Christian Bobin e la pioggia che scende nel cuore

di Sandro Marano

 

«Siamo fatti soltanto di coloro che amiamo e di nient’altro».

 

Questa citazione è tratta da uno dei tanti bei testi di Christian Bobin, L’insperata (Animamundi 1994). L’autore, nato nel 1951 in Borgogna e venuto a mancare un anno fa, il 24 novembre del 2022, benché fosse lontano dagli ambienti letterari e refrattario ai media, era piuttosto noto in Francia per la sua scrittura meditativa e poetica. Bobin ha conosciuto una certa notorietà anche in Italia grazie ad un libro dedicato alla figura di San Francesco, Francesco e l’infinitamente piccolo, pubblicato dalle edizioni San Paolo nel 1996, che è un libro particolare, perché non è una vera e propria biografia del santo, ma piuttosto la storia di un’anima e il suo rapportarsi al mondo.

Tra i suoi scritti, in genere brevi, pubblicati in buona parte da una casa editrice del nostro Sud, l’Animamundi, e da altre piccole case editrici, ricordiamo Mozart e la pioggia (2015), La vita e nient’altro (2015), Abitare poeticamente il mondo (2019).

Bobin può considerarsi un pensatore “leggero”, dove leggero non è affatto sinonimo di superficiale, bensì di semplice, di poetico, di intuitivo. La sua scrittura è leggera, semplice, pervasa da un afflato poetico, eppure filosoficamente profonda e aperta al dialogo. «La vita eterna filtra, beffarda, nella vita quotidiana», scrive Bobin nel suo magnifico  Autoritratto (San Paolo, 1999) – il primo libro che mi capitò di leggere di quest’autore – perché «le cose non sono mai soltanto delle cose. Queste per esempio, dei tulipani, fanno risuonare nell’appartamento una nota allegra, fraterna». Poche parole che riassumono in generale il segreto della poesia e perfino l’articolata proposta dell’ecosofia di Arne Naess.

La vita nel suo scorrere, lo «sfavillante vocio del vivere», è l’unico inesauribile tema dei suoi scritti. Metodologicamente, Bobin seguiva le tracce indicate dal filosofo esistenzialista Jaspers, secondo cui «noi non dobbiamo pretendere di spiegare ciò che fu, è e sarà, ma dobbiamo prestare ascolto a ciò che vuole parlarci». Come afferma in un altro suo testo, Mozart e la pioggia, «i momenti più luminosi della mia vita sono quelli in cui mi accontento di vedere il mondo apparire».

La sua scrittura è quasi sempre dialogo con un Tu, un Tu impersonale, che potrebbe essere il lettore, o il proprio sé, o la vita stessa, o un Tu, che è una persona reale, come la Nella di La vita e nient’altro. I suoi libri, compreso il suo unico romanzo, Louise  Amour (Camelozampa 2014) hanno la virtù della brevità e della concisione.

Bobin era  uno scrittore eminentemente cristiano, ma d’un cristianesimo lontano dai dogmi, dagli annunci trionfali e dalle prediche moralistiche, attento alle piccole cose della vita, alle gioie e alle sofferenze, tutte illuminate e reinterpretate alla luce dei Vangeli.

In L’uomo che cammina (Sympathetika,1998), Bobin ci parla di Gesù senza mai nominarlo, ma tutti comprendiamo egualmente – un po’ come nel racconto del grande inquisitore di Dostoevskij – che quell’uomo che cammina senza sosta nella Galilea del suo tempo, tra gli ulivi e il deserto, sollevando granelli di sabbia e donando tutto se stesso, è proprio il Gesù dei Vangeli.

L’Autoritratto è il diario quotidiano di un anno, dopo la perdita di una giovane donna, che aveva abbagliato e sconvolto la sua vita col suo passaggio «fatto tutto di splendore e delicatezza, come il vento quando smuove i petali di una rosa». Il libro si chiude con una scommessa, dove sui due piatti della bilancia ci sono la letizia “francescana” da un lato e il mondo così com’è dall’altro:

«Voi forse pensate che non ci sia nulla dietro la bellezza del mondo, dopo la traversata. Io penso che ci sia più che in ogni altra cosa. Voi avete, dal canto vostro, la ragione e le apparenze. Io ho, dal canto mio, l’allegria. Vedremo».

In un altro testo pubblicato nel 1990, La vita e nient’altro, che è una lunga lettera all’amica scrittrice Nella Bielski di origine ucraina, scritta in versi senza punteggiatura quasi a simulare il flusso ininterrotto di pensieri, Bobin ci parla ancora una volta della figura di Cristo:

 

«Quando ero piccolo
mi hanno raccontato la storia
di un uomo che camminava sulle acque
ci ho creduto certo
A cos’altro credere
se non all’incredibile
Quell’uomo andava sull’acqua
lentamente senza dubbio assai lentamente
con passo da contadino […]
Quando voleva parlare dell’anima
stendeva la mano indicava
gli uccelli nel cielo il vento sopra l’erba
i pesci gli agnelli gli ulivi
e tutto ciò che è chiaro
presente offerto in dono

la parola il silenzio il pane
i volti le pietre il cielo
il grande regno dell’invisibile
la dolce presenza del mondo».

 

E su tutto domina quella pioggia con cui si apre il testo: «una pioggia sottile scivola sulle pagine, scende nel cuore», che è poi una gran bella metafora della vita stessa e della grazia.

Lascia un commento