Docenti decenti e indecenti

di Italo Spada

 

Come s’è già detto, il cinema non ama le vie di mezzo; analoga­mente è scarso o nullo il suo interesse per i docenti che hanno una vita normale, che entrano in classe e svolgono la loro lezio­ne, che non sono né odiati né amati dagli alunni, che non sono né aguzzini né vittime.

La società rispetta gli insegnanti perché essi ricoprono un impor­tante ruolo nella formazione dei giovani, ma il cinema, sempre alla ricerca di storie e di personaggi non comuni, non guarda in faccia nessuno; da ciò la distinzione manichea nell’individuazione dei loro pregi e dei loro difetti.

 

I pregi che contraddistinguono i docenti decenti sono: la bontà, la coerenza, l’altruismo, la saggezza, la giustizia, il coraggio, l’onestà, la perseveranza. I professori sono amati dagli alunni perché scendono dalla cattedra, smettono di spiegare e di interro­gare, rivoluzionano i programmi tradizionali, si preoccupano dei problemi dei giovani, dimostrano con i fatti ciò che sostengono a parole, non temono il coinvolgimento personale.

In un film russo del 1947 – L’educazione dei sentimenti (Sel’ska­ja ucitel’nica) di Mark Donskoj – un’insegnante di San Pietrobur­go si trasferisce in un villaggio della Siberia per seguire il fidanzato deportato per motivi politici. È sola e deve guada­gnarsi, con il pane, anche la fiducia di chi non capisce la sua scelta. A poco a poco, mettendo soprattutto in pratica le lezioni di speranza e di coraggio che impartisce ai suoi scolari, ella diventa un punto di riferimento per tutti, alunni e contadini,  e quando la vita, con la morte dell’uomo che ama, le darà la peg­giore delle delusioni, saranno i suoi ex alunni a ripagarla andandola a  trovare per dimostrarle la loro riconoscenza.

Un altro professore buono è quello interpretato da Vittorio De Sica in Domani è troppo tardi (1949) di Léonide Moguy; egli opera con tatto e saggezza a favore di due alunni innamorati e riesce ad infondere coraggio nella ragazza che, stanca delle maldicenze e dell’incomprensione, sta per commettere l’imperdonabile errore di suicidarsi.

 

Buono e altruista è anche il professore che in Pensaci Giacomino!(1936) di Gennaro Righelli sposa la figlia del bidello, innamorata di Giacomino. Il suo “matrimonio” con la ragazza, argo­mento ghiotto di maldicenze e pettegolezzi paesani, in realtà  è solo un gesto di bontà per salvare il rapporto tra i due giovani e per dare alla creatura che nascerà un nonno che faccia le veci del padre. Giacomino sa bene come stanno le cose e, in un primo momen­to, accetta il gioco delle parti; ma, quando per paura e per tornaconto sta per lasciare madre e figlio al loro destino, allora deve fare i conti con il professore buono che diventa anche coraggioso e che non teme di impartirgli una lezione di onestà e di coerenza.

 

Altrettanto buono, onesto e coraggioso è il professor Malek del bel film cecoslovacco di Jiri Krejcik Il principio superiore (Vyssi princip) del 1960. La vicenda è ambientata nel giugno del 1942. Dopo l’attentato che costò la vita al Reichprotektor Hey­drich, scatta la repressione nazista e tre alunni  del liceo di Koutenetz vengono ingiustamente accusati e arrestati dalla Gesta­po durante gli esami di maturità.  Il terrore e la paura impedi­scono alle autorità civili e scolastiche di manifestare il loro dissenso e i tre ragazzi sono condotti alla fucilazione. Solo il professore di latino, coerente ai principi etici della non vio­lenza ai quali ha sempre fatto riferimento  nel suo insegnamento (e per i quali è stato soprannominato  dagli alunni “Principio superiore”), alza la sua voce pronunciando davanti alla scolare­sca una condanna chiara e netta della tirannide nazista.

 

Anche il protagonista del film di Andrej Michalkov Koncalovskij, Il primo maestro (Pervyj ucitel) del 1965, dà prova di coerenza e di coraggio. Delegato dal Komsomol a svolgere un intervento di preparazione politica e culturale in un isolato villaggio del Kirgizstan, il giovane insegnante Dujsen si impegna a favorire il progresso e l’uguaglianza secondo i principi predicati da Lenin. Siamo nella Russia ancora “feudale” del 1923 e i vecchi proprieta­ri terrieri (i “baj”) non gradiscono che i contadini vengano scolarizzati; per questo, alla morte di Lenin, bruciano la scuola faticosamente costruita dal maestro, gli violentano la fidanzata, diffidano gli alunni. Ma ci vuole ben altro per scoraggiare  Dujsen; sfidando i potenti (“Se volete che io mi fermi, uccidete­mi!”, dice loro), abbatte un albero e ricomincia a costruire una nuova scuola.

 

La droga, la delinquenza e la mancanza di principi morali mettono a dura prova la pazienza dei docenti americani. Le scuole perife­riche di New York e di Philadelphia somigliano alle praterie del selvaggio west: in esse solo i  docenti coraggiosi – come Richard Dadier del già citato (cap. IV) Il seme della violenza (The Black­board Jungle) (1955) di Richard Brooks – riescono a spuntarla.

Ovviamente, ci si può imporre anche con la dolcezza. Senza frago­re, ma con identico coraggio, si propone, infatti, anche la fragi­le insegnante di Su per la discesa (Up the Down Staircase) (1967) di Robert Mulligan, che ingaggia una lotta  apparentemente impos­sibile contro il razzismo, la droga e il teppismo di New York. Le basterà la riconoscenza di un solo allievo a restituirle la fidu­cia e a farle capire che i suoi sforzi non sono stati del tutto inutili.

Ad analoga conclusione (e alla decisione di non lasciare la scuola nonostante le delusioni accumulate) arriva anche LouAnne Johnson, ex marine che ha sempre sognato di insegnare, protagoni­sta del film Pensieri pericolosi (Dangerous Minds) (1995) di John N. Smith.

 

In contrapposizione ai pregi, il cinema mette in risalto anche i difetti dei docenti e, a seconda se vuole denunciare spocchia o  dabbenaggine, frustrazione o inettitudine, cattiveria o  sadismo, usa toni ironici, inclementi, amari, duri.

 

In Anni facili (1953) Luigi Zampa aveva già denunciato lo squal­lore di un docente fallito che, diventato portaborse di un poli­tico, finisce in prigione per colpe non sue.

Passano gli anni e un altro docente, il professor Luciano Sandul­li, protagonista del film di Daniele Luchetti Il portaborse (1990), rivive la stessa esperienza. Ma ha più amor proprio o, forse, è più smaliziato e, prima di sprofondare nel marcio della politica, trova il coraggio di compiere un gesto di ribellione.

Ribelle a modo suo è anche il paranoico professore Michele Api­cella che, in Bianca (1983) di Nanni Moretti, spia la vita degli altri, picchia gli alunni, giudica la nuova generazione a partire dalle scarpe, si autoaccusa di tre omicidi rimasti impuniti.

 

Particolarmente interessata al tema del professore ingenuo, igno­rante, inetto e fallito è la cinematografia italiana degli anni Sessanta e Settanta.

Ne L’imprevisto (1961) di Alberto Lattuada un professore rapisce con la complicità di un’allieva senza scrupoli il neonato di un industriale spacciandolo per il figlio della moglie che aveva obbligata a simulare una gravidanza; ne Il maestro di Vigevano (1963) di Elio Petri un insegnante fallito finisce col diventare calzolaio; in Professore venga accompagnato dai suoi genitori (1974) di Mino Guerrini gli studenti del liceo Manzoni di Roma devono sopportare un preside inetto e un professore dittatore; in Tutti a squola (1979) di Pier Francesco Pingitore  un professore ingenuo, che legge il libro “Cuore” mentre nella sua scuola gli alunni si drogano e maneggiano pistole, finisce in carcere per un equivoco; in E’ arrivato mio fratello (1985) di F. Castellano e G. Pipolo, infine, il frustrato insegnante Ovidio, dopo l’improv­viso arrivo del fratello gemello che fa il pianista in un night, si ritrova con l’ esistenza scombussolata.

 

Più squilibrati, squattrinati, malati e delusi che cattivi e indecenti, appaiono, invece, gli insegnanti della cinematografia straniera.

E così in Addio Mr. Harris (The Browning Version) (1951) di Antho­ny Asquit, un professore misogino, poco amato da colleghi e alun­ni, solo dopo che ha deciso di abbandonare l’insegnamento per motivi di salute avverte un po’ di calore umano intorno a sé; in I professori non mangiano bistecche (Confidentially Connie)  (1953) di Edward Buzzell il figlio di un ricco allevatore di bestiame, pur di continuare ad insegnare e a conservare la sua indipendenza dal padre invadente, preferisce tirare la cinghia rischiando di far mancare alla moglie incinta le nutrienti bi­stecche ordinatele dal medico; in Una settimana in vacanza (Une semaine de vacances) (1980) di Bertrand Tavernier un docente in crisi cerca di fare chiarezza sulla sua vita; in  Teachers (1984) di Arthur Hiller un’avvocatessa si trova ad indagare in una scuola dove gli insegnanti sono più negligenti degli alunni; in Innocenza ( 1986) di Villi Hermann  una professoressa, a causa dell’ interesse morboso del sindaco locale, finisce al centro di gelosie, rivalità, scandali e inchieste; in  Dolce Emma, Cara Bobe (Edes Emma, droge Bobe) di Istvan Szabo  (1991), infine,  due insegnanti di russo, costrette ad imparare l’inglese per tutelare il loro posto di lavoro, per sopravvivere decidono di ripiegare su “occupazioni meno nobili”, come  quelle della dome­stica e della prostituta.

 

Trattazione a parte meritano, invece, due insegnanti indecenti, volutamente estrapolati dal precedente elenco. La loro indecenza si fonde con la cattiveria e a poco serve sforzarsi di comprende­re il loro comportamento appellandosi alla mentalità del tempo, a vecchi ordinamenti che facevano sembrare la scuola molto simile alla caserma militare, alla disgregazione morale che nel dopo­guerra non risparmiava ceti e categorie.

 

Il primo è quel professore sadico (soprannominato dagli alunni “Caligola”) che in Spasimo (Hets) (1944), un film diretto da Alf Sjoberg e scritto e sceneggiato da Ingmar Bergman, prende di mira il giovane Jan-Erik e lo ossessiona in tutti i modi. Jan-Erik si innamora di Bertha, una ragazza alcolizzata che fa la commessa in una tabaccheria, la quale gli racconta di un miste­rioso persecutore che si introduce ogni tanto in casa sua e la costringe a bere. Il giovane, allora, si nasconde e scopre che il misterioso uomo è proprio il professor Caligola. Un giorno, la ragazza muore per arresto cardiaco e Jan-Erik, sicuro che ad ucciderla sia stato proprio Caligola, testimonia contro di lui. Dopo l’autopsia, il professore viene scagionato dall’accusa di omicidio, ma Jan-Erik lo affronta a scuola e si fa espellere pochi giorni prima di sostenere gli esami.

 

Il secondo docente è una squallida figura di uomo fallito che, pur ricoprendo un ruolo marginale nella vicenda, condiziona  le scelte e i gesti del protagonista.  Ci si sta riferendo al pro­fessore pedofilo che impartisce superficiali lezioni di sapore nazista al piccolo Edmund, in Germania anno zero (1947) di Rober­to Rossellini. Siamo a Berlino, nel 1947. La città è distrutta dai bombardamenti e, tra le macerie e il disfacimento generale, si aggira un bambino di 13 anni (Edmund) che si industria in tutti i modi a mantenere il padre malato, un fratello che si nasconde e una sorella che si prostituisce. Peregrinando da un capo all’altro della città, il piccolo Edmund incontra per caso un suo ex maestro

di scuola, pederasta e ancora convinto della necessità di una selezione naturale della razza. Essendo in preda allo sconforto, il bambino reputa opportuno chiedere consigli all’uomo maturo, il quale, con sconcertante irresponsabilità, non trova di meglio che parlargli della teoria della eliminazione dei più deboli da parte della natura. Edmund si convince, allora, che sarebbe meglio per tutti se suo padre morisse e lo avvelena. Rimprovera­to dal maestro che nega di avergli suggerito il parricidio, scacciato dagli amici, allontanatosi spontaneamente dalla fami­glia, Edmund vaga per la città, sale in cima ad uno stabile abbandonato e si suicida.

 

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