Inferni Post Umani (Poszthumàn poklok) di Stefano Donno, di AB ART Kiadò (Ungheria), 2023

Redazione

 

Esce nella traduzione di Zalàn Tibor, con la cura grafica di Fàbian Istvan, la post-fazione di Halmai Tamàs, e la cura redazionale di Attila F. Balàzs, Sàndor Halmosi, Pàl Dàniel Levente, la raccolta di poesie di Stefano Donno, dal titolo Inferni Post Umani (Poszthumàn poklok) per i tipi di AB ART Kiadò (Ungheria).

Scrive Laura Garavaglia: “Un libro di poesie che è la narrazione in versi di un’apocalittica visione dell’era post-umana, definita in modo significativo “Inferno”. Venti poesie, tutte numerate, come venti brevi capitoli di un romanzo, ciascuno dedicato a un ambito delle più avanzate tecnologie in un crescendo di visioni inquietanti che sembrano preannunciare lo stravolgimento totale, la nullificazione del mondo e dell’esistenza umana. Ciò che rende affascinante e originale questo libro è che il poeta Stefano Donno ha scelto di scrivere le prime quattordici poesie in lingua inglese, la lingua della tecnologia, ma in quartine i cui versi sono spesso in rima alternata o baciata: sembrano alleggerire in tono ironico temi tanto difficili da affrontare, in particolare scegliendo il linguaggio della poesia.  Ciò è evidente sin dal primo componimento, Artificial Intelligence, dove l’intelligenza artificiale viene in senso antifrastico celebrata come luce nella tenebra per poter camminare verso il divino, sapendo bene che una possibile minaccia, se consideriamo la cosiddetta Intelligenza artificiale forte, è proprio che possa seguire un proprio imperativo evolutivo. E non a caso la seconda poesia è una sorta di “ode” al robot, essere indipendente nato dalla interazione tra AI e Machine Learning,  la cui convivenza con gli  umani è possibile grazie a una combinazione di caratteristiche e comportamenti che dovrebbero favorire  l’interazione e la collaborazione armoniosa;  così come la terza è dedicata al cyborg, abbreviazione di “cybernetic organism”, essere vivente che unisce elementi biologici e tecnologici per migliorare le sue funzioni o acquisire caratteristiche che non possiede naturalmente e a cui il poeta augura

“May you find your way and thrive,

May you reach your journey’s end,

So here’s to you, dear cyborg friend,

May you find your way and thrive,

May you reach your journey’s end,

And all that you desire”.

Stefano Donno rivolge poi la sua attenzione alla teoria del multiverso, una delle più affascinanti e controverse della fisica teorica, che sconfina a tratti nella filosofia e dove le dimensioni di spazio e tempo presenti nel nostro universo non hanno più valore e si ipotizzano universi paralleli con leggi fisiche, costanti fondamentali e condizioni iniziali diverse.  Anche il fascino dei quanti diventa oggetto di indagine del poeta, che ci trasmette lo stupore, la meraviglia e le incognite che avvolgono ancora in gran parte il mondo dell’infinitamente piccolo: l’entanglement quantistico è metafora per descrivere il mistero dell’amore, che lega in modo indissolubile il destino di due anime, come particelle, anche a distanze siderali tra loro.

La narrazione in versi si fa sempre più cupa nelle ultime poesie di questa sezione: Donno cita la trilogia dei film di fantascienza “The Matrix” , dove la realtà distopica in cui gli esseri umani sono intrappolati e i loro corpi utilizzati per fornire energia a macchine intelligenti sembrano voler tenere alta l’attenzione del lettore nei confronti del pericolo di un futuro in cui gli esseri umani potrebbero davvero essere assoggettati ad una sorta di “Grande Fratello”, mostro nato dalla tecnologia più avanzata che può sfuggire al nostro controllo. Tutto dunque, finirebbe in un’Apocalisse di grado Z, catastrofe umana e naturale, regressione del pianeta a un luogo dove pochi sopravvissuti vivono nascondendosi per sfuggire a esseri mostruosi. La fine sembra venire da quello spazio oscuro e ignoto che fa tornare il lettore al mistero dei multiversi: esseri alieni conquistano definitivamente il nostro pianeta e la sola consolazione è quella di aver combattuto strenuamente, sia pure finendo per soccombere.  La seconda sezione del libro comprende poesie scritte in italiano in verso libero: tale scelta mi sembra risponda all’esigenza di dare maggior respiro al testo, dove emerge l’urgenza di raccontare, in modo visionario e profetico, con un ritmo incalzante e quasi parossistico, la trasformazione dell’essere umano in un ibrido, un “cyborg mostro” che porta all’estremo il proprio “Ego cibernetico”. Non a caso nelle ultime tre poesie che chiudono questo libro vengono citati esempi tratti da grandi nomi della fisica e della narrativa fantascientifica come metafora di questa visione di una realtà distopica che sembra non essere poi così lontana, dato il ritmo a cui procede il “progresso tecnologico”, (basti pensare alle illimitate potenzialità dei computer quantistici), che richiama le “magnifiche sorti progressive” di leopardiana memoria. Il poeta infatti intitola la poesia Inferno 19 (∂ + m) ψ = 0, la famosa equazione del fisico britannico Paul Dirac, che descrive come due sistemi che interagiscono tra loro per un certo tempo e poi si separano, non si possono più descrivere come separati ma diventano un unico sistema: metafora, appunto, della interazione sempre più stretta tra esseri umani e robot che potrebbe portare a un “punto di non ritorno”, nel senso della formazione di un essere ibrido a cui sopra si è accennato.

Allo stesso modo, vanno lette in sequenza le due poesie che chiudono il libro: la prima, MEMORY CARD OPEN, riporta, come fossero versi, le Tre Leggi della Robotica di Isaac Asimov, apparse per la prima volta nel 1950 nel libro di racconti di fantascienza “I, Robot” e la seconda, MEMORY CARD CLOSED, è la catastrofica conseguenza del venir meno, in una realtà che non appare più poi così fantascientifica, dell’osservanza di queste tre leggi, che stabilivano il reciproco rispetto e la non prevaricazione tra esseri umani e robot.

In questo libro dunque l’autore esplora, con competenza e con la capacità che la parola poetica ha di risvegliare le coscienze di tutti noi, “narcisisti intorpiditi”, parafrasando Marshall McLuhan, uno dei quesiti più affascinanti, attuali e inquietanti del presente, che già il geniale matematico britannico Alan Turing aveva posto pubblicando nel 1950 l’articolo Computing Machinery and Intelligence sulla rivista MIND, aprendolo con questa domanda: “I propose to consider the question, “Can machines think?”. I rapidi sviluppi che questo ambito della tecnologia ha avuto soprattutto a partire dai primi anni duemila ad oggi impongono di fermarci a riflettere, in silenzio, lontano dal frastuono. Quel silenzio da cui sgorga, acqua vivificatrice, la poesia.

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