LA FIABA, LINGUAGGIO UNIVERSALE – PARTE I
di Angelo Nobile
(Università di Parma)
Fiaba e favola, fiaba popolare e fiaba moderna
Col termine fiaba designiamo quel racconto fantastico, trasmesso oralmente, che attinge abbondantemente al meraviglioso, avendo come protagonisti esseri sovrannaturali (fate, folletti, streghe, orchi…) e che vanta come doti precipue la grazia primitiva e l’ingenua freschezza. In ciò si distingue dalla favola, breve composizione letteraria, di tono e intento satirico e di significato allegorico, frutto amarognolo della ragione, popolato da animali, autentiche maschere dietro le quali si cela un’umanità grettamente e crudamente realistica. Prodotto di una civiltà contadina,la favola ha raggiunto maturità artistica con autori come Esopo, Fedro, La Fontaine.
Mentre la favola ha l’intento di ammaestrare, enunciando un precetto morale o di saggezza pratica, alla fiaba è estraneo qualsiasi proposito didascalico e moraleggiante: ha il fine in sé, nel piacere della narrazione, carattere o peculiarità che condivide col gioco, attività autotelica per antonomasia, anche se non mancano, al suo interno, insegnamenti impliciti. Esiste quindi una singolare analogia tra fiaba e gioco, partecipando entrambi della dimensione della gratuità (oltre che del gradimento dell’infanzia), a differenza della favola, già oggetto delle acerbe critiche di Rousseau, anche a ragione del messaggio spesso crudamente pessimistico con cui generalmente si conclude.
Quando parliamo di fiaba, ci riferiamo solitamente a quella europea, che definiamo anche classica, termine che suona come sinonimo di eccellente o di “contemporaneo a tutte le epoche”, secondo la celebre espressione di Sainte Beuve. Nel novero comprendiamo sia i Contes de ma Mère l’Oye, di Perrault, tipico esempio di fiaba colta, artistica trascrizione letteraria di fiabe popolari, sia i Kinder-und Hausmarchen dei fratelli Grimm, di più schietta origine etnico-popolare, ma anche alcune novelle di Andersen, rielaborazione di motivi fiabici nordici, quali I dodici cigni selvatici o L’acciarino magico. Esistono però anche le fiabe più propriamente d’Autore, frutto di originale invenzione, quali molte novelle dello stesso Andersen.
Più di recente è nata la cosiddetta “fiaba moderna” calata nella realtà attuale, tecnologica, che è poi quella che circonda il bambino oggi: fiaba che pretende di essere più vicina ai gusti e interessi delle nuove generazioni, tenuto conto delle profonda evoluzione avvenuta nell’immaginario infantile. Non più viaggi di iniziazione per il mondo in cerca di fortuna, castelli turriti, boschi incantati, principi e principesse, ma una realtà urbana e tecnologica, filtrata attraverso la lente della fantasia. Le vicende sono calate nella quotidianità, sullo sfondo di grandi metropoli e di un mondo massmediatico e tecnologizzato. È una produzione letteraria che vanta tra i suoi massimi esponenti Gianni Rodari e Marcello Argilli e che tuttavia, per ammissione dei suoi stessi creatori, è meno coinvolgente per il bambino della fiaba tradizionale, non ne possiede la medesima capacità di comunicazione, apparendo più consona ad una lettura individuale. Non parla all’inconscio del bambino, né è ricca di significati simbolici, a differenza della fiaba popolare, che interpreta problemi e conflitti interiori, svolgendo nei loro confronti una funzione catartica e terapeutico-compensatoria e consolatoria, liberatrice da ansie e paure.
Caratteri e universalità della fiaba
La fiaba è dono della parola che sa narrare, prodotto della fantasia e dell’ingegno umano, dell’umanità di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Ha una sintassi e una semantica propria, le sue figure-chiave e i suoi simboli. Probabilmente, come vuole Fromm, è la superstite testimonianza di un linguaggio simbolico, “l’unico linguaggio universale che la razza umana abbia mai creato”. Incarna ed esprime sentimenti, emozioni, aspirazioni, speranze comuni a tutta l’umanità. E ciò in forza del suo carattere archetipo. Come osserva Cambi, la fiaba “parla del mondo arcaico da cui veniamo e che ancora abita in noi”. Si tratta di forme risalenti ai primordi dell’umanità che l’uomo del nostro tempo porta inscritte nella sua coscienza più remota. Ci parla dell’io profondo e interpreta il nostro “inconscio collettivo”. Per richiamarci alla terminologia junghiana, le fiabe svelano e riflettono i processi dell’inconscio collettivo, che, secondo la teoria dell’allievo di Freud, “non si sviluppa individualmente, ma è ereditato”.
Al tempo stesso, “evoca paradigmi di crescita, itinerari di prove, pratiche di iniziazione, figure simboliche, e pertanto parla di formazione e agisce sulla formazione“.
A tutt’oggi, la fiaba nelle sue molte forme e trasmigrazioni non cessa di affascinare video e web dipendente perché tocca corde ancestrali della coscienza collettiva, rappresentando una sorta di “patrimonio genetico” dell’umanità, pur mantenendo i suoi caratteri di unità, di sovrastoricità e di sovranazionalità. Né va dimenticato che il bisogno di raccontare e di raccontarsi, così come il bisogno di storie, è connaturale alla natura umana.
Se ci sottraiamo per un attimo ad una angusta visione eurocentrica, dobbiamo riconoscere che il termine fiaba designa legittimamente tutte le creazioni fantastiche, trasmesse oralmente, prodotte dalla fantasia e dall’ingegno umano in ogni luogo, in tutti i tempi e sotto tutte le latitudini. Non esiste praticamente popolo che, accanto alla sua mitologia, non abbia le sue fiabe, che ovunque, nonostante le loro specificità e gli adattamenti nazionali, regionali e locali subiti, riecheggiano singolarmente i medesimi temi e motivi e hanno analogo andamento narrativo, avvalorando la tesi di chi considera la fiaba un prodotto dell’anima universale comune a tutti i popoli, a prescindere da reciproci influssi e contaminazioni. Si spiegherebbe così la presenza dei medesimi motivi o topoi e di strutture narrative, che richiamano le funzioni proppiane, in popoli lontanissimi, a sottolineare che si tratta di narrazioni che scaturiscono da un comune substrato di fantasia, di speranze, di aspirazioni. Ricorrente il motivo dell’allontanamento da casa in cerca di fortuna, che adombra una sorta di rito di iniziazione nel passaggio dall’età infantile a quella adulta, comune a molte culture arcaiche; in tutte compare il motivo delle prove (solitamente tre; cinque nella cultura giapponese) che il protagonista-eroe deve superare; in tutte è riservato un premio alla bontà e alla cortesia; quasi ovunque si ritrova il motivo del lieto fine, per lo più consistente in un’ascesa sociale attraverso il matrimonio, paradisiaca conclusione di tutti i conflitti.
Presso tutte le culture i personaggi sono mossi da sentimenti primordiali: amore, odio, paura, invidia… Attraverso la via dell’immaginario, la fiaba avvicina popoli lontanissimi, dimostrando come nell’intimo dell’animo umano alberghino i medesimi pensieri, speranze, bisogni, aspirazioni; come tutti gli uomini siano accomunati da un patrimonio condiviso di sentimenti. Il che da un lato giustifica e sollecita l’inserimento della fiaba all’interno di itinerari di educazione multiculturale, dall’altro rivela un’ulteriore analogia col gioco, sia in quanto bisogno antropologicamente fondato, sia in virtù del suo significato affratellante, che trascende qualsiasi confine o barriera di razza, sesso, cultura, religione. Al pari del gioco, la fiaba rappresenta per il bambino un bisogno insopprimibile: come già rilevava Goethe,”se non raccontassimo fiabe ai bambini, loro le inventerebbero”. Emblematica l’ormai lontana esperienza dell’Unione Sovietica, dove si era bandita la fiaba, e con essa ogni creazione letteraria di fantasia, in nome di una letteratura puramente realistica. L’insopprimibile bisogno della fiaba rinasceva continuamente nel mito collettivo di Stalin, che in molti quaderni di bambini del tempo risulta protagonista di vere e proprie imprese fiabesche. Analogo fenomeno va segnalato per il gioco: impedito di giocare, il bambino trova modo di appagare questo suo bisogno coartato nei modi più fantasiosi, anche nelle circostanze più tragiche, all’occorrenza avvalendosi di materiale povero e improprio.
Della storia di Cappuccetto Rosso esistono almeno 40 versioni presso diversi popoli e culture, alcuni dei quali, per secoli, sicuramente non comunicanti tra loro; della trama di Cenerentola, esempio tipico di trasversalità fiabica, si trovano addirittura 130 versioni: in Europa, in Asia e in Africa. Muta soltanto il nome della protagonista: Cinderella nel Cunto de li cunti di Basile, Cenerentola in Perrault, Peldicenere nel folklore inglese, Nerella in Russia, a comprova dell’universalità ma anche della flessibilità e della duttile adattabilità di queste antiche narrazioni popolari.
L’irrisolto problema delle origini
Le origini della fiaba, si perdono nella notte dei tempi. È probabile che queste narrazioni trasmesse oralmente siano una riduzione e semplificazione di antichi miti, filtrati nel tempo dalla fantasia popolare. Quindi, incontrandosi e contaminandosi con la narrativa epica e cavalleresca, sono divenute materia privilegiata di narrazione nei salotti settecenteschi, con forte accentuazione dell’elemento fantastico, esito anche dell’influsso del meraviglioso orientale de Le Mille e una notte, e infine sono state fatte proprie dall’infanzia, allorché il Settecento e più ancora l’Ottocento borghese ne ha fatto un uso pedagogico. Molti gli elementi comuni che la fiaba ha col mito: ad es. il motivo triadico (tre sono le prove che Psiche deve superare); la gelosia e la conflittualità tra fratelli (le sorelle sono gelose di Psiche); il motivo dell’iniziazione, del viaggio, della partenza da casa in cerca di fortuna, ecc. La stessa “immagine letteraria” della fata, come si esprime Carla Lomi, “è testimonianza e traccia della permanenza di antichi culti e riti” (C. Lomi, Alle origini della fata. La donna e la sua psiche allo specchio, Edizioni della Meridiana, 2004, p. 10). Differente però il finale: lieto nella fiaba, solitamente cupo e pessimistico nel mito.
Fiaba e infanzia
Quel che è certo, è che tutti i popoli, tutte le civiltà e le culture hanno espresso le loro fiabe, tanto da avallare la già richiamata tesi junghiana che esse siano un prodotto dell’inconscio collettivo – comune ad ogni uomo per dotazione nativa, e quindi non appreso – che proietta nel fantastico ansie, paure, speranze, aspirazioni. E in effetti nella fiaba il bambino vede realizzata fittiziamente, nella sfera dell’immaginario, in un mondo di fantasia e di sogno, desideri e aspirazioni coartati dalla dura realtà quotidiana, a cominciare dall’ansia di crescere, di emulare ed agguagliare l’invidiato modello adulto, costante rilevata da tutti i più attenti osservatori dell’anima infantile, da Rousseau a Capponi, da Freud alla Montessori; il condiviso bisogno di sottrarsi alla soggezione dell’adulto e la certezza di significazione data dalla fiaba, insieme alla rassicurazione che il protagonista-eroe, oggetto di identificazione da parte del piccolo ascoltatore o lettore, può avere la meglio sul gigante; l’incoraggiamento a osare, a sottrarsi dalla pesante tutela dell’adulto (il riferimento obbligato è al motivo del viaggio di iniziazione).
. La fiaba incarna sentimenti, ansie, aspirazioni, sogni del debole, del diseredato, dell’oppresso; situazione di inadeguatezza vissuta dal bambino, in ragione della sua complessiva immaturità fisica e psichica di fronte al mondo adulto. Ed è questa una caratteristica planetaria dell’infanzia. La fiaba lo aiuta nel faticoso processo di crescita, schiudendo il cuore alla speranza e spronando a maggiori imprese.
Quale che sia la sua indimostrata origine, è inoppugnabile che la fiaba è pervenuta all’infanzia per caduta dal mondo adulto. I bambini si sono impadroniti di queste creazioni letterarie nel corso dei secoli, trovandovi espressi in sapiente equilibrio, forse casuale, motivi ed elementi che rispondono alle esigenze della loro personalità in formazione, per cui la fiaba è divenuta nel tempo geloso patrimonio dell’infanzia, parlando un medesimo linguaggio psicologico ai bambini di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Ecco perché, per inciso, non appare congruente la definizione di letteratura per l’infanzia, a designare l’insieme delle opere lette dai ragazzi. Perché, a prescindere dal termine infanzia, che abbraccia una stagione dello sviluppo troppo ristretta per esaurire tutta la letteratura rivolta al soggetto in formazione, la preposizione “per” sottende un’intenzionalità, una destinazione d’uso che, originariamente, era estranea a queste narrazioni, indirizzate a un pubblico adulto, passando dai cascinali ai rutilanti salotti della corte del re Sole.
L’interpretazione psicoanalitica
Secondo molti studiosi di indirizzo psicoanalitico la fiaba adombrerebbe vari significati nascosti: la crisi puberale, col conseguente distacco psicologico-affettivo dalla famiglia e la parallela rivendicazione di autonomia e libertà (il motivo del viaggio, della partenza per il mondo in cerca di fortuna, tornando gratificato); i riti di iniziazione, col superamento delle tre prove fatidiche (generalmente il giovane riesce nell’impresa col soccorso di forze benigne). Né la psicoanalisi ha tralasciato di interpretare singole fiabe o di attribuire un significato simbolico a ricorrenti motivi, trame e personaggi fiabeschi: Cappuccetto rosso, il lupo, Cenerentola, la matrigna…, la quale ultima rappresenterebbe la cattiva madre, oggetto di sentimenti ambivalenti, mentre la rivalità con la figliastra (come in Biancaneve) adombrerebbe un conflitto edipico non risolto.
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