EMERGENZA SCUOLA (I Parte)

di Enrico Campanelli

 

Premessa

Il contenuto di questa lettera è stato discusso e condiviso da un gruppo di docenti di diverse parti d’Italia, denominato: “La nostra scuola: cultura, passione e relazione”, promotore tra l’altro del Manifesto per la nuova Scuola, sottoscritto anche da Vito Mancuso, Dacia Maraini, Salvatore Settis, Lucio Russo, Ivano Dionigi, Donata Meneghelli, Mario Capasso, Filippomaria Pontani, Adriano Prosperi, Luciano Canfora, Carlo Ginzburg, Tomaso Montanari, Alessandro Barbero, Massimo Recalcati, Gustavo Zagrebelsky ed altri importanti intellettuali.

 

Il tempo e la scuola

Il dibattito sulla scuola (ma sarebbe più corretto parlare di monologo) è attualmente molto vivo, tra le esternazioni continue del ministro Bianchi, i lavori in corso degli Stati generali della scuola digitale e l’ennesima riforma della scuola in agguato tra le pieghe del PNRR. Si parla molto di innovazione didattica e tecnologie, ma ostentandoli come feticci modernisti invece che discutendone seriamente l’utilità e la ratio. Intanto però, le piaghe della scuola rimangono lì, purulente più che mai: classi pollaio, burocrazia soffocante, sparizione progressiva dei contenuti culturali dalle aule scolastiche. Un altro tema centrale, di cui però si parla molto poco, è il tempo scuola, cioè il tempo che viene effettivamente dedicato all’insegnamento che, non dimentichiamolo, è l’unico vero scopo della scuola. Propongo qui una vera e propria anatomia del tempo scuola, analizzando come esso viene impiegato nelle tre attività che caratterizzano il lavoro di un docente: l’insegnamento, la burocrazia, la formazione professionale.

 

Anatomia del tempo scuola.

1. Il tempo per l’istruzione

Sembra paradossale, ma a scuola non c’è più il tempo per insegnare. Facciamo due calcoli. Consideriamo una classe quarta di liceo scientifico, 25 alunni, materia Matematica. Le ore di lezione previste per questa materia sono 4 a settimana, che in un anno scolastico fanno 132 ore. Consideriamo ora alcune attività che si svolgono in queste ore: interrogazioni, almeno due per alunno, di almeno 30 minuti ciascuna, sono 25 ore; verifiche scritte, almeno 5, di 2 ore ciascuna più un’ora per la riconsegna e correzione, sono 15 ore; pausa didattica di gennaio, circa 6 ore; attività PCTO, circa 3 ore; assemblee di classe e d’istituto, circa un’ora; gita scolastica, circa 4 ore; progetti vari, circa 2 ore; attività varie (esercitazioni evacuazione, assenze di massa, festività ecc.) circa 2 ore; l’ultima settimana di scuola non si fanno cose nuove, 4 ore.

In totale sono circa 62 ore. Ciò significa che per l’insegnamento disciplinare (spiegazioni ed esercitazioni) rimangono circa 70 ore (questo nella migliore delle ipotesi!).

Un normale programma didattico prevede circa 10 capitoli da svolgere. Quindi in media, per svolgere un capitolo, si hanno circa 7 ore. Considerando che esercitazioni e correzione compiti prendono circa metà del tempo, ne segue l’umiliante prospettiva di spiegare un capitolo di matematica in sole 3 ore. Opzioni per il docente?

Una è la lezione frontale ottocentesca, con divieto assoluto di intervento da parte degli alunni (non c’è tempo per le domande!) nella quale il docente si cimenta in un deprimente soliloquio con la lavagna, volgendo rigorosamente le spalle agli alunni (non c’è tempo per girarsi!). Questa metodologia, assolutamente inutile ovviamente, che non vorrebbe usare nessun docente, ha l’indubbio vantaggio (ma non è nemmeno certo) di consentire al docente di scrivere sul registro: “missione compiuta” (leggi: programma completato). Il fatto che l’80% degli alunni non abbia capito assolutamente nulla rimane solo un dettaglio da aggiustare in sede di scrutini a suon di “l’alunno si è impegnato”, “l’alunno ha migliorato il profitto rispetto alla situazione di partenza”, “l’alunno recupererà i debiti nel corso dell’anno”. La feroce dea “burocrazia” è stata placata con dosi massicce di ignoranza distribuita agli alunni ed il docente è al sicuro da qualsiasi azione disciplinare.

Più realisticamente, il docente deciderà di rivolgere almeno per qualche minuto lo sguardo verso la classe e di scambiare qualche parola con gli alunni, permettendo loro di fare domande. Diciamo che in questo modo l’efficacia della lezione aumenta notevolmente, ma in proporzione inversa all’efficienza in termini di tempo (una lezione dialogata, a parità di contenuti, può durare facilmente il doppio o il triplo o anche di più rispetto alla classica lezione stile monologo) il che vuol dire che mentre il docente dialoga socraticamente con gli alunni, il programma didattico viene irrimediabilmente ridotto in quantità o in livello di approfondimento.

Ma ci sono altre opzioni. Poiché la lezione socratica è pur sempre roba vecchia, antica (nomen omen) la moderna didattica offre strabilianti alternative. Il docente, relegandosi nel ruolo di facilitatore (ma oggi si preferiscono termini come coach, o scaffolder) può schierare gli alunni in suggestivi raggruppamenti geometrici, a ferro di cavallo, a cerchi, a quadrati, magari a testuggine (tanto ci sono i banchi a rotelle, ci vuole un attimo) e, confidando nei poteri del cooperative learning e del peer tutoring, sperare che il sapere autoprodottosi per partenogenesi nelle menti dei più dotati si moltiplichi, diffondendosi nelle menti di tutti gli altri. Oppure il docente può sempre ribaltare i ruoli (flipped classroom) facendosi spiegare lui la lezione dagli alunni autodidatti, con l’ulteriore vantaggio di risparmiare sui costi della propria formazione professionale, generosamente erogata dai propri alunni. Tutte queste moderne metodologie, se ben attuate, hanno anche qualche efficacia, peccato però che l’efficienza, in termini di tempo, coli letteralmente a picco. Se una semplice lezione dialogata raddoppia o triplica la durata di una lezione, queste attività collaborative moltiplicano i tempi a dismisura.

Ma le opzioni non sono finite. Ci sono ancora gli “effetti speciali ed i colori ultra vivaci” delle tecnologie informatiche che però, tra connessioni ad intermittenza, PC in perenne aggiornamento e/o stato di iperaffaticamento e metodologie improvvisate e al di fuori di ogni evidenza scientifica in ambito didattico, spesso hanno come unico effetto tangibile uteriori perdite di tempo.

Alla luce di ciò, e davanti alla constatazione (test Invalsi, rilevazioni OCSE-PISA) del declino delle competenze di base degli alunni, come si può puntare frettolosamente e surrettiziamente il dito contro l’incompetenza dei docenti (che pure, in parte, esiste)? Più onestamente, invece, si dovrebbe semplicemente constatare che a scuola non c’è più il tempo per trasmettere le conoscenze (sì, trasmettere-le-conoscenze, è ora di restituire valore e dignità a questa espressione) che sono le fondamenta di qualsiasi competenza, né tantomeno quello per far evolvere naturalmente le conoscenze in competenze, processo, quest’ultimo, che non si può abbreviare o annullare, sperando di “insegnare” le seconde (il che è ovviamente un ossimoro) senza fornire le prime. Con classi di 25 (o più) alunni e con attività extracurricolari sempre più invadenti, semplicemente non c’è più il tempo per fare scuola, quella vera, quella che produce sapere autentico, crescita interiore e formazione vera per il futuro. Non c’è più il tempo per insegnare e non c’è più il tempo per imparare. Non c’è più il tempo per permettere a docente ed alunno di interagire intimamente, di instaurare anche quel dialogo non verbale che si nutre di relazione, di silenzi, di cinesica (parliamo di ricerca didattica, non di aria fritta) che sono il “nastro trasportatore” dei saperi. Lo studio e l’accrescimento interiore richiedono tempi lunghi, atmosfere stimolanti ma rilassate, non tempi misurati con il cronometro e frenesia da catena di montaggio. Nessuna metodologia didattica, nuova o vecchia che sia, per quanto efficace sulla carta, può dare qualsivoglia risultato se viene negata la premessa fondamentale su cui si fonda e cioè, banalmente, il tempo per poter essere realizzata.

Classi di 15 alunni, l’eliminazione dei PCTO, la riduzione drastica dei progetti, permetterebbero già un significativo recupero del tempo da dedicare all’insegnamento e quindi di ridare efficacia, identità e dignità alla scuola. Se non si parte da qui, ogni discussione sulla scuola è velleitaria e vuota.

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