‘discorso’ letterario che vuol recuperare da una parte il crogiolo delle tradizioni o perlomeno dei ‘valori’ che le tradizioni da sempre propongono (la sacralità della famiglia, delle relazioni amicali, la fedeltà alla parola data ed alla lealtà, una tensione al senso di ospitalità e di generosità: in fondo la ‘struttura’ valoriale del mondo contadino) e
dall’altra una ininterrotta analisi del sentimento d’amore, vissuto nelle sue varie possibilità e momenti, ora di estasi assoluta ora di tristezza, ora di fuga dalla realtà ora quasi di sentiero metafisico. Nell’opera presente, Rodia affronta finemente la poesia erotica, ma occorre subito chiarire che, se è del tutto evidente che poesia erotica non vuol dire affatto poesia pornografica o perfino volgare, la dimensione di Rodia è di un approccio lievissimo al tema, tant’è che forse persino definirla ‘poesia erotica’ è eccessivo. I riferimenti di questa poesia mi sono sembrati subito
poeti come Catullo – che eleva carmi alla sua Lesbia – e perfino, per la qualità dei dialoghi, Gibran o addirittura Omar Kayyam, ovvero poeti che alludono all’erotismo, ma non lo esplicitano mai davvero. Tutt’altra cosa è, ad esempio, la nota Patrizia Valduga: ’Vieni, entra e coglimi…’ e così la straordinaria Clara Janès quando scrive: ’Sono stata con un giovane/Ed ho saputo alfine cosa fosse/il violento trasporto/la posizione inclinata/la bellezza di un glande”. Nella poesia di Cosimo Rodia, invece, non sono mai esplicitati i genitali maschili o femminili né viene descritto
(concretamente, visivamente) un atto sessuale. È poesia di un erotismo lieve (nata, come spiega lo stesso poeta, durante il periodo di lockdown), direi in sostanza poesia d’amore tout court. Il dialogo, d’altra parte, tende a diluire il discorso, a farne una sorta di narrazione lirica densa di pathos. Una spia interessante sono i punti esclamativi che Rodia
utilizza al termine di ogni dialogo, come a voler aumentare nel lettore la risposta emotiva (direi alla Garcia Lorca). La musicalità del testo – che è la vera forza ‘catturante’ del libro – deve servirsi al termine della cascata di metafore di un momento di risveglio dall’incantamento. Il poeta incanta con le immagini e il linguaggio. È una sorta di mago, che però sente anche il bisogno di scuotere il lettore. È un libro affabulante e melodioso, allusivo e persino casto, che si fa leggere e rileggere per la sua levità, il suo candore di fronte al mistero dell’amore, in tutte le sue accezioni.