di Claudia Zuccarini I versi di Kavafis sembrano musicali come canzoni, molto elaborati e ricercati nei contenuti storici e filosofici. Alcuni sembrano ostici, eppure si apprezza molto lo scivolare nell’umanità dei personaggi cantati, poco noti e scandagliati in aspetti rovesciati rispetto alle letture storiografiche.
Molto suggestivo è l’accostamento naturale con versi di carattere erotico, come se la storia e la filosofia non siano esenti dai sensi della carne. E, in effetti, ogni uomo è anche costituito da carne che pulsa e che tende a riscattare la propria vitalità. In tempi davvero proibitivi Kavafis ha celebrato la voluttà, l’unione e l’intensità dell’amore omosessuale, un consumarsi nostalgico nei ricordi di un tempo, consegnati alla memoria dell’arte poetica. Ma tutti gli amori non sono forse uguali? Sì, caro Costantino, in ogni tuo verso possiamo scorgere la tristezza di un legame perduto o la pienezza di momenti felici e inebrianti, e ciò vale per ogni lettore, senza distinzione di genere.
Da segnalare in questa ricca raccolta dell’autore è la piccola parte dedicata alla prosa, dei brevi gioielli metaforici tra i quali spicca lo scritto “Navi”.
E tra le poesie eccone una… Il dicembre del 1903 E se non posso dire del mio amore –
se non parlo dei tuoi capelli, delle labbra, degli occhi,
serbo però nell’anima il tuo viso,
il suono della voce nel cervello,
i giorni di settembre che mi sorgono in sogno:
e dan forma e colore a parole, a frasi
qualunque tema io tratti, qualunque idea io esprima.