essere stata sotto le grinfie del lupo.

Alla fabula s’intrecciano le toccanti pagine di diario di Lilia poste a conclusione di ogni capitolo, un extra-testo che corre sul binario della tragedia d’infanzie negate. Lacerti che danno conto del tentativo di fuga di Lilia, del suo riconsegnarsi al protettore, del background familiare con una mamma abbandonata e alcolizzata e con un papà violento; drammatici sono alcuni passaggi: «Grazie papà. Grazie di avermi picchiata tanto prima di andartene. È in questo modo che si allenano i campioni… Fin da piccoli, così quando arriva la grande gara sono pronti. Io lo sapevo come cacciare la testa dentro le spalle, protetta dalle braccia per sentire meno dolore, per salvare la faccia, gli occhi, la bocca dove i colpi fanno più male…». Pagine che si infilzano nella carne viva e inchiodano l’uomo alle proprie responsabilità.

Il diario è strumentale per spiegare come la ragazza sia entrata nel tunnel della prostituzione, i sogni infranti, ma diventa anche il luogo dove rifugiarsi e sognare una via di fuga per ritornare alla vita normale, rappresentata dagli affetti per la nonna e il fratellino malato; è nel diario che scrive le implorazioni alla Signora fortuna affinché la vada a trovare. Un contrappunto straordinario, quasi un coro di tragedia greca, che richiama le miserie umane e ne reclama un intervento. C’è un passaggio umanamente drammatico: «Signora fortuna sbrigati, perché quando ti sveglierai e arriverai anche da me, forse sarò diventata troppo cattiva e avrò dimenticato tutto, anche la nonna, anche Vladimir» (anche al male ci si abitua!?); un grido d’aiuto umanissimo prima di adeguarsi alla degradazione. E la fortuna è incarnata proprio da Roberto; la persona meno adatta riesce nell’impresa di salvarla!

Il libro si chiude con una lettera della ragazza a Roberto in cui spiega di essere rinata e di iniziare a scrivere la storia «di una ragazza perduta che un giorno ha incontrato un angelo»; s’incrocia così l’immagine iniziale, solo col punto di vista invertito.

Un romanzo vivo, una grande avventura umana di alcuni ragazzi che toccano con mano le violenze e le devianze del mondo degli adulti; esperienze che fanno inforcare occhiali per leggere le contraddizioni del consorzio umano e intervenire affinché si sedimenti una piccola convinzione, secondo cui ognuno ha una quota di responsabilità quando si perde il senso della “comunità” e si spalancano le porte all’individualismo e all’egoismo.

Una bella storia che è pure un grande viaggio iniziatico per chi deve lasciare il mondo ovattato della giovinezza ed entrare in quello dei grandi, sfrenato e vizioso.

Per la Degl’Innocenti la crescita umana è un fatto serio, che avviene superando almeno due opposte tensioni: le regole patinate e ovattate della famiglia (pur nelle contraddizioni della famiglia moderna) a cui bisogna conformarsi e la conoscenza drammatica di un mondo che ti risucchia per considerarti unità indistinta. Come si esce da questo conflitto per guadagnare un approdo sicuro? Con la fermezza dei valori e con la presenza degli affetti.

L’autrice punta alle sfere che regolano la fenomenologia della vita adolescenziale, ovvero quelle psicologiche, sociali, etiche e, finanche, seppur velatamente, ontologiche. Tocca temi che coinvolgono l’uomo intero, quello inserito nel mondo con i suoi chiaroscuri, tentando di superare l’unidimensionalità della vita globalizzata.

I temi trattati varcano la soglia spazio-temporale per assurgere a paradigma di ogni giovinezza negata o di ogni violenza contro il più debole. Qui troviamo un pedagogismo militante, nonché l’affermazione indiretta del ruolo e del valore educativo-sociale della letteratura.

È la vicinanza e la sensibilità al mondo infantile-adolescenziale, connessa al ruolo di giornalista e scrittrice, che ha permesso alla Degl’Innocenti l’incursione in argomenti così delicati, mantenendo sempre centrale lo sguardo fisso sui bisogni, sogni, volizioni, frustrazioni dei ragazzi caduti nella rete del malaffare; l’autrice non dimentica di rappresentare l’alterità tipica dei ragazzi (Lilia è attirata dalla vita di hostess…), le loro diverse sfumature, dando conto essenzialmente delle loro specificità antropologiche fatte di spigoli vivi, che nel corso della crescita devono essere smussati, sottolineando in questa crescita pur sempre drammatica l’indispensabilità delle guide (reali e/o simboliche) per uscire quanto più indenni dai marosi.

 

 

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